Edizione celebrativa (Atlantic/Warner) del sessantesimo anniversario di uno dei capolavori del jazz modale, capace ancora di incantare e arruolare alla causa del jazz nuovi ed entusiasti seguaci. Pubblicato nel marzo 1961, My Favorite things fu il primo album in cui John Coltrane decise di utilizzare anche il sassofono soprano oltre al suo inconfondibile timbro al tenore, evolvendo la sofisticata estetica del suo quartetto, che sarebbe divenuto poi inscindibile e costituito in primis dai titanici McCoy Tyner (piano) ed Elvin Jones (batteria). Il bassista, Steve Davis, sarà presto sostituito dal fedelissimo sodale Jimmy Garrison, l’unico che resterà al fianco di Trane praticamente fino al termine della sua carriera. Dalle sessions dell’ottobre ’60 del neonato quartetto ,nascono ben tre album: Coltrane plays the blues, Coltrane's sound e, appunto, My favorite things, capace di un ulteriore colpo d'ala e basato su un brano popolare del musical di successo The Sound Of Music, (in italiano conosciuto come Tutti Insieme Appassionatamente nella trasposizione cinematografica, la cui protagonista era una più che mai indimenticabile Julie Andrews), trasformato in un veicolo per un'ardente improvvisazione jazz di influenza orientale, con l'allora sconosciuto sax soprano.

Poco prima dell'inizio delle sessioni di registrazione, Coltrane discusse di quella scelta con la rivista Down Beat: "Ho dovuto adottare un approccio leggermente diverso da quello che uso per il tenore, ma mi aiuta ad allontanarmi, mi permette di dare un altro sguardo all'improvvisazione. È come avere un'altra mano". La title-track sarebbe divenuto uno degli standard più battuti, partorito dall'acclamato sodalizio costituito dai compositori Rodgers & Hammerstein: nella visione di Coltrane diverrà un suo marchio di fabbrica. Lo spunto per ruggenti cavalcate specie nei concerti, che spesso si protraevano ben oltre la mezz'ora, che effettuò praticamente sino al termine della sua carriera. Un brano affrontato spavaldamente in 6/8, tempo piuttosto inusuale per la cornice di provenienza, con un lirismo totalmente diverso rispetto all’hard bop imperante.

Il tema è semplice e ha la peculiarità di non toccare mai la 3a dell’accordo, può essere dunque eseguito in modo maggiore o minore senza che siano necessarie correzioni nella melodia, elemento pienamente sfruttato dal quartetto, che passa ripetutamente dal modo minore a quello maggiore e viceversa. Addirittura regale risulta l’intervento solistico di Tyner, che mette a segno un improvvisazione minimalista, ma al tempo stesso ritmica e spaziosa, con strabilianti patterns ritmici ripetuti, che modellano un’atmosfera dagli accenti circolari ed ipnotici. La capacità dei quattro musicisti di sviluppare un interplay libero e complice in ogni istante è così nitida da essere ancora oggi oggetto di studio e approfondimento. Pregevole il mix in mono che si riteneva perduto e che invece è presente, ovviamente in versione integrale sul secondo disco. Gli LP sono confezionati in una replica della custodia originale del disco, con un libretto che contiene foto rare, altri elementi storici dell'epoca, con nuove note di copertina, scritte dall'autorevole giornalista musicale/autore Ben Ratliff.

Nelle note, Ratliff offre la sua opinione su My favorite things:

Per essere un disco che molte persone hanno ascoltato, la versione LP di questo album viaggia in modo impressionante con la giustapposizione fra Mi maggiore e Mi minore. Un qualcosa che ti gira intorno; ti accerchia quasi, conferendoti la piacevole impressione, a volte, di non sapere dove ti trovi.

Un anno dopo l'uscita di questa pietra angolare, John Coltrane ribadì il concetto portante dell'album alla rivista Jazz Hot:

My Favorite Things è il mio pezzo preferito di tutto quello che abbiamo registrato. Non credo che mi piacerebbe rifarlo in nessun altro modo, anche se tutti gli altri dischi che ho fatto potrebbero essere migliorati con qualche dettaglio. Questo tema invece è fantastico: quando lo si suona lentamente, ha un aspetto 'gospel', che non è affatto sgradevole; quando lo si suona velocemente, ha certe altre qualità innegabili. È molto interessante scoprire un terreno che si rinnova secondo l'impulso che gli dai; ed è questo il motivo per cui non suoniamo sempre questo brano nello stesso tempo.

È la chiave di volta sonora di un album di sole quattro tracce che non conteneva materiale originale, ma mostrava come Coltrane potesse prendere degli altri aurei standard di Cole Porter e George Gershwin (inclusi Ev'rytime We Say Goodbye e Summertime) e trasformarli in intense meditazioni jazz, che meriterebbero quasi un capitolo a parte oltre ai fiumi d'inchiostro già versati.