Alessandra Kustermann, laureata in Medicina e Chirurgia, specializzata in Ostetricia e Ginecologia.

Dal 2009 al 31 gennaio 2022 Direttore Ginecologia e Ostetricia Unità Operativa Complessa Pronto Soccorso e accettazione ostetrico-ginecologico, Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) e Consultorio Familiare della Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano.

Nel 1996 dà vita al primo centro antiviolenza pubblico in Italia per l’assistenza alle vittime di violenza sessuale e domestica.

Che storia racconterebbe di sé? Quando ha sentito che la passione del prendersi cura delle persone richiedeva di essere ascoltata seriamente tanto da sostanziarsi in maniera concreta? Dal 2009 è stata direttrice di Ginecologia e Ostetricia al Policlinico di Milano, una lunga storia…

C’era una volta una bambina con due sorelle di pochi anni più grandi di lei e un fratello di ben cinque anni più piccolo. Cresceva in una grande e affettuosa famiglia con tanti zii, cugini e nonni, che si incontravano spesso. Negli anni si sono aggiunti nuovi membri, ma non si sono mai persi per strada quelli precedenti. Un’infanzia felice e privilegiata, vissuta tra campagna, montagna, mare e città.

L’unico e il primo strappo fu il trasferimento a Milano da Roma, quando avevo 9 anni. A Milano allora c’era una nebbia fitta, un freddo piovigginoso e i bambini non giravano da soli in bicicletta per la città. Io credevo di essere nata nella capitale d’Italia e invece le compagne a scuola, milanesi DOC, mi prendevano in giro per come pronunciavo l’ora: “che ore sono” e io rispondevo “le dieci e dieci” pur sapendo che loro avrebbero riso di me. Gli anni passarono velocemente, arrivò la contestazione studentesca, l’impegno per cambiare una società benpensante, che non si accorgeva degli ultimi della terra, delle ingiustizie e delle sofferenze degli esseri umani.

All’inizio volevo cambiare il mondo, alla fine mi sono concentrata sul piccolo mondo che mi circondava e ho cercato di rendere più lieve la vita a chi curavo. Sono passata dalla cura degli animali, che mi coinvolgeva da sempre, alla cura delle persone, che mi ha poi coinvolto per 50 anni. Dall’inizio dei miei studi in medicina, quando avevo 17 anni ad oggi. Ho seguito la mia passione e non me ne sono mai pentita, nonostante la fatica che a volte mi travolgeva.

Ho avuto i miei due figli al 4° e 6° anno di studi, non per caso, ma per scelta. Avevo voglia di essere madre, mi sembrava normale averli da giovane e stare al loro fianco nei primi anni di vita, senza impegni lavorativi a distrarmi. Ovviamente mi sono laureata con un anno di ritardo, ma ne è valsa la pena. Oggi Viola e Pietro hanno seguito le loro aspirazioni e lavorano con passione, si prendono cura degli altri che li circondano come amici e cugini. Nessuno dei due ha scelto di studiare medicina, ma sono persone buone e io sono orgogliosa di ogni loro successo, come solo una mamma italiana può esserlo. Grazie a loro ho un nipote Matteo Kirikù di 22 anni che studia scenografia e Mattia di 8 e Agata di 4 che vivono a Bruxelles e che amo teneramente. Ho tanti nipoti, diretti o acquisiti, che ho fatto nascere e che mi hanno chiesto di far nascere i loro figli.

È stata il primo primario donna della clinica Mangiagalli. La Mangiagalli è “un’istituzione” per i milanesi: come è riuscita, lei donna, ad occupare un ruolo così di prestigio e di responsabilità?

