Lo chiamavano tutti Joe, ma il suo vero nome era Giovanni. Giovanni, detto Joe, aveva il pallino dell’America. Sua madre se lo ricordava bene quell’unico figlio fin da bambino affascinato dai simboli del Nuovo Mondo, la bandiera a stelle e strisce, il baseball, la musica di Elvis. I genitori del piccolo Giovanni, anche grazie alle regalie di un parente emigrato anni prima negli Stati Uniti, avevano subito supportato la curiosa passione di quel loro figlio guardandola con tanto interesse e simpatia da venirne addirittura influenzati: quando decisero di comprare casa la scelta cadde, senza esitazioni, su di un appartamento situato in una palazzina a pochi metri dal primo McDonald aperto in Italia.

La camera di Giovanni era un unico, grande tributo al sogno americano. Nel corso degli anni si era riempita di così tanti oggetti, immagini e gadgets made in Usa che i genitori avevano deciso di sacrificare il soggiorno di casa per offrirgli ancora più spazio. Chi ebbe modo di conoscere Joe in quegli anni non poté sottrarsi dal fascino di quel ragazzo, tra questi la più devota fu certamente Miss Robinson, appassionata insegnante di lingue straniere, americana di Boston. Dal giorno in cui lo conobbe lo considerò alla stregua di un figlio, spendendosi anima e corpo per indirizzare al meglio l’interesse spontaneo del piccolo Joe verso gli Stati Uniti d’America. Passarono gli anni e nacque il desiderio di partire, per concretizzare con un viaggio il tributo di passione verso quella terra a lungo immaginata. Ma quando giunse l’agognato momento, il padre di Giovanni, Nunzio, in vacanza a Gallipoli, ebbe un ictus e bloccò sul nascere ogni progetto.

“Sei un coniglio senza palle” gli disse un giorno Marta. Erano insieme già da qualche mese, avevano poco più di vent’anni a testa. Lui l’amava quella ragazza dallo sguardo intenso, così diversa dalle altre. Con lei aveva condiviso tonnellate di pop-corn guardando alla tv i classici film sentimentali americani e poi fatto l’amore nel loro microscopico appartamento in affitto. Solo con lei, pensava ingenuamente Joe, sarebbe volato un giorno in America. Quella decisione però non arrivava, pareva sempre ostacolata, sabotata da qualcosa e Joe cominciò ad avere la reputazione di persona inerte e pavida fino a quella sentenza inappellabile di Marta che sancì anche la fine della loro relazione.

Ma venne il giorno in cui tutto cambiò. Joe se lo ricorda ancora quel mattino di primavera in cui notò che lo skyline di fronte a casa era mutato. Dalla finestra della piccola stanza annessa alla cucina, che Joe aveva trasformato in un magazzino e forse per questo ultimamente non aveva frequentato molto, si vedevano ora, nettamente, le sagome di due imponenti grattacieli in costruzione. La visione colpì così profondamente Joe che si mise subito a pulire e sistemare la stanza per poterla meglio utilizzare. Terminato il lavoro e dimenticandosi di tutto il resto, Joe rimase in stato estatico davanti alla finestra, anzi prima di fare ciò pensò bene di stapparsi una birra, lui che non avrebbe mai immaginato in vita sua di bere alcolici di mattina. Ma quello era un grande giorno, se lo sentiva, qualcosa stava succedendo e si trattava di molto più di un presentimento.

Quando raggiunse il suo bar - da circa un anno, facendo debiti, aveva aperto un piccolo locale proprio sotto casa - si trovò ad affrontare alcuni clienti inviperiti. Per giustificare il suo ritardo e ancora euforico per la visione dei due nuovi grattacieli in costruzione disse la verità, disse di essersi perso via a causa di quella novità e perciò di essere felice. Una bomba avrebbe causato meno panico tra i presenti, la tensione crebbe alle stelle. A scaldare gli animi contribuì la presenza di un certo Jonathan, sindacalista in pensione e militante inesausto. Secondo lui il progetto dei grattacieli andava bocciato in toto perché rappresentava “un esempio della cecità affaristica dei nostri politici”. Per fare spazio alla nuova area residenziale era stato inoltre raso al suolo il vecchio stabile che un tempo ospitava la sede del sindacato e ciò “era assolutamente intollerabile” ripeteva Jonathan, arringando la folla presente: “E hanno abbattuto anche l’unico albero del quartiere, sti stronzi…” aggiungeva cercando sostegno tra gli sguardi delle persone appena giunte...nel bar.

