Saverio Mercadante scrisse la romanza L’araba. Era un padre adottivo, il compositore di Altamura (1795-1870), e ascoltando questa sua “figlia” in musica si può intuire un coinvolgimento. Giungo dall’Arabia e tutti deridono il colore della mia pelle, canta la ragazza, non capiscono che dentro di me c’è il fuoco, il calore del sole.

Teresa Iervolino, mezzosoprano, 33 anni, infastidita dai limiti delle apparenze è sorella in spirito dell’esule immaginaria: “Se io interpreto chi ha perso il proprio amato o la propria amata che importa se sono una donna o un uomo? Se sono struccata o truccata? Importa che il mio sentimento arrivi al pubblico che ho di fronte”.

Cominciamo, allora, proprio dalla libertà del ruolo.

Che cos’è la libertà? Dal punto di vista utopistico ci sarebbe da parlare per ore intere, in concreto vedo la libertà come la possibilità di potermi dare in maniere diverse al mondo. Esprimermi, essendo chi voglio essere in quell’istante. Quante volte la mattina ci alziamo e ci sentiamo una persona mentre il giorno dopo siamo diversi? Ci si guarda allo specchio: “Mah, sono qui. Vorrei essere altrove?”. L’arte, in questo caso l’opera, mi offre l’opportunità di poter essere qualsiasi cosa io desideri. Noi siamo tutto e niente. Da mezzosoprano posso permettermi i ruoli en travesti dove il mio lato maschile viene fuori. È una fortuna ed è bellissimo perché la società e l’educazione che ci è stata data dalla Chiesa ci portano a comprimere, se non a sopprimere, il nostro senso di libertà.

Di recente, al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, sono stata Beppe in L’amico Fritz di Mascagni. Uno zingaro, l’opposto degli altri intorno a Fritz che non vuole sposarsi, ma è condizionato da gente che si sposa. Beppe è l’unico cavallo selvaggio, che corre e non si cura di nulla se non del bene di chi lo circonda. Vorrei essere così nella vita, purtroppo non è facile.

Ci provi sempre?

Sì, ma siamo esseri umani e l’egoismo, e l’egocentrismo, magari in piccole dosi, sono in tutti noi. Homo homini lupus… Personaggi come Tancredi, un eroe che combatte per l’amore, per la fede, per la patria, mi permettono di riuscirci, anche se solo nella finzione. Che poi non è del tutto finzione: il teatro è pure verità. Sono onorata di poterlo fare e spererei che uno spettatore nel vedere Beppe correre ribelle si dicesse: è tempo di abbandonarsi a un po’ di stramberie.

Ho interpretato molte cenerentole. Cenerentola è uno dei ruoli che preferisco, l’ho sempre sentito mio perché Cenerentola è un’opera tragicomica, non buffa. Ha un lieto fine, ma durante il percorso la protagonista viene maltrattata di continuo dalle sorellastre Clorinda e Tisbe, il patrigno la picchia. Don Magnifico è un tipo bruttissimo, un violento che non si interessa nemmeno delle sue due figlie, ma ai soldi che possono fruttare. Nella musica di Rossini c’è tutto ciò e in Cenerentola ho trovato i valori che cerco sempre di portare con me.

Una delle sue frasi più belle: “E sarà mia vendetta il lor perdono” mi fa venire la pelle d’oca, mi viene da piangere. Infatti chi ci fa del male non sta bene.

Contiene il male che provoca.

Appunto. Non sono praticante però le scritture sono importanti per me. “Porgi l’altra guancia” è solo un modo di farci capire come dovremmo imparare a vivere per noi stessi. So che è difficile, quasi utopistico, ma sarebbe la vera vittoria. Leggevo settimane fa: una persona m’incendia la casa, se la inseguo furiosa la mia casa andrà in cenere, se la lascio fuggire e cerco di spegnere il fuoco probabilmente salverò la casa e ricostruirò meglio la stanza distrutta.

Finché avrò voce vorrei diffondere il concetto che qualunque forma d’arte ha il potere di ricordarci quello che nella quotidianità dimentichiamo totalmente ed è un concentrato di energie positive che ci faranno svegliare meglio l’indomani. E istruttiva. Una recita di Macbeth ti spiega come la mente può muoversi e dove può arrivare.

L’artista è “servo” del pubblico. Se abbiamo avuto un dono siamo in dovere di impiegarlo. Non sono un dottore che può salvare vite, ma forse posso salvare anime. Salvare, no. È un parolone e me lo rimangio. Aiutare sì, però. Partendo dalla mia di anima.

Se dovessi deviare da questa strada preferirei insegnare matematica all’università: avevo fra l’8 e il 9.

Torniamo a Mercadante.

Sono una cantante rossiniana. Canto anche Donizetti, Bellini e tanto barocco. Adoro Haendel, follemente. Durante la pandemia siamo stati psicologicamente colpiti e ognuno ha cercato il sistema per ritrovare la serenità. Io ho cominciato ad ascoltare autori che si rappresentano di meno, per esempio Mercadante del quale ho chiacchierato a lungo con il mio amico musicologo Paologiovanni Maione. Finché anche con Francesco Pareti, musicista esperto di tastiere storiche che insegna al Conservatorio di Napoli, abbiamo fatto una ricerca sulle scritture da camera di Mercadante trovando una serie di brani, tra cui alcuni inediti che mi hanno impressionata. Uno di questi è La fidanzata del demonio, un pezzo indefinibile, di una tale bellezza, e stranissimo, quasi veristico, dove una donna racconta di aver visto un’ombra nel suo castello, di averla scambiata per un angelo donandole la verginità accorgendosi poi, con un urlo di terrore, che è il diavolo. Splendido l’incalzare della musica. È in uscita il CD, che ho inciso con Pareti, La fidanzata del demonio per l’etichetta del Maggio Musicale Fiorentino.