Sono stata una donna e una dottoressa molto fortunata. Ho incontrato sulla mia strada molte persone che mi hanno stimata ed accettata. Chi più chi meno mi hanno aiutata a superare gli ostacoli: devo ad ognuno di loro i successi che ho raggiunto. Da sola non ce l’avrei mai fatta. Sono diventata primaria di Ostetricia e Ginecologia in Mangiagalli nel 2009, dopo aver diretto per 15 anni la Diagnosi Prenatale. Di fatto ho tramutato un’accettazione in un pronto soccorso ostetrico-ginecologico, che cura più di 25.000 donne ogni anno. Grazie alle ostetriche e ai giovani e meno giovani colleghi che ci lavorano le proteste all’Ufficio Relazioni con il Pubblico sono rare. Quando però arriva una mail d’accusa me ne occupo immediatamente. Chiamo a uno a uno i miei bambini, come chiamo con affetto i collaboratori, anche quando hanno più di 50 anni, che almeno in piccola parte ho contribuito a formare e a fare crescere, e cerco di ricostruire con loro e con le ostetriche coinvolte cosa è successo.

Parto sempre dall’idea che se una paziente si lamenta, dal suo punto di vista ha per forza ragione. Rispondo personalmente alla donna se rintraccio il suo numero di telefono e mi scuso con lei, anche se cerco di spiegarle che il comportamento e l’operato dei miei collaboratori era stato adeguato nelle condizioni date da momenti di sovraffollamento. Però se la paziente riferisce di essere stata seguita con scarsa gentilezza, poi mi arrabbio con loro e sono sgridati da me, ma sanno che il mio apprezzamento per loro non lo metto mai in discussione e che li difenderei come appunto una madre se qualcuno facesse loro torto. L’esperienza mi ha insegnato che chi chiede aiuto in un pronto soccorso o a un medico più in generale, in quel momento è fragile, spaventato e necessita anche di calore umano Lo so che questo era definito un tempo con disprezzo paternalismo, ma per me prendermi cura è un imperativo morale, e non so farlo senza trasmettere comprensione e affetto.

E poi la significativa esperienza al Consultorio… ed anche quello è un mondo… incontri, storie, successi, delusioni, amarezze…

Ho creato, grazie alla direzione strategica e ad architetti e ingegneri del Policlinico che ci hanno lavorato con impegno, il più bel consultorio familiare pubblico di Milano, nella palazzina Bertarelli in via Pace. È esteticamente piacevole entrarci, è pieno di piante e di luce, le pareti sono gialle per rendere allegra la struttura rispettando i colori dell’antico pavimento. Persino le antiche porte sono state tutte recuperate. Ho sempre pensato che i luoghi rispecchino il carattere delle persone e che lo squallore e la mancata cura di ogni angolo delle nostre città determini un aumento del disagio sociale e diminuiscano il senso civico. In consultorio seguiamo donne e ragazze con piccole patologie ginecologiche o che richiedono una contraccezione sicura, raccogliamo più di 1800 gravidanze l’anno, che poi partoriscono in Mangiagalli.

Ogni donna ha la sua ginecologa e la sua ostetrica di riferimento, può chiedere aiuto psicologico e sociale, può affrontare la difficile scelta se interrompere o proseguire una gravidanza con il supporto empatico di professionisti esperti. Ogni gravida ha diritto di effettuare le ecografie, previste in gravidanza, all’interno del consultorio. Ha la possibilità di seguire una serie di corsi, molti per la pandemia divenuti on line, che la possono aiutare ad acquisire maggiori competenze nella cura del suo bambino e nel seguire le diverse tappe del suo sviluppo: dall’allattamento, al gioco, alla prima pappa, alle coccole, alla lettura di libri fin dalla più tenera età.

A breve inizieranno dei corsi dedicati in modo specifico ai padri, per evitare che adducano la loro incompetenza come scusante per la loro assenza nella cura dei figli. I nuovi padri sono molto diversi da quelli di un tempo non troppo lontano, ma il lavoro di cura della famiglia è ancora prevalentemente concentrato sulle donne, come dimostrano persino i dati europei raccolti con interviste durante la pandemia.

