Il fondo comune da cui ha origine ogni singola esistenza femminile.

L’autobiografia di Simone de Beauvoir costituisce un punto di partenza indiscutibile per il racconto del sé al femminile nella storia del romanzo di genere; quest’opera apre una breccia importante sul racconto di genere con l’esasperato scavare tra i ricordi, le convenzioni, gli affanni per farsi ascoltare e per diventare a tutti i costi quella che avrebbe voluto. L’affascinante e imperdibile Memorie di una ragazza per bene mi fu di aiuto, per questi motivi, non solo per capire me stessa ma soprattutto per convincermi che ciò che stavo conquistando nella vita a poco a poco avrebbe ripagato la grande fatica. Ricordo con tenerezza questo passo indimenticabile di Simone de Beauvoir:

Così, i rapporti con la mia famiglia erano divenuti assai meno facili di un tempo. Mia sorella non mi idolatrava più senza riserve, mio padre mi trovava brutta, e me ne faceva una colpa, mia madre diffidava degli oscuri cambiamenti che indovinava in me. Se avessero letto dentro di me, i miei genitori mi avrebbero condannata; invece di proteggermi come un tempo, il loro sguardo mi metteva in pericolo. Non abitavo più in un luogo privilegiato, e la mia perfezione s’era sbrecciata, ero insicura di me stessa e vulnerabile. Era inevitabile che i miei rapporti con gli altri ne venissero modificati.

La scrittura al femminile che mi ha accompagnato per moltissimi anni e continua a conquistare la fantasia, mi insegna che sono molti i punti di vista da cui si può interpretare e diversificare da quella dei colleghi maschi; se c’è da fare un distinguo bisogna dire che chi scrive di donne è prevalentemente donna, in particolare biografie e romanzi storici che hanno soggetto femminile il più delle volte sono opera di autrici. C’è da chiedersi il perché ma facilmente si può arrivare ad una comprensibile spiegazione. Soprattutto a partire dall’Ottocento le scrittrici che timidamente osavano firmare con il proprio nome costituivano una vera eccezione alla regola, non solo per le solite motivazioni della difficoltà a essere riconosciute e ad accedere agli ambienti colti e letterari dell’epoca ma anche per il poco credito a loro attribuito come professioniste autonome in grado di uscire dai ruoli a loro assegnati. Un esempio tra tutte Edith Wharton, prima donna a ricevere un premio Pulitzer nel 1921 con il romanzo sui limiti e i conflitti della società aristocratica americana dei primi del Novecento L’età dell’innocenza, ne da testimonianza nella sua stupefacente autobiografia:

La gente intorno a me era così indifferente a tutto quello che mi interessava veramente, che adeguarmi ai gusti degli altri era diventata un’abitudine, e fu soltanto qualche anno dopo, quando avevo già scritto parecchi libri, che finalmente mi ribellai, rivendicando il diritto a qualcosa di meglio.

Nonostante questo, sono proprio le donne che nell’ultimo secolo hanno dato inizio alla riscoperta di innumerevoli figure femminili, passate a miglior vita, senza essere considerate adeguatamente per quello che erano e avevano prodotto in termini di studi, scoperte, ricerche e opere letterarie. Queste biografie hanno il più delle volte ribaltato o comunque modificato l’immagine che ne era rimasta alla storia, con ritratti dettati da stereotipi di stampo maschilista che ne facevano personaggi austeri, deboli o di poco spessore quando invece non lo erano.

Potrei citare un certo numero di esempi di questo tipo, ma vorrei soffermarmi su un caso recentemente svelato da Laura Guglielmi, scrittrice che ebbi la fortuna di incontrare durante i miei viaggi in Liguria per esplorare la famiglia Calvino di cui era grande studiosa e conoscitrice e che è stata capace di far conoscere al pubblico una donna di cui si erano perse le tracce: Constance Mary Lloyd (1859-1898). Vi chiederete di chi si sta parlando, benché basterà aggiungere un nome al suo, che acquisì con il matrimonio, per capire: Wilde. Si avete inteso bene, si tratta della moglie di Oscar Wilde! Infatti, l’autrice nella postfazione tiene a commentare:

Quando parlo di lei, quasi tutti mi chiedono stupiti: “Ma come, Oscar Wilde aveva una moglie?”. Era molto conosciuta nella Londra di fine Ottocento ma, dopo lo scandalo che coinvolse suo marito, è entrata in una zona d’ombra dalla quale sembra non essere ancora uscita.

Il romanzo storico Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde, esce nel 2021 con Morellini per la collana “Femminile singolare” e sviscera una storia ancora molto controversa: quella del lungo e importante rapporto coniugale, e non solo, del dandy per eccellenza della storia della letteratura Oscar Wilde e Constance Lloyd. Quest’ultima, un’eccentrica londinese che per la sua brillante intelligenza e caparbietà si distingueva dalle giovani debuttanti della buona società ottocentesca grazie alle sue passioni culturali e le eccentriche frequentazioni. Figlia di un avvocato di spicco e una donna di ghiaccio che non l’amava, viveva agiatamente nel Sussex Garden una zona elegante ed ambita di Londra con l’amato fratello Otho e una istitutrice.