Joe aveva ascoltato tutti senza commentare ma si era ben presto accorto di avere pensieri controcorrente: quel progetto di grattacieli di fronte a casa gli piaceva, lo elettrizzava, non poteva nasconderlo. Mentre la maggior parte dei suoi clienti borbottavano la propria indignazione, lui sognava solo il momento di poter correre a casa e rimettersi davanti alla finestra. Chissà se in quel giorno erano stati fatti dei progressi? Chissà se erano già visibili?

Quella sera, dopo aver ordinato un BigMac + Chips con il servizio delivery, si era rimesso in postazione a guardare quei giganteschi “mozziconi” in crescita e quasi a voler, lui stesso, dare impulso a quella progressione verso l’alto appese una foto dello skyline newyorkese proprio accanto alla finestra.

Passarono altri mesi e furono mesi di grandi cambiamenti per tutti.

Come spesso succede, alle scelte urbanistiche fecero ben presto seguito trasformazioni sociali ed economiche in tutta l’area interessata. L’improvvisa presenza sul mercato di immobili di lusso nuovi, fece schizzare verso l’alto il valore delle case e dei negozi già esistenti. Moltissimi approfittarono per vendere e così show room di moda e lounge bar con ariosi dehors presero il posto di negozi di frutta e officine meccaniche sopravvissute fino a quel momento alla modernità.

Anche Joe un giorno ricevette una super offerta per il suo baretto, due tizi, presumibilmente cinesi, vestiti con completi blu dal taglio modesto, si presentarono da lui e dopo aver bevuto un caffè ed aver molto sorriso appoggiarono sul banco una valigetta 24 ore facendo scattare la serratura. All’interno, ben ordinate, Joe vide decine e decine di mazzette da 100 euro e anche alcune da 500; di queste ultime fino allora ne aveva ignorato l’esistenza. Quel giorno capì quanto aveva stuzzicato l’appetito del mercato immobiliare e di come si ritrovasse in una posizione favorevole.

E lì per lì sentì dentro di sé una voce che cercava di spronarlo a vendere, a non perdere quella incredibile occasione.

Ci pensò papà Nunzio, dal tempo dell’ictus bloccato su di una sedia a rotelle, a schiarire le idee al figlio: “Lasciali sfrigolare un pochino sulla graticola quei due musi gialli, non avere fretta”, aveva detto con quel suo sguardo da contadino saggio, infilzando con decisione l’ultimo maccherone al sugo di mamma Assunta. E così Joe aveva fatto, fidandosi ancora una volta del padre. E dopo pranzo era subito corso a lavorare al suo bar perché, va detto, il lavoro stava aumentando, c’era un flusso inarrestabile di gente nuova che andava e veniva, soprattutto alla sera. Avevano appena aperto a pochi metri dal suo bar un pretenzioso wine-bar con poltroncine di vimini e ombrelloni ma Joe non aveva battuto ciglio. Il suo minuscolo baretto di quartiere con pochi posti a sedere e un lungo e invitante bancone con sgabelli era unico. Impreziosito recentemente con un bellissimo juke-box vintage, caricato con molti dei dischi della collezione personale, soprattutto classici americani, il bar di Joe aveva i suoi clienti affezionati. Da lui la musica era di qualità, questo era poco ma sicuro – pensava Joe – tutte le volte che osservava con piacere la gente passare le serate nel suo locale. Gente che quando scopriva l’atmosfera di quel posto autentico, ritornava. Un po' come quella ragazza afro-americana di nome Angel, probabilmente una fotomodella – che Joe aveva subito notato e che era già ritornata tre volte, prima con un’amica, l’ultima volta da sola.

Una notte, nella solitudine della sua casa, davanti alla visione dei due grattacieli ormai quasi completati, Joe si ritrovò a pensare per la prima volta a lei e sentì un calore strano all’altezza del cuore.

