Quattro medici. Parlano di fame d’aria, della paura che mette solo immaginarla. Di telefonate tragiche dal pronto soccorso che fanno precipitare nel baratro. Di una madre depressa, perciò senza fiducia, che voleva portare la figlia, ridotta a muovere solo le palpebre, a morire in Svizzera. Di deterioramenti raccapriccianti del corpo.

Si scopre, per inciso, che due dei quattro medici hanno pure avuto un infarto. Pomeriggio disperante alla Biblioteca Gronchi di Pontedera? Da saltare su una Vespa del vicino Museo Piaggio e darsela alla Speedy Gonzales? Il cielo è di un azzurro primaverile e, volendo, da sottrarre al museo, c’è anche l’Ape calessino in legno.

Viceversa, nessuno scappa: il pomeriggio è corroborante, il pomeriggio è liberatorio. Conoscere, scegliere, sfumare la solitudine fa, quasi quasi, l’effetto del vento nei capelli.

Prendersi cura: medicina e legge di fronte alla sofferenza è il titolo dell’incontro del ciclo Tracce di luna-Dialoghi ascolti riflessioni, studiato dall’Accademia dell’Incompiuto per indagare i diversi aspetti della fragilità. I partecipanti, moderati da Elisa Sirianni, esperta di comunicazione e ideatrice del progetto Da vivi-Il miracolo della finitezza, sono Carlo Biagini, radiologo e geriatra; Paolo Fontanari, anestesista e rianimatore, direttore di Struttura Complessa di Anestesia e Rianimazione, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi; Piero Morino, palliativista, già direttore del dipartimento cure palliative Asl Toscana centro, Alfredo Zuppiroli, cardiologo, direttore FILE Formazione – Fondazione Italiana di Leniterapia, già presidente Commissione Bioetica Regione Toscana, e raccontano la loro esperienza davanti al dolore del paziente e della famiglia, si confrontano sulle cure palliative (legge 38 del 2010) e sulle disposizioni di trattamento anticipate (legge 219 del 2017).

Dette anche biotestamento o testamento biologico, le DAT, permettono a ogni persona maggiorenne, capace di intendere e di volere, di esprimere il proprio consenso o rifiuto su accertamenti diagnostici, scelte terapeutiche e singoli trattamenti sanitari, in previsione di una eventuale futura incapacità di comunicare la propria volontà. Non hanno scadenza, possono essere rinnovate, modificate o revocate in qualsiasi momento. È possibile nominare anche un fiduciario. Sul sito della Regione Toscana c’è un testo esplicativo: “Scelgo oggi le mie cure per quando non potrò più farlo".

“Ch’un bel morir tutta la vita honora” scrisse Petrarca nel Canzoniere. E perché rinunciare, quando riesce, a un’uscita di scena da valorosi? Ma qui il tema non è un bel morire per fare figura, ma un morire dignitoso per se stessi. Anzi: un vivere fino all’ultimo momento. Sostiene Piero Morino:

La mia convinzione è che un buon periodo fine vita equivale alla grande a una guarigione. Chi fa le cure palliative, lo sa.

Capite che io ero addolorato, no?

Dice Carlo Biagini, alle lacrime, mentre ricorda la morte di un amico,

perché questa persona l'ho perduta. Però, sono contento che se ne sia andato bene. Come doveva.

Di seguito alcuni punti salienti del pomeriggio a Pontedera.

Gli strumenti

Paolo Fontanari: “Non staccate la spina oppure staccate la spina” ormai è l’espressione comune, ma questo modo di fare non esiste. Noi ci confrontiamo con i familiari, abbiamo gli strumenti per valutare l'evoluzione di una situazione neurologica, se questa è davvero irreversibile o se ci sono margini.

Chi esita a compilare le DAT si chiede: “Ma se un domani le terapie cambieranno e magari usciranno cose straordinarie che ora non ci sono? E saranno così attenti a stabilire se il mio stato è reversibile oppure no?”.

Ecco, io vorrei rassicurarvi. Oggi abbiamo esami strumentali che ci dicono quando c’è il margine. Si può essere verso un parziale recupero o purtroppo verso uno stato vegetativo, ma ci vogliono mesi per i traumi gravi, anche un anno, e dobbiamo prenderci tutto il tempo di decidere, insieme col fiduciario, che le DAT prevedono, se questo stato è compatibile con le volontà del congiunto.

Le disposizioni anticipate di trattamento, DAT

Alfredo Zuppiroli: Vi leggo un articolo e faccio un piccolo sondaggio: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole procurare la morte, si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la capacità o altrimenti da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la volontà e gli interessi del paziente”.