Quante volte a noi donne è successo di conoscere qualcuno che sembrava la creatura più angelica dell’universo e che invece ci ha condotto alla distruzione?

Mercadante ha composto anche dei brani napoletani di musica da camera che mostrano un altro suo lato e mi affascinano perché sono napoletana e il napoletano, lingua non dialetto, è la mia poesia.

Insomma, durante il Covid ho cercato di trovare conforto nella musica, come ho fatto fin da bambina. Ho studiato ruoli nuovi (e cucinato).

Quali?

Alcuni per il mio piacere personale e altri per futuri debutti non soltanto belcantistici rossiniani, con la voglia di allargare il repertorio. Mi piacerebbe molto cantare una Favorita e, tantissimo, Carmen della quale mi affascina la sensualità mentale e non fisica. Io, Carmen, non ti raggiro perché sono bella, ma perché sono seducente, qualunque sia il mio aspetto, tramite un gesto, per come prendo la mano a un uomo, per come prendo un bicchiere. Carmen può afferrarti, amarti, non amarti più, andarsene, sfruttarti, buttarti via, riprenderti. Carmen non è una prostituta, è una donna veramente libera che sa di andare incontro alla morte. Carmen decide di essere uccisa.

Intanto farò Norma al Liceu di Barcellona in un’altra parte che prediligo: Adalgisa. Adalgisa fronteggia Norma che è fortissima, basti pensare alla scena finale del rogo, quindi interpretarla, visto che è più “debole” e dimostra quanto l’amore porti a fare azioni da evitare, e delle quali ci si pente, fa sì che io debba tirare fuori la sua forza. A me piace tirare fuori la forza dai personaggi. L’ho fatto con Beppe, che è una figura povera, blanda, gli ho dato io lo spirito ribelle. Ad Amsterdam farò Cornelia nel Giulio Cesare.

Che calendario! Speriamo…
E a Monaco sarò Maffio Orsini nella Lucrezia Borgia. Anche se lui e gli altri muoiono avvelenati come degli scemi è un personaggio che adoro. In scena con Gubetta scherzano, ridono, si menano e mi fanno pensare alla gioventù, a quanto sia importante per i ragazzi poter sperimentare un’amicizia di gruppo.

Tu l’hai avuta?

Purtroppo no. Ho subito il bullismo verbale perché ero fisicamente sviluppata, già alle elementari. Con il seno.

Come hai reagito?

In un primo momento mi sono chiusa in me, in un secondo momento, grazie a mio padre, mi sono rifugiata nello studio del pianoforte. Durante il liceo scientifico, volevo fare medicina, la musica mi ha completamente rapita. Non mi sono diplomata in pianoforte, sono arrivata all’ottavo anno, ma ho cominciato a studiare canto lirico perché mi interessava il canto in generale.

Ho sempre avuto il timore di rivelarmi, così cantando canzoni già scritte, con parole di rabbia, amore, non ero colpevole di quello che dicevo (ride). Era per potermi liberare. L’ho fatto anche scrivendo un diario.

Scrivi ancora?

Sì, non sono granché, ma mi serve tanto. La scrittura, insieme alla musica, mi ha salvato nei momenti critici. Non dobbiamo atteggiarci a Superman, succede di cadere. Scrivo pensieri, non certo endecasillabi. È un modo per gettare via la negatività, ho imparato che non bisogna mai inghiottire rospi. È fondamentale. Se fossi davanti alla Regina Elisabetta inghiottirei il rospo, ma andrei subito in bagno a sputarlo.

Accennavi alla cucina. Sei una cuoca abile?

Lo deve dire chi mangia i miei piatti.

E che dicono?

Che sono una bravissima cuoca.

Specialità partenopee?

In particolare mi piace preparare i dolci. Spesso sono gli struffoli. Mamma è sempre stata brava, ma non si dedica ai dolci, da piccola li facevo io per mio padre. La devozione della figlia. Il complesso di Edipo…

Ottimo cavarsela con gli struffoli.

Pastiere, zeppole, ciambelle con lo strutto. Soffici. Ultimamente la mia passione è distillare liquori. Sono immersa in un libro con le ricette dei monasteri, delle vecchie signore, le proprietà di erbe e frutti. L’anice stellato, il latte di suocera… Voglio dare valore alla nostra tradizione, al lavoro artigianale. Sono diventata testimonial di una meravigliosa creatrice fiorentina di gioielli, Giovanna, che vorrebbe disegnare una linea dedicata all’opera.

Non basta una vita per scoprire l’Italia, in vacanza resto nei miei luoghi, nel mio Cilento. Il Battistero di San Giovanni in Fonte, la Certosa di Padula, Palinuro, Procida. Marina di Camerota è un posto stupendo.

Chi ti ispira?

Lucia Valentini Terrani. Ogni volta che ho sentito la sua voce, parlo di dischi perché non ho avuto il privilegio e la gioia di poterla ascoltare dal vivo, ho sempre percepito quello che voglio dare io: l’emozione. Non imito nessuno, sono felicissima di essere me stessa e chiedo di essere riconosciuta come Teresa Iervolino, però quello che mi fa provare lei è il motivo per cui ha senso essere artista. La sua Cenerentola è meravigliosa, con quel timbro ambrato, la rotondità che avvolge, racconta una ragazzina buona che cerca di prendere tutto sulle sue spalle e domanda con tanta dolcezza. Cresce, cresce fino a diventare principessa, sempre nella sua bontà, e non dimentica mai che è stata nella cenere. È solo innamorata di quell’uomo, non del rango.

La Terrani, avrei voluto conoscerla. Una cantante magari non perfetta tecnicamente, ma perfetta d’animo.