Successe che Angel capitò un giorno nel bar di Joe tutta trafelata, completamente bagnata a causa di un piovasco improvviso. Salutò con un sorriso, ordinò un succo di ananas e si sedette a un tavolo iniziando a fare alcune telefonate. Joe, che non la perdette mai di vista, udì, suo malgrado, parte di quelle conversazioni e capì che la ragazza era un po' in panico a causa di una imminente intervista per un casting di moda. Fradicia di pioggia, lei pensava, avrebbe avuto poco chance di successo, l’incontro era imminente, non sapeva come fare.

E così Joe, con un coraggio un po' spudorato che normalmente non gli apparteneva, la chiamò e prendendola in disparte, con discrezione, le offrì la possibilità di usare la sua casa, eventualmente la sua doccia, tutto quello che insomma lei avrebbe ritenuto necessario per rimettersi in ordine e sentirsi a proprio agio, pronta per affrontare l’intervista.

La ragazza strabuzzò gli occhi e sorrise, ma non si spaventò, anzi, ringraziò e ringraziò ancora più volte. E quando tornò per riportargli le chiavi lo baciò dicendogli “sono di New York” e Joe per tutta la sera non seppe decidersi quale delle due cose gli fosse risultata più gradita.

Poi per due settimane, che a Joe parvero mesi, lei sparì. E lui provò per la prima volta il sentimento dell’appartenenza e della mancanza e anche la paura della perdita.

Quando riapparve per Joe fu un giorno di festa. Si salutarono come vecchi amici, lei era ancora più bella delle altre volte. Lei si lanciò con l’idea di un invito a cena per ringraziarlo dell’aiuto offerto giorni prima, lui ribatté con una proposta ancora più intima, una cenetta a casa, dicendo:
-Mi piacerebbe cucinare per te...
Lei disse:
-Wow!
E così presero il volo insieme e da quel giorno non si lasciarono più.