Che rapporto si instaura tra lei e le donne di cui si prende cura?

Dipende dal contesto in cui le conosco. Se sono in pronto soccorso la diagnosi è fondamentale, ma senza ascoltarle, senza esami o ecografie può essere difficile decidere quale tra le tante possibili sia quella corretta. In pronto soccorso è fondamentale rassicurare prima di tutto la persona che si ha di fronte, mettere ordine tra i sintomi che ti vengono raccontati, prescrivere esami sensati rispetto al quadro clinico che emerge. È importante farla sentire al sicuro, ma anche dare rapidamente una prima risposta alle sue ansie. Se è angosciata perché teme di avere perso il suo bambino, farle vedere subito con l’ecografia che la gravidanza non si è interrotta, serve a rassicurarla e a permetterle i tempi della vera e propria visita con più tranquillità. L’ostetrica al momento del triage dovrebbe sempre prendere un impegno con lei per sveltire l’accesso all’ecografia.

I tempi di attesa in un pronto soccorso affollato come il nostro possono essere troppo lunghi per quella donna. Io penso che i codici colore o numerici che si adottano per stabilire la priorità di visita, siano fondamentali per evitare l’assalto alla carovana, ma senza perdere l’umanità. La gentilezza e un sorriso sedano le risse, molto più di una concitata discussione con pazienti e parenti impazienti.

Se invece il contesto è il mio studio privato ho in genere un rapporto molto amichevole con le donne che conosco da anni, conosco le loro storie, il loro lavoro, mi raccontano dei figli che crescono, dei genitori che diventano anziani e devono essere accuditi. La visita e le diagnosi avvengono in un clima disteso, anche se a volte capita che sia iniziata una patologia grave, il tempo che posso mettere a loro disposizione per spiegare è molto superiore a quello che ho in ospedale. Questo determina lunghe code anche nello studio privato, ma le mie affezionate pazienti me lo perdonano e a volte ordinano un aperitivo tutte insieme per rendere più lieve l’attesa.

Ha particolarmente a cuore le donne vittime di violenza. Nel 1996 dà vita al primo centro antiviolenza pubblico in Italia. Che pathos germina il diventare depositari di storie di sopruso, di mancanza di rispetto, di violenza verso le donne? Quale responsabilità umana e civile? Il sociale e la clinica: un binomio di cui si è presa cura con dedizione. Ci può raccontare il suo impegno e il suo importante contributo per l’aiuto e la difesa delle donne violentate dal punto di vista esperienziale?

Insieme a molte amiche ginecologhe e ai medici legali dell’Università di Milano ho aperto il Soccorso Violenza Sessuale e Domestica (SVSeD) nel 1996. Abbiamo creato un servizio che tenesse fin dal primo momento in considerazione l’aspetto sanitario, medico legale, psicologico e sociale delle persone che si rivolgevano a noi. Le nostre riunioni d’equipe settimanali dopo 25 anni continuano ad essere un momento di confronto tra operatori con professionalità diverse che collaborano insieme per costruire con queste persone un progetto di uscita dalla violenza. Non esiste la vittima tipo, come non esiste l’aggressore tipico. La parte lesa dal reato di violenza sessuale o dal maltrattamento appartiene ad ogni strato sociale e culturale, può avere pochi mesi o essere molto anziana, può essere italiana o proveniente da molteplici Paesi del mondo. Ha una storia personale e un vissuto diverso ogni volta: ha diritto ad essere assistita senza pregiudizio e con empatia. La violenza l’ha subita, dal nostro punto di vista, nel modo in cui riesce a raccontarla. Spetta ad altri, alle forze dell’ordine e all’autorità giudiziaria, valutare la veridicità del loro racconto in caso di denuncia. Il nostro compito è curare la sua mente e il suo corpo, senza mai perdere di vista la sua dignità e volontà.

