Nel panorama del Monferrato, a una decina di chilometri da Casale, è assai facile distinguere Cereseto, il classico borghetto collinare sormontato da una rocca dove i giorni si susseguono pigramente. Salvo eccezioni.

Anche il 4 giugno 1980 si annunciava privo di sorprese a Cereseto, ma invece il castello, in realtà un villone neogotico di inizio secolo, stava per vivere una giornata da vero maniero medievale, poiché avrebbe subito un assalto in forze da parte di truppe armate: non Lanzichenecchi o Saraceni, ma 170 uomini della Guardia di Finanza che, una volta fatta irruzione nella rocca, avrebbero rinvenuto nel torrione principale la più grande raffineria di eroina d'Europa, sequestrando tra l'altro “materia prima” per un valore complessivo di 135 miliardi di lire dell'epoca.

Non appena ultimato il blitz e calata l'adrenalina, mi piace immaginare i militi delle Fiamme Gialle intenti a guardarsi intorno e stupirsi dello sfarzo di quel luogo, che malgrado decenni di semi-abbandono, sfoggiava ancora scaloni in legno intarsiato, soffitti a cassettoni e pareti affrescate sulle quali compariva qua e là, in caratteri gotici, il motto: “Ad Augusta per Angusta”. In un certo senso, la firma di chi quel castello ha voluto: Riccardo e Cesarina Gualino.

Lui, classe 1879, figlio di orafi biellesi, si svincola dall'attività di famiglia per entrare nel commercio dei legnami in una ditta di San Pier d’Arena, divenendone poi uno dei produttori di punta grazie al possesso di decine di migliaia di ettari di foreste in Romania e in Ucraina; non contento, capisce anche la potenzialità del calcestruzzo armato e così fonda la Unicem, Unione Italiana Cementi, portando in un solo gruppo i principali cementieri di Casale Monferrato, fra i quali figurano alcuni cugini; figlia di uno di loro è proprio Cesarina, che ha da tempo un debole per Riccardo e nel 1907, appena diciassettenne, lo convince a sposarla: sarà l'inizio di un'avventura a due lunga quasi sessant’anni.

L'attività di Gualino, in estrema sintesi può riassumersi in due aspetti ben rappresentati dal motto di Cereseto: da un lato, un'attività finanziaria sul filo della legalità, fatta di continue scalate a istituti bancari per poterne poi usare liberamente le riserve di liquidità; dall'altro, un'impressionante serie di intuizioni imprenditoriali al limite del visionario, magari non sempre fortunate ma comunque degne di stima.

All’inizio degli anni Dieci, a Parigi, è impegnato in numerosi cantieri lungo gli Champs-Elysées, tra cui il teatro omonimo, e nel 1914 solo lo scoppio della guerra vanifica la maxi operazione immobiliare di “Nuova San Pietroburgo”, una Manhattan dell'Est alla periferia della capitale zarista; passano 3 anni e Gualino coinvolge Piaggio e Agnelli nella costituzione della SNIA, Società di Navigazione Italo Americana, destinata all'importazione di carbone dagli Stati Uniti con una flotta apposita di venti navi cargo; altri 3 anni e accanto a “SNIA” si aggiunge la parola “Viscosa”: Gualino, divenuto cittadino torinese, compra i pochi impianti di seta artificiale già esistenti nel Nord-Italia e si accinge a diventare il secondo produttore mondiale di rayon; la vicepresidenza della società viene offerta ad Agnelli, che ricambia la cortesia dando la vicepresidenza della Fiat a Gualino.

Nel 1923 è la volta del comparto alimentare: Gualino punta a rendere il cioccolato un prodotto di consumo di massa e, acquisiti alcuni marchi storici torinesi, fonda la UNICA, Unione Nazionale Industrie Cioccolato e Affini, primo colosso dolciario italiano.

Ci sono grandi potenzialità nella massificazione, non solo del cioccolato ma anche della musica e delle notizie: nel 1924, Gualino, rappresentante per l'Italia della Radio Corporation of America (RCA) coinvolge Guglielmo Marconi nella fondazione della URI, Unione Radiofonica Italiana, prima concessionaria per le trasmissioni radio nazionali; l’imprenditore però ha forse sottovalutato un dettaglio: gli USA sono una democrazia, l'Italia no, e nel 1927 la URI viene nazionalizzata e ribattezzata EIAR.