-Una negra in casa mia, mai! - aveva risposto Nunzio a suo figlio Joe, la prima volta che lui si era deciso a raccontare della sua relazione con Angel. L’inizio, dunque, non era stato dei più promettenti.
-Papà, guarda che Angel è americana - aveva ribattuto Joe cercando di ammorbidire quella ostilità inattesa.
-Americana, cinese, a me non interessa, le donne si scelgono del proprio paese! Guarda me, guarda quella santa donna di tua madre. Anche lei è pugliese. Non sarei riuscito a sopportare una calabrese e tu mi arrivi con un’africana. A volte mi chiedo se tu sia veramente figlio mio…
-Non te l’ha detto la mamma?, aveva aggiunto Joe, con un sorriso a dir poco beffardo.
-Ehi! Datti una calmata. E rispetta tuo padre. Ho fatto molti sacrifici per te, ragazzo, te lo sei dimenticato? A proposito, a che punto sei con le rate della banca?
-Ho saldato tutto. Basta debiti…
-Saldato tutto? In che senso, scusa... non riesco a seguirti. Un mese fa mancavano ancora 74 rate, e tu ora mi vuoi far credere che…
-Tutto pagato, stai sereno pa’. E ti sono profondamente riconoscente per tutto ciò che hai fatto per me.
-Mi stai nascondendo qualcosa... non so cosa... ma sento che…
-Settimana scorsa sono ritornati i cinesi. Con una offerta raddoppiata. Prendere o lasciare. Una cosa così capita una volta nella vita… e…
-Non dirmelo… hai venduto tutto…?
-Sì! Il tuo consiglio era giusto, abbiamo fatto bene ad aspettare.
-Non mi incanti con la tua sviolinata stridula sai?
-Nessuna sviolinata pa’, quando vedrai la cifra smetterai di mugugnare come un…
-Come un?
-Niente dai, ti prendo un po' in giro per alleggerire tutta sta pesantezza, Dio santo, ma come si fa a vivere così? Domani mattina ti porto tutti i documenti della banca e mi darai ragione. Vengo domani che poi venerdì parto e…
-Il signorino ha deciso di partire... e sentiamo, dove sarebbe diretto?
-Vado a New York a conoscere i genitori di Angel. Non voglio anticiparvi nulla ma c’è aria di nozze. Angel è un incanto. Sono veramente innamorato perso.
-Perso sicuramente, lo si vede dalla faccia e dalle follie che quella tua testa bacata è riuscita a produrre e ad esprimere negli ultimi minuti. Quindi il signorino ha venduto tutto e ora va a New York a sposare la sua negretta… Forse non avremmo dovuto permetterti di guardare tutti quei film americani...va bene la passione per l’America, ma qui mi sembra che la situazione precipiti. Assunta, fammi la cortesia, prendimi dell’acqua… e aprimi sta finestra che mi manca il respiro.
-Angela è bellissima” sussurrò la madre strizzando l’occhio al figlio.
-Assunta, ma allora? Me la vuoi portare quest’acqua che ti ho chiesto o devo andare io a prendermela?
-Papà, la situazione non sta precipitando... scusa se ti contraddico ma al contrario qui le cose prendono il volo, si fanno luminose e alte…
-Assunta, guardalo bene tuo figlio perché lo stiamo perdendo - dice Nunzio con espressione mesta.
-Nunzio ma che c’hai che vedi tutto nero? Io sono felice per il nostro Joe. Lui in fondo l’ha sempre detto, l’ha detto da subito, da piccolissimo, io voglio andare in America, io sono americano. E di cosa ci sorprendiamo, Nunzio!
-Ma l’America è un continente immenso, sperduto. Le città sono popolate da milioni di persone, c’è molta violenza, c’è tanta gente che dorme per strada, barboni, drogati, negri anche là…
-Papà, per favore potresti smetterla con questi sentimenti razzisti veramente indegni?
-Il signorino si indigna…
-Ecco l’acqua, Nunzio, adesso calmati per favore… calmati.
-Io sono calmissimo, vedo solo che qui in questa casa si è perso il senso di appartenenza e l’ubbidienza al capo. Quindi da questa mia nuova posizione subalterna, diciamo così, vorrei fare un’ultima domanda al signorino americano: e il lavoro? Come pensa di sopravvivere lui? Ma forse è convinto che tutti là lo stiano aspettando…
-In effetti è un po' così.
-Madonna mia addolorata, questo è pazzo.
-Se mi lasciassi parlare…
-Mi fai paura… ti giuro, ora mi fai paura.
-Se mi lasciassi parlare ti direi che il fratello piccolo di Angel, Frank, un simpatico ragazzo di 24 anni, da due anni fa il cameriere in un ristorante nel quartiere italiano, un vero ristorante italiano, gestito da italiani già da due generazioni. Stanno cercando un barista tutto fare, uno insomma che quando c’è da fare un cappuccio con la schiuma a forma di fiore non gli trema la mano ma che sappia anche destreggiarsi con vini e cocktails… ed io, modestamente…
-Ah!
-Preparati a sparare un altro Ah! perché ora viene il bello del racconto. Il ristorante si chiama Gallipoli. E la vuoi sapere una cosa? Quando hanno saputo che anche tu sei di Gallipoli, il proprietario quando ha sentito il tuo nome mi ha detto che già ti conosce.
-Non ci credo. E come si chiamerebbe questo pugliese d’importazione?
-Ezio Cataldi.
-Nooo... Enzino? Ma non può essere, in paese mi avevano detto che era morto. E poi che ci fa a New York?
-Enzo Cataldi, esatto. Enzillo per gli amici. Padre mio sei convinto ora che sono ben protetto? E non c’è nulla che io possa veramente temere in America… lo capisci ora o no?
-Beh, certo che se le cose stanno così, tutto cambia, e perché non me lo hai detto subito?
- Non mi facevi parlare.
-Assunta, guarda che in frigorifero dovrebbe esserci ancora quella bottiglia di moscato che... che…

Quelle furono le ultime parole di suo padre.

