Osart Gallery è lieta di presentare 4 Rings, 2 Centers, una mostra dedicata all’omonima opera di Robert Morris (Kansas City, 1931 - Kingston, 2018).

4 Rings, 2 Centers era stata esposta inizialmente in occasione della prima personale milanese dell’artista presso la galleria Alessandra Castelli nel 1974. L’opera, di dimensioni monumentali, è composta da sei elementi, per uno sviluppo totale di quasi venti metri. Ad essa è dedicata tutta la sala principale di Osart Gallery, che riunisce ed espone per la prima volta l’installazione e una serie di documenti relativi alla sua prima mostra. In 4 Rings, 2 Centers, il visitatore è coinvolto direttamente: l’opera diventa quasi una soglia sospesa, un luogo di passaggio che trasforma lo spazio circostante.

Il lavoro di Morris interagisce con gli ambienti e con il corpo dei fruitori, interrogandone i limiti della percezione.

A partire dagli anni Sessanta, dopo un iniziale interessamento alla danza, anche grazie alle ricerche coeve della prima moglie Simone Forti, Morris iniziò a introdurre nel suo lavoro procedimenti neodadaisti, spesso utilizzando grandi scampoli di feltro industriale oppure detriti di vario genere, spogliando gradualmente il prodotto artistico di ogni qualità estetica e inserendo in esso il caso come elemento costitutivo. Dopo aver partecipato con questo tipo di opere alle mostre poveriste di Germano Celant, pose l’attenzione su forme costruttive elementari e procedimenti meccanici di creazione, introducendo materiali di produzione industriale come la fibra di vetro e l’alluminio. Delle sue opere minimaliste, Giuseppe Panza di Biumo ha scritto che l’elemento più evidente era il loro “carattere intellettuale e mentale”. Si trattava, secondo il grande collezionista, di sculture in cui la realtà era spogliata di ogni elemento superfluo, e in cui trapelava il significato ultimo e profondo che lega ogni cosa.

Attraverso opere dal respiro ambientale, l’artista ha sempre ridisegnato il contesto, fino a interagire con lo spazio attraverso forme prettamente architettoniche, in cui il fruitore poteva muoversi liberamente, come i suoi celebri labirinti (si pensi, per esempio, a quello concepito per la Fattoria di Celle, in Toscana, nel 1982). Avendo sempre accompagnato attività accademiche e teoriche alla ricerca artistica, Morris ha contribuito a definire diverse tendenze dell’arte americana e internazionale, sia attraverso le sue opere che attraverso i suoi numerosi scritti; è stato infatti uno dei padri del Minimalismo, della Land Art e della cosiddetta “Anti-form”, che lui stesso ha teorizzato, e che trova esempio diretto nei suoi feltri, lasciati pendere dalle pareti in maniera naturale, in modo che il caso diventi parte attiva nella creazione dell’opera, e nei suoi Scatter Pieces, in cui le installazioni sono costituite da detriti ammassati fino a riempire interi ambienti. La scultura, secondo lo stesso Morris, va inserita nello spazio di senso o nello scarto “tra monumento e ornamento”, e l’unico elemento con cui essa debba sempre confrontarsi è il corpo umano. E’ stata la relazione del corpo con il contesto e con l’opera a spingere le sue ricerche prima nella direzione del Minimalismo più radicale, e poi verso un’interpretazione originale del postmodernismo, di cui l’esempio estremo sono le opere esposte presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma in occasione della mostra Robert Morris. Monumentum 2015–2018, che si è tenuta tra il 2019 e il 2020, pensata con l’artista ma effettivamente aperta solo dopo la sua morte.

L’opera in mostra a Osart Gallery testimonia un momento chiave della carriera dell’artista, mantenendo un’essenzialità delle forme di matrice minimalista, e allo stesso tempo rimodellando radicalmente l’ambiente.

L’installazione è accompagnata dalla documentazione relativa alla prima occasione espositiva, oltre che da una serie di opere su carta degli anni Sessanta e coeve, gentilmente prestate dalla Collezione Panza, che ben rappresentano lo sviluppo delle ricerche minimaliste di Robert Morris.