Credere nell’importanza dei prodotti di massa non significa disdegnare i generi di lusso, infatti, il 1924 vede un'altra iniziativa di Gualino, stavolta destinata a fare breccia nel jet-set italiano ed europeo: presso l'ippodromo di Mirafiori egli fa costruire un'immensa scuderia, dalla quale, due anni dopo, uscirà il cavallo vincitore della corsa inaugurale dell'impianto delle Capannelle a Roma, per la gioia del proprietario e il malcelato fastidio dei gerarchi.

Fin qui alcune delle aziende direttamente fondate da Gualino, perché poi c'è la vasta serie delle partecipazioni; dalla Ford, alla Peugeot, alla Tobler, alla SIP, alla Cinzano che, su spinta dell'azionista di maggioranza Gualino, si impossessa della moribonda Florio.

A questo punto però non si pensi a lui come a una figura dedita esclusivamente al lavoro o, peggio, a un personaggio gretto e privo di interessi al di fuori del fatturare: Gualino pensa bene prima di spendere ma poi spende tanto e bene, soprattutto se a chiederglielo è la moglie, persona indubbiamente sensibile alle cose belle con in più il vantaggio di potersele quasi sempre permettere. Cesarina, discreta pittrice e appassionata di fotografia, è la principale responsabile di quella “Collezione Gualino” che, fra il 1908 e il 1931, raggiunge dimensioni vertiginose, spaziando dall’esotismo all'archeologia e alle arti applicate, e includendo molti grandi classici della storia dell'arte quali Duccio di Buoninsegna, Giotto, Botticelli, Mantegna, Tiziano e Veronese; Cesarina però è anche particolarmente ricettiva rispetto alle nuove tendenze, per cui sa fare tesoro dei suggerimenti provenienti da un consulente artistico di tutto rispetto qual è Lionello Venturi, all'epoca docente a Torino, così che la collezione si ammoderna includendo svariati Fattori, Monet, Modigliani, Chagall, nonché opere su commissione come i ritratti realizzati da Felice Casorati.

L’evoluzione del gusto estetico dei Gualino coinvolge anche le sedi lavorative: se nel 1919 Riccardo sceglie come quartier generale il barocco Palazzo Lascaris, al momento di concepire le scuderie di Mirafiori raccomanda un'immagine neoclassica, mentre dopo appena un lustro la nuova sede dei suoi uffici, il cosiddetto Palazzo Gualino progettato da Pagano e Levi Montalcini, sarà di fatto ricordata come la prima realizzazione del Razionalismo.

Nemmeno le dimore private sono escluse da questo percorso: dopo l'esordio neomedievale del castello di Cereseto infatti, il primo domicilio torinese dei Gualino è un villino eclettico in via Galliari, nei cui interni però si cerca già maggiore sobrietà mentre in un'ala si ricava un teatrino da 100 posti progettato dal promettente Alberto Sartoris; seguirà, ancora su segnalazione di Venturi, il connubio con i fratelli Clemente e Michele Busiri Vici, ai quali la coppia affida la progettazione prima di un gruppo di residenze al mare sul promontorio di Sestri Levante e poi della nuova, colossale casa-museo appollaiata sulla Collina torinese, quest'ultima però destinata a non essere mai vissuta dai suoi committenti perché, nel frattempo, su Riccardo si abbatte la “tempesta perfetta”.

Nel 1926 si è rotto il connubio tra lui e Agnelli per un accumulo di posizioni divergenti fra i due, non ultimo l'atteggiamento nei confronti del fascismo: se da un lato infatti il Senatore ha fin da subito sostenuto e finanziato Mussolini per poi godere della sua protezione, dall'altro Gualino, sostanzialmente apolitico, al massimo cerca un legame con il sottosegretario Finzi, per poi ritrovare le sue attività gravemente danneggiate dalle scelte economiche del regime incentrate su protezionismo e “Lira forte”, aspetto quest'ultimo che Gualino, per sua disgrazia, critica apertamente; ne pagherà le conseguenze allorché, nel 1931, trovandosi in grave dissesto a seguito della crisi borsistica di due anni prima, non verrà minimamente salvato, anzi sarà punito due volte: come bancarottiere e come non allineato (e massone).