Joe fece appena in tempo ad accorgersi che c’era qualcosa di strano e lo vide accasciarsi su se stesso come una marionetta che perde il sostegno dei fili. Il fatto che Nunzio fosse seduto sulla sedia a rotelle evitò che rovinasse a terra ma l’effetto fu il medesimo. La madre iniziò a piangere e a urlare. Joe chiamò l’ambulanza e corse a chiamare i vicini che però crearono più confusione che altro. Quando finalmente arrivò il medico si capì che Nunzio se ne era andato, che non c’era più nulla da fare e Joe, scoppiò a piangere cogliendo con sorpresa anche un sentimento sconosciuto di pace dentro di sé. E di fierezza. In fondo era riuscito a realizzare qualcosa di grande e bello nella vita e in quel sogno c’era sempre stato anche il padre. Ed era riuscito a dirglielo in tempo.

A causa di questo evento imprevisto la partenza per l’America venne rimandata, ma non cancellata. Circa un mese dopo, infatti, Joe e Angel lasciarono l’Italia alla volta di New York.

Il sogno di una vita parve realizzarsi con grande naturalezza, senza contraccolpi emotivi particolari. Quando Joe mise piede a terra gli parve di riconoscere anche l’odore dell’aria. Tutto gli era terribilmente famigliare. E tutto corrispondeva a quanto per anni aveva immaginato. Per questo la nuova vita americana prese il suo corso immediatamente e senza ostacoli.

La famiglia di Angel apparteneva alla “Black Upper Class”, avevano un appartamento a Chelsea e una casa di vacanze nel Long Island. Il padre di Angel, Mike, era un noto produttore discografico mentre la madre, Annie, era una combattiva avvocatessa impegnata nella difesa dei diritti umani. Joe fu accolto come un figlio. I genitori di Angel apprezzarono subito moltissimo quell’italiano così atipico e così americano, tanto che pareva conoscere gli States meglio di loro che ci erano nati.

Joe e Angel si sposarono in una bella domenica di primavera. Per l’occasione arrivò dall’Italia una piccola delegazione di parenti e anche mamma Assunta che non aveva mai viaggiato in aereo prima di allora. Sposi e ospiti dopo la cerimonia si fermarono a pranzo in uno dei locali più trendy di NY, il “Lunchwithaview” situato sull’avveniristico terrazzo panoramico denominato “The Edge”.

Questo evento – gli apprezzamenti superlativi di chi vi partecipò – e le numerose altre occasioni in cui Joe si fece conoscere dalla gente nel quartiere, contribuirono a generare una benevolenza diffusa nei suoi confronti. Non di rado capitava di vedere perfetti sconosciuti intenti a salutarlo per strada, alcuni addirittura intenzionati a stringergli la mano. Un giorno un ragazzotto con i jeans strappati e il cappello da baseball messo di traverso, vedendolo passare, gli urlo un: “Sei uno di noi!”. Ecco forse quelle erano le parole più preziose che si potessero regalare a Joe. Sì, lui era tornato a essere uno di loro. Questo sentimento di pienezza raggiunta lo trasformò completamente, gli diede una chiarezza e una forza indomabile spianandoli la strada verso un successo che parve non avere limiti.

Con il patrimonio famigliare rimasto Joe comprò un piccolo chiosco all’interno del famoso Chelsea Market, un posto per mangiare street food di qualità. Nonostante la concorrenza agguerrita e non solo italiana, andare a mangiare da “Joe” divenne in pochi mesi un punto di attrazione tra i più importanti della città, tanto che già dopo due anni dall’apertura Joe ricevette una proposta di acquisto corrispondente al doppio del suo valore inziale. In due anni vendette il locale e si concentrò sul marchio e sulla sua commercializzazione. Fu invitato a partecipare ad alcune trasmissioni televisive dedicate alla cultura della buona tavola, il famoso editore Manson di New York volle pubblicare un suo libro di ricette che in poco tempo scalò la classifica e divenne un bestseller assoluto.

Dall’altra parte Angel parve non voler essere da meno: apparsa quasi per caso sulla copertina di Vogue, Angel venne notata da un’importante Maison di profumi e dopo una fortunata campagna pubblicitaria internazionale adottata come unica testimonial.