Abbiamo mutuato la metodologia dell’accoglienza dalla Casa delle Donne Maltrattate di Milano, un centro antiviolenza che ci ha formato nel lontano 1996 e con cui ancora oggi collaboriamo. Nel frattempo la rete dei centri antiviolenza del nostro Comune si è arricchita di nuove realtà, ma tutti collaboriamo con le Istituzioni comunali e regionali per ottenere il massimo di aiuti possibili per le persone che ne hanno bisogno.

Tanti anni fa facemmo un film con Ferrara, una regista molto brava, che aveva come titolo Se potessimo cambiare il finale. Ancora oggi tutti i centri antiviolenza sanno che per cambiare il finale è necessaria una modifica culturale che ancora non si è raggiunta, nonostante le leggi che si sono aggiunte negli anni. L’onere della prova che la violenza sia realmente avvenuta è ancora sulle spalle di chi l’ha subita. Gli uomini che maltrattano e che violentano ancora oggi negano di averlo fatto. Continuano a credere che senso di possesso e volontà di sopraffazione possano esistere in una relazione di coppia.

Insegnare ai bambini, fin dai primi anni di vita, la gentilezza verso gli altri non spetta solo alla scuola, ma dipende dai modelli e dai valori trasmessi dalla famiglia di origine. L’esempio quotidiano che si riceve a casa, dai propri genitori e dai parenti, lo si introietta molto di più di quanto possa fare successivamente la scuola. Le condotte antisociali non sono innate, ma acquisite. Insegnare ai propri figli il senso del limite e la tolleranza per la frustrazione è parte integrante del lavoro più difficile che ci troviamo di fronte quando diventiamo genitori.

E cammina, cammina, arriva l’età della pensione… in realtà un nuovo inizio…

Adesso che sono in pensione dall’ospedale sono diventata presidente del Centro Antiviolenza SVS DonnaAiutaDonna, che affianca il centro pubblico fin dal suo inizio, per garantire alle persone che hanno subito violenza un’assistenza legale nel processo e aiuti concreti per continuare la strada intrapresa per uscire dalla violenza. Specialmente se hanno figli ancora piccoli la strada per recuperare l’autonomia economica e abitativa è piena di ostacoli, prima di tutto va loro restituita l’autostima che la violenza ha minato. Nello stesso tempo mi impegnerò ancora di più per intervenire nelle scuole e nei luoghi di aggregazione giovanile per trasmettere messaggi positivi. Cambiare il mondo che ci circonda si può, bisogna crederci e non deprimersi per il tempo necessario. Altri raccoglieranno il testimone quando non sarò più in grado di farlo con l’entusiasmo che mi ha sempre consentito di superare le difficoltà.

Milano ha rappresentato il teatro dove ha potuto mettere in scena tanta sapienza, tanta dedizione, tanta generosità… come sente il suo rapporto con la città?

Milano è la mia città oramai per scelta, non tornerei mai a vivere a Roma, nonostante sia bellissima. Milano è oggi una città di persone provenienti da tutto il mondo, piena di progetti, curiosa, moderna e civile. Non c’è più la nebbia che ho incontrato per la prima volta nel 1962. Nei giorni ventosi ha un cielo azzurro e un panorama di montagne intorno che mi rallegrano. Ha angoli segreti tutti da scoprire, portoni che si aprono su giardini misteriosi. Ha coniugato l’architettura moderna con quella antica, apparentemente in modo casuale, in realtà seguendo un progetto urbanistico che l’ha resa affascinante. È una città vivace, europea, pur restando italiana, piena di opportunità. Le periferie sono ancora molto da migliorare, le case popolari sono da restaurare e colorare, la povertà esiste e non va nascosto che troppo poco viene ancora fatto per curare il disagio sociale. Ho molte idee per il mio dopo pensione, proprio su questi temi che da sempre mi appassionano. Milano sa innovarsi e dovrà impegnarsi a trovare soluzioni realistiche senza lasciare indietro nessuno.