Poco avvezza alle feste e alle mode del momento incontrò l’istrionico scrittore di cui tutta Londra parlava per i suoi modi anticonvenzionali e le sue geniali qualità letterarie e avrebbe fatto qualsiasi cosa per conquistarlo. In realtà era lei stessa così ribelle, decisa e fuori dal comune che l’uomo più ambito e desiderato di Londra ne rimase immediatamente catturato da non riuscire a staccarsene per tutta la sua travagliata esistenza. È noto al grande pubblico lo scandalo che portò in carcere il più narrativo e affascinante omosessuale dell’Inghilterra vittoriana: l’autore de Il ritratto di Dorian Gray, censurato e portato in aula come prova a suo carico nell’accusa per “atti osceni”. È straconosciuto il destino amaro che lo portò ad essere perseguitato ed in continuo esilio al punto da non poter più frequentare sua moglie e i suoi due figli così amati. Molto meno, anzi per nulla invece è conosciuta l’incredibile vita di Constance Lloyd Wilde, che non potendo accedere ai più alti gradi di istruzione come il fratello, si dedicò agli studi in modo autonomo e libero quando e come poteva farlo, accedendo a tutti i luoghi di cultura più vicini a lei e frequentando con tenacia e determinazione gli ambienti utili alla sua formazione personale. Spronava perfino il fratello a studiare e ad affermarsi perché altrimenti lei non avrebbe potuto raggiungere certi ambienti né avere alcuna opportunità di affrancamento da una prefigurata vita di moglie e madre. Correva l’anno 1880 e “Nella Londra dei club maschili, una città con tremila bordelli, dove gli uomini avevano figli sparsi per tutto il Commonwealth, alla Grosvenor potevo pranzare sola al ristorante, sedermi in biblioteca e leggere senza alcun accompagnatore”.

Interessandosi di politica arte e letteratura già da giovanissima frequentava con assiduità la Grosvenor Gallery, adorava la statua di Lord Byron e parlava come se quella immagine fosse viva. Forse non sapeva però che Lord Byron, al contrario del suo futuro marito Oscar Wilde non avrebbe mai tollerato una donna intelligente e brillante come era lei, in quanto la sua proverbiale alterigia e supponenza lo condannò ad allontanare le donne di genio per preferire delle distrazioni che richiedevano poco impegno1. L’autrice del romanzo non ne fa un’eroina anzi ne rende un’immagine chiara ed efficace indagando sulle sue inclinazioni, qualità e reali aspettative da una relazione articolata, difficile, impossibile, ma nata da una comunità di intenti, affinità e ideali che ne fecero una coppia esemplare per come riuscirono ad amarsi, nonostante vicissitudini che una donna comune e non dotata come lei, avrebbe desistito alla prima défaillance. L’inclinazione alla vita folle, sregolata e dedita alle compagnie giovani e maschili di Wilde, fin dai primi anni di matrimonio, comportarono per Constance che aveva avuto già due figli da lui e allo stesso tempo svolgeva la professione di giornalista e scrittrice2 oltre che attivista nel sociale, degli sforzi enormi per non cadere nella trappola del conformismo, della rabbia, della vendetta e della guerra in tribunale degni di un perfetto feuilletton. Invece, nonostante tutto, e per di più avendo la famiglia di origine che la spingeva a starsene lontana, tra Parigi Ginevra e Sanremo, a sparire per sottrarsi agli scandali, Constance riuscì a mantenere un sottilissimo e indissolubile trait d’union con il suo amato Oscar fino alla sua prematura morte. La sua persona fu di vitale importanza per lo scrittore specialmente per la revisione dei suoi lavori, poesie e anche interviste, in quanto solo di lei aveva quella fiducia e stima suprema da affidarle tale compito. “Una mente brillante esige abissi di compassione” afferma la filosofa Rosi Braidotti nel suo ultimo Fuori sede3, e qui azzardo una critica di genere, forse Constance era inconsapevolmente una proto-femminista, per cui la natura delle identità femminili e maschili vanno riviste in una diversa ottica, senza sottostare a schemi culturali precostituiti, in una visione di passioni affermative, intelligenze creative che sostengono relazioni alte, risultato di una prassi sempre costruttiva e non mortifera. Quel sentimento di amore incondizionato per un uomo diverso da quello che le convenzioni avrebbero voluto al suo fianco, Constance lo ha alimentato grazie a questa visione della donna nuova, svincolata dal pregiudizio dei ruoli, dai modelli di comportamento che la società a cavallo dei due secoli avrebbe preteso da lei.

Note

1 A questo proposito scrissi in questa rubrica sulla storia di Claire Clairmont, sorellastra di Mary Shelley, abbandonata da Byron quando nacque la piccola Allegra che morì a 5 anni. Una donna di eccezionali qualità, testimone di fatti, di eventi importanti, lei stessa attrice e vittima dei medesimi, condannata a vivere moltissimi anni con il suo dolore per la perdita della bambina e del suo grande amore. Vedi anche Marco Tornar, Claire Clairmont, Solfanelli Editore, Pescara 2010.
2 Le opere di Constance Lloyd sono riportate nella approfondita bibliografia curata dall’autrice.
3 Rosi Braidotti, Fuori sede. Vita allegra di una femminista nomade, Castelvecchi 2021.