Gli anni passarono veloci in un crescendo di eccitazione, progetti e gioia di vivere. Figli, seppur desiderati, non arrivavano, ma in fondo che fretta c’era? Avevano tutto. Mike, il padre di Angel fece conoscere a Joe alcuni templi del jazz americano dove si esibivano regolarmente i più grandi interpreti del momento. Altre volte tutta la famiglia festeggiava le ricorrenze importanti al Four Season’s Bar dove in più di una occasione Joe visse l’elettrizzante esperienza di bere un aperitivo a fianco di star hollywoodiane in carne e ossa.

Poi, improvvisamente, qualcosa si incrinò.

Il punto di svolta fu determinato da un incidente in moto. Già da qualche anno Joe possedeva una Harley Davidson Road King, uno dei suoi tanti sogni realizzati. Quell’estate decise di fare una lunga escursione verso Est, diretto ad un minuscolo paesino del Kansas, di nome Alma, distante circa 200 miglia da Kansas City. Lì ad attenderlo quella volta c’erano Angel e una coppia di amici, residenti a NewYork, ma originari della zona. Il viaggio, diviso in due tappe, avrebbe permesso a Joe di vivere per la prima volta la vastità degli Stati Uniti e non c’era modo migliore di fare una esperienza così che a bordo di una moto leggendaria.

Purtroppo, qualcosa andò storto. Lungo un rettilineo infinito, tra campi di grano e terreni brulli subito dopo la cittadina di Topeka, Joe incrociò uno dei tanti camion in viaggio tra una costa e l’altra degli Stati Uniti. Lo spostamento d’aria non fu gran che, considerata la mole del semi-articolato, ma il riflesso del sole su di una cromatura di quel gigante della strada ebbe un effetto micidiale in uno degli specchietti della moto di Joe. Che per questo motivo iniziò a sbandare piegando verso l’esterno della carreggiata fino a trovarsi a velocità sostenuta, fuori dalla linea asfaltata, tra il pietrisco e la sabbia. Forse a causa della scarsa dimestichezza con il mezzo - in fondo prima di allora aveva usato la moto solo in città - Joe perse il controllo e si ribaltò rotolando giù da un dirupo. La rovinosa caduta gli fece perdere i sensi, ma ciò che fu peggio fu il fatto che nessuno, tra gli automobilisti di passaggio, si accorse dell’accaduto e trascorsero più di 24 ore prima che una pattuglia della polizia di Topeka, allertata dalle numerose richieste di aiuto di Angel e dei suoi famigliari, riuscisse a localizzare il corpo del malcapitato. La vita gli fu salvata ma l’incidente ebbe conseguenze devastanti: a Joe venne amputata la gamba destra sopra al ginocchio e quello fu per lui l’inizio di un calvario che non ebbe più fine.

Perchè a me?

Per mesi fu quella la domanda che risuonò ossessivamente nella mente di Joe mentre la vita lo metteva di fronte alla sua nuova condizione di disabilità permanente. I medici avevano fatto un ottimo lavoro e anche gli ortopedici e i fisioterapisti nell’opera di riabilitazione post-traumatica non erano stati da meno. Nonostante ciò, ogni sera, quando Joe si svitava la protesi per metterla sotto il letto, non poteva fare a meno di provare una profonda tristezza. Una sofferenza che neppure la presenza della sua Angel riusciva a lenire ma, al contrario, pareva acuire.

Come sarebbe stata la sua vita?

Quella nuova domanda fu per Joe il preludio di un lungo periodo depressivo. Agli antidolorifici si aggiunsero ben presto gli psicofarmaci e questo mix di sostanze insieme alla vita più sedentaria cominciò ben presto a mostrare i suoi effetti sul corpo che si gonfiò e si deformò rendendo Joe irriconoscibile anche a se stesso.

“Vorrei scomparire” disse Joe un giorno per la prima volta ad alta voce. Era di fronte al mare, seduto sulla sedia a rotelle nella bella veranda della casa dei suoceri a Southampton, nel Long Island. Accanto a lui c’erano Angel e tutta la famiglia, sorridenti ed euforici per la bellissima giornata di sole e la prospettiva di un lungo weekend di relax. Nessuno udì le parole di Joe.

