Lo conosciamo tutti con il nome di Pif, scorciatoia scherzosa e un po' burlona che gli hanno affibbiato i suoi amici e colleghi de 'Le Iene' e che gli è rimasto appiccicato addosso come un cerotto waterproof, di quelli buoni. Ma in realtà lui, Pierfrancesco Diliberto, classe 1972 e simpatia da vendere, non se ne è mai lamentato. Con quella faccia un po' così, quell'espressione un po' così di chi è nato a Palermo ma è cittadino del mondo ha conquistato la televisione e il cinema passando anche attraverso i romanzi. Eppure, nonostante i quattro David di Donatello e numerosi altri riconoscimenti per i suoi film In guerra per amore e La mafia uccide solo d'estate, continua a restare quel ragazzo alto e un po' imbranato che frequentava con poco profitto l'Istituto salesiano Don Bosco di Palermo e che partì per Londra con il sogno di fare il regista.

Il bersaglio lo ha centrato e lo ha anche ampliato diventando una star del palinsesto televisivo, ma è sempre rimasto un 'irregolare', sia nel lavoro che nella vita privata. Mai un posto fisso, mai un matrimonio, anche se da poco più di un anno è diventato padre. “Essere genitore, però, non mi ha cambiato” ci tiene a dire. E nel suo ultimo film come regista E noi come stronzi rimanemmo a guardare, trasporta nel mondo dei giovani e del lavoro la stessa tagliente ironia con cui ci aveva raccontato la mafia. In più c'è quella parolaccia nel titolo che fino ad oggi non sembrava far parte del suo frasario. Lui, però, si giustifica dicendo di averne parlato con la mamma e di aver ottenuto un silenzio-assenso. “Mia madre non ha mai detto una brutta parola in tutta la sua vita: non è che la cosa l'abbia fatta impazzire, però non l'ha neanche bocciata”, spiega a Pisa, prima di un'anteprima affollatissima al cineclub Arsenale. “In realtà la frase viene da Andrea Camilleri che, concludendo un suo intervento affermò: 'Come disse il poeta: E noi come stronzi rimanemmo a guardare'. Gli ho anche telefonato per chiedergli chi fosse il poeta, ma lui rispose che non se lo ricordava...Chissà?... Probabilmente era lui”.

Girato subito prima dell'era Covid, montato durante il lockdown, il film è una commedia tra il drammatico e il comico il cui protagonista, insieme a Fabio De Luigi, è l'algoritmo, delizia, ma soprattutto croce dei nostri giorni. “Pensavo che quello che ho descritto nel film potesse avvenire tra 40 o 50 anni”, commenta l'autore. “In realtà dopo il Covid è già reale: ci ho azzeccato in pieno”.

Senta Pif, lei, oltre a regista, è scrittore, giornalista, conduttore televisivo, attore... E menomale che dice di essere pigro. Altrimenti cos'altro avrebbe fatto?

È vero che sono pigro, però sono il pigro più attivo del mondo. Il fatto è che sono molto perfezionista e soprattutto nel momento del montaggio sono lento. Quindi vengo spacciato per pigro. Però quando una cosa mi interessa mi muovo.

Nei suoi film e nei suoi libri lei usa ironia e sarcasmo. Anche quando ha parlato della mafia. Scherzando si dice meglio la verità?

Forse sarà perché ho avuto un'educazione cattolica, ma nella vita io sono un bigotto, un moralista. Tanto per fare un esempio nei miei film faccio fatica ad inserire scene di sesso, o anche solo un seno nudo. Usando l'ironia spero di sdrammatizzare questo aspetto della mia personalità. Poi è anche vero che a me viene spontaneo raccontare in quel modo.

Lei fa cinema, ma al cinema ci va?

Qualche volta, quando posso. Non amo i film di fantascienza e nemmeno gli horror.

Neanche quelli con scene di sesso...

Veramente come spettatore non ho alcun problema. È solo come autore che non mi piacciono.

Lei ha studiato con i salesiani...

Sì, sì...Ma andavo così male a scuola che il direttore disse a mio padre che dovevo andarmene da quell'istituto perché lì si preparavano i futuri manager del Paese. Sono anche stato bocciato.

Questo lo racconta spesso. Lo vive con un senso di colpa?

