Un’idea moderna di eleganza, pensata per donne dinamiche e indipendenti, contraddistingue l’estetica distintiva della stilista Chiara Boni, che ha da poco festeggiato i suoi cinquant’anni di carriera. Fiorentina di nascita, Chiara inizia la carriera di stilista nel 1971, aprendo a Firenze la sua prima boutique, dove propone abiti che lei stessa disegna e firma con l’etichetta You Tarzan, me Jane.

Da subito protagonista della moda italiana con sfilate e manifestazioni d’avanguardia come “Moda-Nostra”, negli anni Ottanta è la prima a sperimentare l’inserimento della Lycra nei tessuti destinati all’abbigliamento, raggiungendo il successo con abiti sensuali, ricchi di dettagli, capaci di rendere la figura più femminile, alla costante ricerca dell’armonia. Grazie infatti a questo prodotto, un po' d’avanguardia e un po' sofisticato, nel 1985 la stilista stipula un accordo con il Gruppo Finanziario Tessile che conduce alla nascita della “Chiara Boni S.p.A.”, proponendo le sue collezioni anche nei mercati internazionali, come un ambizioso progetto in Cina, dove sono stati aperti dieci punti vendita diretti, dedicati anche alla linea maschile, realizzata con tessuti italiani. La voglia di una continua sperimentazione, alla ricerca del miglioramento, spingerà poi Chiara a partecipare alle sfilate di Alta Moda a Roma e a lanciare, nel 2008, La Petite Robe, con la realizzazione di capi dall’innovativo tessuto stretch, progettati per incontrare le esigenze di una donna dinamica, continuamente in viaggio. Abbiamo intervistato Chiara ripercorrendo insieme gli anni che l’hanno portata al successo e a ricevere nel 2019 il riconoscimento come la prima azienda italiana di abbigliamento femminile ad aver ottenuto la certificazione europea PEF, “Product Environmental Footprint”.

Avete appena festeggiato cinquant’anni di carriera. Il successo dell’attualità del suo brand?

Ho festeggiato i miei 50 anni di carriera come Chiara Boni. Il nostro brand, Chiara Boni La Petite Robe, è nato nel 2008 e credo che il successo della sua attualità sia proprio l’esperienza che ho maturato io negli anni. Chiara Boni La Petite Robe eredita la mia capacità di rinnovarmi pur rimanendo nel segno della mia identità stilistica.

Il vostro impegno per la sostenibilità: come siete arrivati alla certificazione PEF?

Il controllo qualità del nostro prodotto è possibile in ogni passaggio della filiera, interamente Made in Italy, da quando nasce il filo, a quando viene realizzato il tessuto, a quando viene confezionato il capo ed è pronto per essere spedito ai distributori. Ed è proprio la tracciabilità del nostro processo produttivo, che avviene tutto tra la Lombardia e la Toscana, ad esser valso a settembre 2019 a Chiara Boni La Petite Robe la certificazione PEF. Nel nostro caso non si è trattato di dover rivedere il nostro processo produttivo per ottenere la certificazione ma solo di misurarne l’impatto con l’obiettivo di dimostrare, collezione dopo collezione, sempre più attenzione all’ambiente e alle persone coinvolte nella supply chain.

La scrittrice statunitense Erma Bombeck affermava: “La gente sceglie il costume da bagno con più cura di quanto ne metta per scegliersi un marito o una moglie. I criteri sono gli stessi. Trovare qualcosa che sia comodo da avere addosso. E che ti lasci abbastanza spazio per crescere”. Lei ha scelto con molta cura il tessuto dei suoi abiti che l’ha portata al successo e che era appunto quello del costume da bagno. Come ha avuto questa intuizione?

Era l’inizio degli gli anni ’80, a quei tempi in America il dinamico corpo-look ‘Leotard’ partiva alla conquista del gusto europeo promettendo, in pochi grammi, un’anticonvenzionale formula-base di abbigliamento in senso moderno, per prima in Italia suggerii di sperimentare l’inserimento della Lycra nei tessuti destinati al prêt-à-porter. La prerogativa della Lycra avrebbe permesso agli ‘elasticizzati’ di invadere in modo esplosivo le innumerevoli varianti di tutte le occasioni della giornata di una donna con una gamma infinita di prestazioni stilistiche.

In una sua intervista RAI del 1980 ha dichiarato: “Una donna deve essere piacevole al tatto”, potrebbe approfondire questo concetto anche in rapporto al tessuto che utilizza?

Mi riferivo al mio concetto di seduzione, come raccontato nel libro scritto con il caro amico Luigi Settembrini Vestiti Usciamo. Parlavo delle spalle di una donna, lasciate scoperte come punto focale dell’attenzione di un uomo, e di quel gesto di allungare distrattamente l’avambraccio nudo verso l’interlocutore perché possa essere sfiorato tra una parola e l’altra lasciando l’opportunità di toccare e di percepire la setosità della pelle. Nel mio concetto di moda c’è sempre la donna al centro e tutto quello che creo adempie lo scopo di accompagnarla in ogni gesto.

Nella sua carriera ha lavorato con i migliori fotografi, disegnando anche costumi teatrali, nel suo appartamento ha delle fotografie, alle quali è affezionata?

Mi vengono in mente i costumi disegnati per il Goldoni portato in scena da Andrée Ruth Shammah. Andrée mi ha sempre detto che furono un portafortuna, la commedia ha girato per anni. E poi come posso non menzionare il caro Giovanni Gastel a tutte le campagne ADV nate nel suo studio, in poche ore di lavoro. Lui e la sua gentile generosità che rendeva così ‘facile’ il nostro processo creativo e così unico il tempo trascorso in sua compagnia. Ho tante fotografie scattate da lui che rappresentano proprio il senso di quel tempo, quello che lui è stato capace di fermare con la sua arte e con la sua poesia.