Alzate le mani: è un articolo della legge 219 o della legge belga sull’eutanasia? È un documento del Vaticano o un articolo di una proposta di legge della Chiesa Valdese su una revisione della legge 219?

Ve lo dico: è un articolo del Catechismo della Chiesa cattolica.

Io non ce la faccio più a vivere in un paese dove, quando si toccano gli aspetti etici, ci si schiera in fazioni opposte, da una parte i padrini della vita, dall'altra quelli che i padrini della vita chiamano il partito pro-morte.

Quando è lo stesso Catechismo della Chiesa che ha parole quasi identiche all'articolo 2 della legge 219 che recita: “Il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole nella somministrazione delle cure e dal ricorso a trattamenti inutili o sproporzionati”.

Le parole, come diceva un regista a me molto caro, sono importanti. Prima di questa legge non si parlava di disposizioni, ma di dichiarazioni. Io posso dichiarare qualunque cosa, ma non ha valore cogente, se invece dispongo una cosa, questa ha maggior valore. L'articolo 1 della 219 tutela quattro diritti: il diritto alla vita, alla salute, alla dignità e all'autodeterminazione.

Quindi come si fa a imporre il rispetto del diritto alla vita, sempre e comunque, contro il rispetto del diritto all'autodeterminazione? Le circostanze devono farci capire se propendere verso un aspetto o verso l'altro. È la relazione di cura la cosa fondamentale.

Non di fronte a situazioni gravi di emergenza perché se una persona arriva all'ospedale con un infarto non c'è tempo da perdere. Ma siccome oggi il 90% delle morti avvengono in condizioni di prevedibilità dobbiamo avere la forza e, noi medici, direi anche l'umiltà, di non anteporre le nostre visioni paternalistiche. Dobbiamo cercare di capire come quella persona desidera vivere gli ultimi tempi della sua vita.

Paolo Fontanari: La 219 è veramente incredibile: risponde a tutte quelle che sono le nostre esigenze cliniche. È difficile che una legge riesca davvero a contenere dei dettati così importanti, così urgenti, che noi troviamo poi nella società quotidiana.

Si parla di diritto dell'autodeterminazione, c'è l'articolo che parla della proporzionalità delle cure - non usiamo terapie futili o inutili - si parla di tante disposizioni anticipate, si parla di piano condiviso delle cure. Dobbiamo essere forti, decidere, quando stiamo bene.

Cure palliative

Piero Morino: Noi siamo progettati per morire. Allora è evidente che se io, come medico, coltivo l’infallibilità, la speranza di guarire tutti i miei pazienti, i malati si illudono. La comunicazione porta a rassicurarli e quante volte vedete i pazienti che vengono invitati a essere degli eroi che combattono contro la malattia? È una follia. Ho sentito giovani dire: “Non ce l’ho fatta. Dove ho sbagliato?”.

Non è che se uno si lascia andare muore e l'eroe guarisce.

La mia idea è stata quella proprio di imparare le cure palliative, che venivano fatte nei paesi anglosassoni, ed erano molto scarse in Italia. Sono andato a Milano, dove c’era una scuola e piano piano abbiamo cercato anche qui in Toscana di diffondere questa cultura, questo modo di curare le persone. E abbiamo fondato File - Fondazione Italiana di Leniterapia. Leniterapia, un nome cercato insieme all'Accademia della Crusca perché palliativo, che pure viene dal latino pallium, mantello, quindi indica la protezione, ha preso in italiano una deriva un po' dispregiativa, di un qualcosa che non serve a nulla.

Le cure palliative vanno cominciate nel momento in cui la guarigione non è più possibile e bisogna passare dalla cura della malattia alla cura del malato. Finché io e te siamo insieme, possiamo migliorare la situazione o, comunque, valorizzare quello che ancora si può fare. Se la medicina funziona, voi non dovrete mai sopportare sofferenze per voi non sopportabili. Noi entriamo nelle case di persone disperate e dopo due ore, spesso, quelle persone sono sorridenti. Perché non sono più sole.

La sedazione, per esempio, non dovete vederla come qualche cosa che vi mette a dormire, punto. È una sedazione proporzionale, una terapia che si fa nel momento in cui c'è una sofferenza insopportabile, fisica, ma anche psicologica, per superare una fase di difficoltà. Può permettere alle persone di dormire dieci ore di notte e poi risvegliarsi e vivere il giorno. Ma quando si parla di serenità e di dignità ognuno di noi ha un concetto diverso.