Quando tre anni dopo Angel parlò per la prima volta di Liam, Joè sentì una netta fitta al cuore e cominciò a capire che il suo sogno americano si stava letteralmente sfilacciando come aveva visto succedere alle nuvole nei cieli ventosi di inizio primavera. Lo stato di sofferenza permanente, la solitudine e l’offuscamento della mente avevano trasformato Joe in un’altra persona. L’ottundimento dei sensi non era però riuscito a scalfire la ricchezza della sua memoria.

Davanti alla finestra del salotto, al decimo piano della palazzina che dava sul parco, Joe passava le ore a ripensare all’infanzia, ai suoi primi, timidi sogni americani, alle fantasie e a tutto quello che giorno dopo giorno si era generato dentro di lui e che gli aveva permesso di entrare in sintonia con quel luogo straordinario dove viveva.

Il giorno che insieme ad Angel incontrò Liam sotto casa non poté evitare di guardare e invidiare le sue gambe, virili e muscolose. Gli fu chiaro che quelle gambe appartenevano all’uomo che da lì a poco gli avrebbe rubato la sua Angel ma contrariamente a qualche mese prima, quando varie volte si era sentito morire dentro alla sola idea di perderla, in quel momento provò una sensazione diversa, un sentimento di accettazione vero e profondo. Il sogno americano appariva come un fascio di luce che per un tempo memorabile aveva illuminato la sua vita e che ora gradualmente si stava spegnendo.

Si avvicinava la fine della commedia, tutti gli attori e le attrici stavano uscendo di scena uno dopo l’altro. E lui sarebbe presto rimasto solo, ma non abbandonato, bensì proiettato verso un ruolo nuovo.

Giunse in quei giorni, inaspettata, una telefonata dalla madre. Negli ultimi anni la donna, molto anziana, si era trasferita nella terra dei suoi antenati, ospite di una sorella, a Gallipoli. Le immagini di quel mondo così diverso da New York che di tanto in tanto gli giungevano dalla madre gli avevano spesso riscaldato il cuore. Tutto avrebbe immaginato meno di avvertire lui stesso una struggente nostalgia per l’Italia che lo colse e che generò ben presto in lui il desiderio di lasciare l’America e tornare a casa.

Fu una decisione lieve, maturata in pochi giorni. Preparò la sua valigia approfittando dell’assenza di Angel, in quel periodo all’estero per lavoro e dopo aver lasciato un breve scritto di congedo dalla moglie e con lei da tutta l’esperienza di vita in America, chiamò un amico dei tempi della ristorazione, anche lui italiano e si fece accompagnare all’aeroporto.

Giunse a Gallipoli alla sera del giorno seguente, stremato dal viaggio, dal fuso orario, dalle emozioni.

Venne accolto da un folto gruppo di parenti pressoché sconosciuti ma non per questo meno affettuosi. In mezzo a quella moltitudine, facendosi largo a fatica con le stampelle, Joe riconobbe subito la figura minuta della madre, divenuta ancora più piccola e contorta, quasi come un ramo di pruno – pensò – e nell’abbracciarla ritrovò l’odore di casa che scoprì di non aveva mai perduto.

Lo fecero mangiare più del necessario mentre lui avrebbe voluto in realtà solo bere qualcosa o stare a guardare la linea del mare che nel frattempo mutava colore riflettendo il cielo incandescente. Fu impressionato soprattutto dalle case basse, dall’assenza di automobili, dai vicoli animati dalle corse dei bambini e dei gatti, dai gabbiani in picchiata sull’acqua lucente come oro.

Qualcuno alla fine della serata si offrì di accompagnarlo nella sua futura casa, qualcuno tentò di farsi bello con gli altri improvvisando con Joe una improbabile conversazione in inglese, ci fu chi gli chiese addirittura dei soldi.

Ma fu grazie a un moto di accettazione e gratitudine che aveva percepito forte dentro di sé fin dal primo momento, che fu in grado di giungere fino al letto senza danni e quando si addormentò sentì il sorriso sulle sue labbra. Stava scrivendo una nuova pagina della sua vita.

Una vita nuova che fin da subito si rivelò benefica e generosa con lui.

