Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna cent’anni fa, il 5 marzo 1922, si riteneva il prodotto tipico dell’incrocio italiano, un vero esempio dell’Unità d’Italia. Suo padre era discendente di una nobile famiglia romagnola, mentre la madre apparteneva ad una famiglia di contadini friulani che, grazie al duro lavoro, erano riusciti ad innalzarsi al livello piccolo borghese. Il nonno materno era legato al mondo della distilleria, mentre la nonna era piemontese, con legami siciliani e romani che sembrano anticipare la strada percorsa dal nipote.

L’ambiente di vita di Pasolini era caratterizzato dal padre militare e dalla madre maestra elementare, pertanto ligio alle regole e al loro rispetto, per un’educazione solida, pur se la famiglia era costretta a spostarsi di frequente, tanto che il vero punto di riferimento per il giovane sarà sempre Casarsa, in Friuli, dove viveva la famiglia materna. Pier Paolo risiedette lì dal 1942 al 1950 e lì volle essere sepolto.

Se il rapporto con il padre era conflittuale, quello con la madre fu simbiotico e divenne ancora più forte alla morte del fratello Guido, partigiano ventenne della Brigata Osoppo con il nome di battaglia di Ermes, ucciso dai membri della Brigata Garibaldi a Porzus il 12 febbraio 1945.

Pasolini si dedicò alla poesia sin dal 1928, scrivendo liriche in italiano e in friulano, poi raccolte, ad esempio, nel volume Poesie a Casarsa. L’uso del dialetto aveva uno scopo pedagogico, in modo da creare un’identità che non potesse essere scalfita dai poteri forti che nella sua vita contestava. Sarà infatti sempre attento ai cambiamenti della società e i suoi giudizi saranno spesso critici e perentori, capaci di suscitare polemiche perché era impossibile ignorarli.

Quindi il suo senso critico e la sua versatilità che lo porterà a diventare insegnante, correttore di bozze, attore e regista, saggista, traduttore, romanziere, pittore, crearono cultura nella misura in cui portavano a pensare, riflettere, spesso odiarlo.

Soprattutto si scagliava contro la società dei consumi sul modello degli anni Sessanta-Settanta, durante i quali criticò le varie rivoluzioni sociali, ma anche i protagonisti e la politica.

Lo troviamo in Verso le terme di Caracalla, che sottolineano il periodo romano, quando si trasferì nella capitale. Nella lirica fotografa varie persone che, con i loro vezzi e la propria personalità, vanno tutte verso lo stesso posto, a condividerne la mondanità e, forse, la solitudine; probabilmente senza conoscerne la storia. Considerato troppo vicino al popolo, troppo comunista e anticlericale, sarà proprio dal basso in cui da molte parti si volle mandarlo, a guardare la vita, vedendo un uomo triste perennemente alla ricerca della verità che Pasolini sapeva quanto fosse difficile trovare.

Egli volle l’oggettività nuova rispetto al passato, capace di cristallina purezza e di sottrarsi alle regole che sono antitetiche alla creazione. Il tutto con un linguaggio vicino al vero, al parlato, alla volontà di conoscenza:

Solo l’amare, solo il conoscere conta, non l’aver amato
non l’aver conosciuto. Dà angoscia
il vivere di un consumato
amore. L’anima non cresce più.

(Tratto da Il pianto della scavatrice)

Una poetica che fosse logica, razionale, storica, contraria al Neorealismo, basata sulla percezione ideologica della realtà. Una visione oggettiva del reale che diventa nuova, perché il reale è nuovo. Un poeta che userà anche le immagini per lasciarci romanzi e film capaci di creare pensiero ancora oggi che, grazie a questo anniversario, la sua figura può essere riscoperta come merita.