E non può essere un medico, ma neanche un parente, che ci insegnano cos'è che vale la pena. Bisogna parlarne prima, non del momento in cui io non respiro più e non ho più la lucidità per spiegare quello che mi sta succedendo. Le ricerche dicono sempre che quando i pazienti sono sedati su scelta dei medici spesso si sedano molto di più e molto prima, perché noi non siamo in grado di sapere se la persona, pur soffrendo, magari ha voglia ancora di avere rapporti e di rimanere più presente.

La difesa del servizio sanitario nazionale

Elisa Sirianni: Mi dico che non fermiamo il Paese davanti allo smantellamento del servizio sanitario nazionale perché è troppo spaventoso pensare alla malattia, perché non viviamo nella consapevolezza, nell’accettazione del limite. Uno dei problemi principali è la mancanza di risorse e anche quando vi sento parlare penso: ma se non ci sono soldi per i servizi più consueti, più integrati culturalmente, figuriamoci per una dimensione globale.

Piero Morino: Questa è una medicina in cui tutti gli indicatori che dobbiamo raggiungere sono sull'efficienza e non sull'efficacia. È un po' la colpa della dell’aziendalizzazione. Per spostarli dall’efficienza all’efficacia, mi ci impegnerei volentieri in politica sanitaria.

Paolo Fontanari: Io non ho bisogno di sentire: abbiamo fatto un milione di visite ambulatoriali, con un aumento del 10% dal 2023 al 2024. No, Regione Toscana, io voglio sapere: quanti nuovi percorsi hai individuato in un anno? Voglio sapere che una persona ha una patologia e che il suo percorso viene preso in carico.

Guardate, noi stiamo arrivando a un punto di rottura di questo sistema sanitario nazionale. Siamo passati da un 8% del PIL al 6,2. Vuol dire che siamo al di sotto della media dell'Unione Europea 6,8 % e della media OCSE 6,9 %. La Slovenia è al 7%, non parliamo della Germania che spende il 10,1%. Dobbiamo difenderlo, sempre, il sistema nazionale!

Carlo Biagini: Senz'altro. Considerate che il sistema pubblico è quello che dà il la, come si dice in musica, anche al privato. Se il sistema pubblico è a un livello buono, il privato si allinea, o cerca di allinearsi. Se il sistema pubblico cala la qualità, cala la qualità del sistema privato. Ve lo dice uno che ha lavorato all’università, in un centro ospedaliero e poi ha fatto il libero professionista in ambito convenzionato e no. Difendere il sistema pubblico vuol dire difendere nel complesso il sistema sanitario.

Negli ultimi 30 anni c’è stato un incredibile potenziamento delle nostre azioni diagnostiche e terapeutiche. Meraviglioso, impensabile. Pensate che la TAC è entrata nell'uso clinico negli anni Ottanta. La risonanza magnetica nel Novanta. C’è la nuova generazione dei farmaci cosiddetti target o quelli che vengono chiamati farmaci biologici. Una volta, davanti a certe guarigioni, si sarebbe detto “è stato a Lourdes”. No, non è stato a Lourdes. Mi stupisco dei miei giovani colleghi che non rimangono affascinati, io sono entusiasta. A fronte di questo trovo che il rapporto medico-paziente, che è cruciale, è invece terribilmente peggiorato.

Tanto è vero che quello di cui di più la gente si lamenta, a parer mio a ragione, sono la sensazione di solitudine e di abbandono. Lo diceva Piero Morino: non ti posso guarire, ma ti sto accanto.

È un punto cruciale e non vale solo per le malattie terminali, per fortuna: vale per tutto. Se gli stai accanto, quello guarisce prima e soffre meno. Lo stiamo perdendo. È una tendenza che va invertita perché è drammatica. Il medico guarisce? No. Io lo dico sempre: guarire è un verbo intransitivo: non sono io che guarisco te, io t'aiuto, ma guarisci te. Il medico cura, che vuol dire? Che si prende cura. Se noi perdiamo questo, perdiamo tutto. E dobbiamo essere capaci anche di bisticciare col nostro dottore perché lui se lo deve ricordare che al paragrafo 8 dell’articolo 1 della legge 219 c’è scritto: “Il tempo della comunicazione tra medico e paziente costituisce tempo di cura”.

Vuol dire che chi non lo fa compie un reato. Questa legge, ahimè, non è che non la conoscono i pazienti, non la conoscono neanche i medici. Ripeto, contano le macchine, di robot chirurgici che costano milioni di euro, la Toscana ce ne ha più di alcune nazioni. Noi radiologi siamo quelli che lavorano con le macchine ma io vorrei che ci fosse un po' meno tecnologia e un po' più relazione.