Secondo Lei l’arte e la moda hanno la stessa libertà di espressione?

Sì, l’arte e la moda hanno la stessa libertà di espressione quando sono giovani. Durante la gioventù sia un artista che uno stilista godono della libertà di poter sperimentare, una volta raggiunta una maturità stilistica, soprattutto se accompagnata dal riconoscimento del pubblico, l’artista e lo stilista si esprimeranno liberamente sì ma sempre rispettando il proprio stile.

Zeffirelli affermava: “Quando sento che mi prende la depressione, torno a Firenze a guardare la cupola del Brunelleschi: se il genio dell’uomo è arrivato a tanto, allora anche io posso e devo provare a creare, agire, vivere”. Da italiana, quanto Firenze ha contribuito alla sua idea di bellezza e da toscana cosa si riflette nel suo brand? Ricordiamo anche che all’inizio della sua carriera, il suo studio a Firenze venne anche fotografato per un numero di Domus, a simboleggiare la bellezza non solo nella moda.

Non sarei mai stata Chiara Boni se non fossi nata a Firenze. È la città che ha impresso in me lo stampo della bellezza e che ha dato un verso al mondo delle mie ispirazioni. E il 2022 sarà secondo me l’anno della Bellezza, ecco perché, per presentare la Fall-Winter 2022-2023, sono tornata a Firenze invitata da Pitti e dall’amico Raffaelo Napoleone che mi ha accolta con affetto e soddisfazione.

La sua opera preferita agli Uffizi?

Gli Uffizi sono nel complesso un’unica immensa opera d’arte. C’è però un corridoio che io amo, il Corridoio Vasariano quello che collega Palazzo Vecchio a Ponte Vecchio. Si dice che Cosimo de’ Medici lo utilizzasse per guardare i fiorentini, per spiarne il benessere, per comprendere se fossero felici. È un aneddoto che mi affascina su quanto possa essere illuminato, a volte, il potere.

Ha dichiarato: “Sono ispirata dalle donne, creo vestiti che accompagnano la loro personalità”. Se dovesse disegnare un abito per Lei, quale aspetto della sua personalità evidenzierebbe?

Tutti i miei abiti sono disegnati per me. Prima di tutto penso: Cosa indosserei? Ci sono voluti anni per trovare la giusta formula per nascondere i difetti ed esaltare i pregi, i miei e quelli di ogni donna perché ogni personalità possa essere valorizzata da un mio capo.

Il capo che non manca mai nel suo armadio?

Una camicia, passe-partout per ogni stagione.

Per la Spring-Summer 2022 a cosa vi siete ispirati, la palette di colori e i tessuti utilizzati?

Focalizzata su un look essenziale e iper elegante, la collezione Spring-Summer 2022 esalta la femminilità più autentica delle donne attraverso delle silhouette che accentuano le forme naturali e che garantiscono un look impeccabile senza rinunciare al comfort. L'iconico jersey stretch di Chiara Boni La Petite Robe è stato utilizzato per una serie di modelli, che vanno dai completi pigiami più maschili, impreziositi da piping a contrasto, alle sinuose jumpsuit e ai maxi abiti arricchiti da dettagli drappeggiati, sensuali cut-out, incroci e profondi scolli a V. Il nuovo jersey shine con effetto specchiato e scintillante aggiunge ulteriore glamour alla collezione, mentre la simil-pelle introduce un tocco audace. Ricami floreali sbocciano su un corsetto abbinato a pantaloni a sigaretta e blazer versatili danno un twist chic al look quotidiano.

Veste e ha vestito tante celebrities: aneddoti e curiosità?

Racconto sempre di come un mio abito è finito sulla copertina del famosissimo ‘O’ Magazine, indossato da una delle donne più potenti al mondo: Oprah Winfrey. Oprah aveva visto una sua collaboratrice con un mio abito Chiara Boni La Petite Robe e le aveva chiesto di chi fosse. Oprah aveva poi sguinzagliato i suoi collaboratori ed era arrivata nel nostro ufficio di New York dove aveva ordinato nove vestiti, tra cui tre abiti in colori diversi dello stesso modello, proprio quello che aveva scelto di indossare per la copertina.

La sua clientela tipo? Differenze tra mercato estero e italiano?

La mia clientela tipo è quella americana. La differenza tra una cliente italiana ed una americana sta nel fatto che le americane sono più propense a ‘vestirsi’ nella quotidianità, sono più formal e trovano nei mei capi una risposta semplice a questa esigenza, soprattutto in termini di vestibilità.

I social come strumenti di indagine conoscitiva o di comunicazione?

Entrambe le cose. Non mi riferisco solo ai social utilizzati come strumento di marketing che offrono dati estremamente precisi sul target di utenza coinvolto nelle attività programmate. Parlo piuttosto del rapporto diretto con i follower, o meglio gli amici, con cui mi trovo, ad esempio, a parlare attraverso direct message ogni giorno. È così che i social mi offrono uno strumento prima di comunicazione e poi di generosa indagine conoscitiva dell’animo umano.

Dove ha trascorso la pandemia e quale insegnamento le ha regalato?

Ho trascorso la pandemia a casa, nel mio appartamento milanese nel quale non ho mai smesso di lavorare con tutto il mio team in smart working. È stato per me un lungo momento di riflessione e di attesa durante il quale ho ricaricato le energie per lo sprint che sarebbe stato necessario nel ripartire. Ed è stato proprio così. Ora sono proiettata a fare di questa esperienza un’opportunità di grande crescita per me e per il brand.

La donna che veste Chiara Boni che tipo di donna è?

Una donna che si vuole bene.