Carlo Mollino Architect and Storyteller è il primo studio approfondito sull’opera dell’architetto torinese. Include un magnifico portfolio, basato su un'ampia ricerca, che presenta disegni, fotografie e documenti. Inoltre, contiene le fotografie realizzate nel 2016 da Pino Musi, nonché saggi di Guy Nordenson e Sergio Pace.

Il libro analizza l'importanza di Carlo Mollino nell'architettura e nella cultura del XX secolo, poiché in grado di utilizzare lo storytelling come quintessenza dei distintivi edifici e delle opere fotografiche.

Nella nostra intervista, i curatori del Museo Casa Mollino, danno modo di scoprire ulteriori dettagli sul volume ed il singolare museo dedicato alla vita e all’arte di un personaggio unico.

Partirei col chiedervi com’è nato il Museo Casa Mollino - di cui siete curatori - e quali aspetti dell’architetto torinese renda lampanti ai visitatori.

Il Museo Casa Mollino nasce a luglio 1999 quando l’ingegner Aldo Vandoni, che aveva salvato l’appartamento dopo la morte di Mollino si avvia alla pensione e sceglie Fulvio quale miglior custode e conservatore della Casa. In quel momento il significato del progetto della Casa non è neppure immaginato, rimanendo enigmatico il motivo per cui Mollino abbia profuso grandi energie, soldi e lavoro in un appartamento di cui non ha fatto praticamente uso, nonostante la squisita posizione in riva al Po.

Comincia subito il lavoro, durato molti anni e idealmente mai terminato, per ritrovare gli oggetti di arredo dispersi nel tempo e riportare la Casa il più possibile al suo stato originale. Contestualmente alla raccolta dei primi dati si comincia ad interrogarsi sul significato dell’appartamento per Mollino.

Nel 2006, in occasione della retrospettiva Mollino da noi curata alla G.A.M. e al castello di Rivoli, la Casa apre veramente al pubblico con le visite guidate.

Casa Mollino è stata, innanzitutto per noi, lo strumento per entrare nella mentalità molliniana, per comprendere il suo modo di operare in forma simbolica, una comprensione che non vive di razionalità ma di esperienza che va “sentita” e vissuta in prima persona. Allo stesso modo per i visitatori Casa Mollino funziona come una sorta di planetarium, un’esperienza immersiva che conduce all’interno del fantastico immaginario molliniano.

Il vostro lavoro dedicato a Mollino è immenso e costante. Come vi muovete nella ricerca?

Il lavoro di ricerca è realmente costante e continuo, dura da 21 anni, senza essere terminato. I documenti storici sono il fondamento di questa investigazione: gli scritti e le lettere private di Mollino, i suoi libri, ogni genere di documentazione quali fotografie, brochure e cataloghi, disegni e naturalmente sono state fondamentali le testimonianze dirette di persone che ci hanno raccontato di Mollino. I visitatori stessi ci hanno aiutato moltissimo negli anni, offrendoci spunti interpretativi o riferimenti culturali di qualsiasi genere. Quando si mette a fuoco uno spunto, ad esempio, una conchiglia, segue poi un lavoro generico di ricerca sulle fonti più varie.

Quali peculiarità della sua opera ne svelano, maggiormente, la grandezza a chi vi si approccia per la prima volta, a vostro parere?

Naturalmente, la prima qualità di Mollino che sconcerta è il suo eclettismo rinascimentale: artista e ingegnere entrambi a grandi livelli, uomo di sport e intellettuale-professore, teorico e pratico. Una figura completa.

Altra dote straordinaria è quella di avere il dominio dello spazio. I suoi mobili e le sue architetture sono tridimensionali, in movimento, sculturali. Specialmente nel campo del design, a mio parere. Mollino rimane ineguagliato per queste sue qualità.

Piace e interessa di Mollino la concretezza nel saper condurre la cultura, le storie, gli oggetti, ad una esperienza reale e pratica di vita, mai astratta o fine a se stessa.

Avete appena pubblicato un volume monumentale dal titolo emblematico. Quando e come l’anima di architetto e quella di storyteller si incontrano, in Mollino?

Francamente penso che una qualità innata abiti la psiche di Mollino: quella dello scrittore che prova il desiderio, se non la necessità, di scrivere. Egli aveva caratterialmente una predisposizione al creare e raccontare storie.

Tra il 1933 e il 1936 lo fa scrivendo due brevi romanzi (Vita di Oberon e L’Amante del Duca), quindi decide espressamente di passare a raccontare le sue storie utilizzando il linguaggio dell’architettura e non più quello delle parole scritte. Per Mollino l’aspetto linguistico va a completare quello funzionale dell’architettura: un edificio non è solamente un teatro, una casa, un ufficio… ma diventa una storia.

Come avete curato la scelta di testi ed apparato fotografico per la monografia, nel tentativo (perfettamente riuscito!) di analizzarne ogni aspetto? Cosa potete raccontarci – altresì - del suo talento come fotografo?

All’inizio del lavoro si è scandagliato ogni possibile disegno e fotografia d’archivio riguardante l’architettura di Mollino, oltre 10.000 immagini, che fortunatamente sono nella stragrande maggioranza ospitate nel fondo Mollino del Politecnico di Torino. Abbiamo naturalmente attinto anche al nostro ampio archivio impostato da Fulvio a cominciare dalla metà degli anni ‘80. È stato fatto un puntiglioso lavoro di ricerca bibliografica per consultare ogni possibile pubblicazione storica sull’architettura di Mollino.

Nel 2016 Pino Musi ha condotto la prima campagna fotografica completa documentando con il suo sguardo autoriale tutto quanto resta oggi dell’architettura di Mollino. Con questi materiali in mano i tre autori, Michelangelo Sabatino, Pino Musi, Napoleone, hanno dialogato per scremare ed arrivare alla scelta finale con un lavoro collettivo. Un po’ imprevisto è stato l’intervento del grafico Marco Walser che è intervenuto nella fase finale di impaginazione contribuendo alla scelta definitiva.

Una foto emblematica ritrae Mollino all’età di circa cinque anni con una macchina fotografica in mano… da quel momento non la mollerà più, sino al 1973, quando ancora stava scattando con la Polaroid nel momento in cui passò ad altra vita.

Le 444 pagine del suo volume, il messaggio dalla camera oscura, sono la testimonianza più evidente della sua grande passione e conoscenza della fotografia.

Un aspetto che è balzato irresistibilmente all’attenzione durante la produzione del libro è la eccezionale coincidenza tra fotografia e la sua abilità di disegnatore: i suoi bellissimi disegni sembrano il frutto di riprese fotografiche, come se egli avesse interiorizzato uno sguardo fotografico per cui progetta un edificio come se in quel momento ce l’avesse di fronte agli occhi e alla sua macchina fotografica.

La grande familiarità col mezzo fotografico lo conduce ad un lavoro artigianale di taglio e cucito dell’immagine, tramite l’uso estensivo del ritocco, chimico, a matita, all’aerografo; del ritaglio e della scelta del riquadro delle immagini; del fotomontaggio e del collage.