No, semmai ora lo rivendico con fierezza. Lo dico sempre agli studenti quando vado nelle scuole: “Ragazzi, se avete voti bassi non è la fine del mondo, non sentitevi dei falliti. Guardate me, magari non sarò diventato un manager del futuro, però... è andata bene lo stesso”.

Si sente già arrivato oppure no? Insomma, cosa vorrebbe fare da grande?

Quello che volevo fare da grande, cioè il regista, lo sto già facendo adesso. Però mi piacerebbe partecipare anche ai festival del cinema importanti senza dover cambiare genere, cioè presentando delle commedie. I grandi festival prediligono film drammatici e lenti. A me invece piacerebbe essere credibile anche nel mondo internazionale restando, però, quello che sono.

Parliamo dell'ultimo film, dove lei affronta non solo il problema del lavoro, ma anche quello della solitudine...

Sì, perché vorrebbero farci credere che siamo sempre in compagnia e che si condivide sempre tutto. Invece stiamo da soli nella nostra stanzetta e il futuro ci renderà sempre più soli.

Colpa della tecnologia?

Sicuramente. Ma io sono a favore della tecnologia, ci sono casi in cui è fondamentale. Pensi a un tetraplegico che non può muoversi dai suoi piccoli spazi e che invece ora può essere a contatto col mondo. Però bisogna stare attenti a non farsi sopraffare. Purtroppo, adesso siamo di fronte ad una degenerazione. C'è gente che diventa miliardaria con la tecnologia e dice che fa tutto per il nostro bene. Invece non gliene importa niente del mondo e del nostro bene.

Nel titolo, però, distribuisce la colpa a tutti noi.

Nel titolo è come se la generazione futura si voltasse verso di noi e ci dicesse: “Guardate che voi come stronzi siete rimasti a guardare”. Nel mio piccolo ego di artista già con questo titolo sottolineo che c'è un problema. Il film è una denuncia, non partitica, ma politica.

Ma perché, allora, questa nostra generazione resta a guardare?

È un atteggiamento un po' italico. Facciamo fatica a prendere consapevolezza. E più si scende nel Sud e più è così. La lotta alla mafia è avvenuta nella passività dei cittadini. A Palermo nessuno ha mai negato l'esistenza della mafia. Veniva negata soltanto la sua pericolosità. Il fatto è che se il cittadino è passivo, allora anche l'amministrazione sarà passiva. Se invece la popolazione si arrabbia, allora ci saranno conseguenze.

Il problema della solitudine, della tecnologia, della dipendenza dell'uomo dagli algoritmi non è però un problema soltanto italiano.

È vero. Magari, però, in Danimarca, tanto per fare un esempio, succede meno. Mi sembra che nel Nord il senso di consapevolezza sia più sviluppato.

Cosa le piace di più in una persona?

Mi piacciono le persone che vogliono cambiare il mondo, quelle che non stanno a guardare.

Ma sono le persone che cambiano il mondo o è il mondo che cambia le persone?

Certo, può essere vero che alla fine è il mondo che cambia le persone. Però io voglio cambiare il mondo, anche se non so se ci riesco. Di sicuro, comunque, il mondo non ha cambiato me.

E come vorrebbe cambiarlo questo mondo?

I grandi uomini possono fare grandi cambiamenti. Però anche nelle piccole cose si può essere incisivi. Ognuno nella sua vita può fare qualcosa che sia utile al mondo. Il cittadino ha molto più potere di quanto si pensi.

Quale è stato il suo primo atto di ribellione?

Quando uccisero Salvo Lima. Avevo 19 anni e il preside venne in classe a dirci che Lima era stato una vittima della mafia. Io mi alzai in piedi e dissi: “Chi va con lo zoppo impara a zoppicare”.

Se pensa che l'uomo possa cambiare il mondo, alla fine lei però ha fiducia nell'uomo.

Sì, sono ottimista. Guardiamo cosa succede quando si crea un ingorgo in autostrada. La maggior parte degli automobilisti aspetta in coda. Solo pochi furbi usano la corsia d'emergenza. Dunque, c'è speranza...

Cosa è il successo per lei?

Fare nella vita quello che più ci piace e si desidera. Quando ci riusciamo, allora siamo donne e uomini di successo. I riflettori non contano. Quello che sta succedendo in questi anni intorno a me potrebbe non esistere più tra breve tempo. Ma io volevo fare il regista e ho raggiunto l'obiettivo. Questo è quello che conta. Questo è il successo.