Alfredo Zuppiroli: Ribelliamoci a questo mantra della mancanza di risorse. Ma lo sapete che hanno portato da 1500 assistiti a 1800 il tetto per ogni medico di famiglia? Purtroppo è peggio di prima perché stiamo andando al riarmo: un F35 vale 3000 letti di terapia intensiva. Io oggi, se non fossi stato qui, anzi ringrazio Mario (Biagini dell’Accademia dell’Incompiuto n.d.r.) ed Elisa per questo invito, sarei stato a Roma alla manifestazione contro il riarmo. Il Parlamento, dal 2018, che ha avuto mandato dalla Corte Costituzionale di andare oltre la legge 219 per normare il tema della morte medicalmente assistita, il cosiddetto suicidio assistito e l’eutanasia, non ha il coraggio di affrontare il problema.

Perché di morte non si deve parlare, però di quella degli altri, ucraini, palestinesi, russi, israeliani e tutti, spendendo in armi, si può parlare. Io sono un laico non credente, ma andiamoci a leggere tutti l’enciclica Fratelli tutti: siamo tutti umani. L'unica vera lotta che dovremmo fare è quella contro il cambiamento climatico. Ci stiamo dimenticando del welfare, contenti del warfare, cioè della guerra. Scusate, ma io su questo mi accaloro perché è un problema etico che mi mi prende come persona, al di là del della questione specifica per cui oggi siamo qui.

E poi, non ci vedo benissimo, ma lì in fondo c’è il ritratto di Kafka? In tempi non sospetti, all'inizio del Novecento, quando la tecnologia era di là da venire, Kafka aveva già intuito la difficoltà relazionale. In quel bel racconto che si chiama Un medico di campagna, a un certo momento fa esclamare al suo personaggio medico: “Scrivere ricette è facile, ma è comunicare con la gente che è difficile”.

Case farmaceutiche

Piero Morino: Quando ti laurei hai chiuso il percorso formativo, dopodiché la formazione è fatta dalle case farmaceutiche.

Un esempio: hanno inventato un tipo di dolore, in un ambito di dolore perfettamente controllato - le cure con la morfina fanno stare benissimo - per vendere lo spruzzino di Fentanyl (l’assorbimento è esattamente come per la cocaina nei tossicodipendenti). E guadagnano milioni e milioni e milioni di euro per un dolore che, l’ho detto ai rappresentanti, per me non esiste. Ma abbiamo bisogno davvero di farmaci alternativi alla morfina? La morfina è farmaco che non costa nulla, perché non è più brevettabile, ma adesso non esiste una persona che ti parla della morfina: solo di Ossicodone e Fentanyl. Con i risultati che tutto il mondo sta conoscendo. Questa è malafede.

Alfredo Zuppiroli: Ci sono due cose che mi premono. Attenzione agli steccati ideologici perché io, che ho lavorato per 34 anni nel settore pubblico, lo posso dire con esperienza provata. Attenzione alle categorie, ciò che è pubblico non è sempre bello, ciò che è privato non è sempre brutto, ce l'ha ben detto Carlo Biagini. Ho visto conflitti di interessi spaventosi, magari non finanziari, ma di carriera, negli ospedali pubblici e ho visto in luoghi privati persone lavorare in modo eccellente e non per fare profitto, ma proprio perché assolvevano al loro, diciamo, giuramento di fare bene il medico.

E difendo, ovviamente, la sanità pubblica.

La seconda cosa: è vero che la formazione è fatta tutta dalle case farmaceutiche, però attenzione, e ve lo dico da cardiologo: nel 1980 a un anno da un infarto sopravviveva solo il 70 % di chi era stato colpito. Grazie ai farmaci, grazie alla ricerca, grazie all'angioplastica, agli stent, quindi grazie anche agli investimenti delle aziende farmaceutiche, oggi, nel 2025, quando una persona ha un infarto, ha 95 probabilità su 100 di essere viva l’anno dopo.

Io, da cardiologo ho scelto di farmi venire un infarto, così capivo meglio cosa vuol dire un paziente.

La realtà è molto, ma molto più complessa di uno steccato ideologico. Come fan di De André, dico che “non esistono poteri buoni”.

Lieto fine. La ragazza che muoveva solo le palpebre è andata a trovare i suoi dottori in ospedale, per annunciare che si sposa.