L’unico uomo senza gamba di tutto il paese divenne ben presto nell’immaginario collettivo la figura di un pirata e per anni i bambini e i ragazzini di Gallipoli fantasticarono su questo nuovo compaesano dall’accento curioso e dalle mille storie da raccontare. Perchè Joe non si tirò indietro, amò tantissimo quel suo nuovo ruolo di cantastorie/navigatore e poté con estrema disinvoltura pescare tra le esperienze e i luoghi vissuti realmente in America per creare storie che lasciavano tutti a bocca aperta. Così la gamba mancante divenne il terrificante ricordo dell’incontro con uno squalo e le cicatrici delle bruciature da cucina i segni delle torture di popolazioni selvagge di qualche isola sperduta nell’Oceano.

Ci fu poi chi approfittò della presenza di Joe semplicemente per le sue conoscenze di lingua inglese, successe così che studenti di vario livello beneficiarono enormemente della sua esperienza aggiungendo spesso alla richiesta di delucidazioni linguistiche anche domande curiose sulla vita d’oltreoceano. L’ufficio di informazioni turistiche locale nominò sul campo Joe quale insostituibile collaboratore soprattutto in vista di un crescente interesse per la Puglia da parte dei turisti americani.

Fu così che Joe si ritrovò spesso in compagnia di persone di New York, Los Angeles, Chicago e in veste di guida alle bellezze del territorio di Gallipoli con prolungata esperienza di vita negli Stati Uniti ebbe subito un grande successo. Ci fu anche una frizzante vedova di Miami, una certa Gail, che si invaghì di lui al punto da volerlo con lei in America ma Joe rifiutò con fermezza quella proposta dicendo: “Grazie, ma il mio posto ora è qui”.

Un altro motivo di gioia fu ritrovare gli amici e i parenti del padre. E con loro visitare i suoi luoghi di infanzia e ascoltando i racconti dei vecchi, ricostruire la sua storia. Un tassello importante che Joe aveva sempre voluto ignorare, a causa di rancori e conflitti irrisolti e che ora gli era più caro e prezioso che mai.

Venne l’inverno e mamma Assunta morì. Aveva 96 anni. Pochi giorni prima di andarsene, con la sua proverbiale generosità, aveva chiesto della farina per preparare orecchiette per tutti. Quella volta non fece in tempo.

Pochi mesi dopo, in modo simile al padre ma con qualche anno in più, Joe ebbe un ictus mentre si trovava a pesca di occhiate a poche miglia dalla costa. I soccorsi tardivi lo lasciarono particolarmente offeso nel corpo tanto che alla degenza ospedaliera seguì, quasi in automatico, la sua permanenza in un centro per anziani da dove Joe non uscì più.

La vita, imprevedibile e fantasiosa nel suo continuo dipanarsi regalò però a Joe un’ultima perla prima dell’offuscamento e della discesa nell’oscurità. Successe durante una visita parenti, un pomeriggio fresco d’autunno. Gli ospiti della casa di riposo erano stati posizionati all’aperto, in un ampio giardino pieno di alberi di agrumi e ulivi. Joe, che era quasi completamente paralizzato ma aveva mantenuto una certa lucidità di mente, si mise come sempre a osservare i visitatori. Solo di rado capitava che venisse qualcuno da lui e quando succedeva si trattava solitamente di suoi ex studenti ormai adulti. Quel giorno Joe notò tra la folla una donna che ebbe l’impressione di conoscere. Non era alta, a differenza di tutte le altre donne pareva aver mantenuto la forma naturale dei capelli, legati indietro con un elastico. Avrebbe potuto essere una sua coetanea.

Quando essa gli passò davanti, diretta molto probabilmente verso uno degli anziani presenti, lui non riuscì a trattenersi e con viva voce disse:
-Marta!
Lei subito si voltò.
-Joe! Ma sei tu?
-Sì!
-Ma non ci credo!

Fu quello il momento in cui il loro sguardo, dopo cinquant’anni, si incontrò di nuovo. Lei avrebbe voluto chiedergli se alla fine era riuscito a realizzare il suo sogno. Per pudore, non lo fece... Lui le sorrise con gli occhi.

Lei capì.