Incamerata dalla Banca d'Italia la collezione d'arte, assorbita la sua Banca Agricola dall' Istituto San Paolo, affidata la SNIA Viscosa ai fascistissimi Borletti e Marinotti, accorpata la UNICA a Venchi, accaparrati all'asta da Agnelli Palazzo Gualino e la scuderia, che poco dopo verrà spianata per fare spazio al nuovo insediamento Fiat, e morta sul nascere la “Salpa ltd”, industria americana di pelletterie incentrata sul cuoio rigenerato, Gualino sconta due anni di confino fra Lipari e Cava dei Tirreni, più altre interdizioni di maggiore durata.

Sia chiaro: non conosce mai la fame, anche grazie a partecipazioni e capitali in mani amiche all'estero, ma come figura pubblica può dirsi morto per tutti gli anni Trenta; vive in affitto, ma a Portofino, a villa Altachiara, dove tra l'altro riceve personaggi del calibro di Pirandello e Churchill, e nel frattempo riesce a rientrare in possesso del pacchetto di maggioranza di un'altra sua creatura, la Rumianca, industria chimica che nel dopoguerra gli assicurerà una nuova stagione di opulenza grazie, prima, al monopolio nazionale nella produzione del DDT e, poi, al possesso del brevetto per l'Italia del PVC.

Cesarina c'è sempre, anzi dal momento del crack in poi è molto più legata al marito e, in un certo senso, è da lei che arriva lo spunto per la seconda vita imprenditoriale di lui: affascinata dalla danza moderna, che lei per prima praticava, Cesarina negli anni Venti ha “imposto” a Riccardo di frequentare personaggi d'avanguardia come Bella Hutter, Isadora Duncan, Mary Wigman e i Sakharoff , di rappresentare opere sperimentali nel teatrino privato di via Galliari e di rilevare il Teatro di Torino per destinarlo a una programmazione meno convenzionale, al punto di invitare a suonare Prokofiev in persona. Gualino è quindi già sufficientemente aggiornato sul mondo dello spettacolo quando, nel 1933, fonda la Lux, casa cinematografica destinata, grazie all’annesso circuito di sale di proiezione, a spopolare nell'Italia del dopoguerra e del “boom” divenendo a sua volta incubatrice di altri produttori come Dino De Laurentiis e Carlo Ponti.

L'ultimo atto di mecenatismo di Gualino corrisponde a un ritorno: dal 1952 è Soprintendente alle Gallerie del Piemonte Noemi Gabrielli, energica funzionaria che ha l'ingrato compito di ricomporre le collezioni d'arte dopo le distruzioni e i trafugamenti della guerra; tra le sue competenze rientra quindi anche la Galleria Sabauda di Torino, che fra il ‘30 è il ‘31, prima del completo collasso del trust Gualino, ne ha ospitato la collezione a mo' di pegno. Dopo la confisca, una parte di questo tesoro è finita ad abbellire l'ambasciata italiana a Londra, ma il Ministero degli Esteri non è disposto a farla tornare in Piemonte a meno che non venga rimpiazzata con opere d'arte di ugual pregio, condizione assolutamente fuori dalla portata della disponibilità economica degli uffici della Gabrielli la quale, con quel minimo di faccia tosta che richiedono le situazioni estreme, chiede aiuto proprio Gualino, ottenendo da lui la disponibilità ad accollarsi per intero la spesa.

Il 24 maggio 1959 la Soprintendente può quindi accogliere nella Galleria Sabauda riallestita Riccardo e Cesarina: per lui sarà l'ultima volta Torino, e probabilmente è anche l’ultima volta in cui la coppia viene pubblicamente omaggiata in città, dopodiché bisognerà attendere fino al 1982, con la mostra Dagli ori antichi agli anni Venti. Le collezioni di Riccardo Gualino a Palazzo Madama, e poi fino al 2019 con I mondi di Riccardo Gualino a Palazzo Chiablese per vedere quel cognome stampato su delle insegne: un po’ pochino, a giudicare da quanto esposto finora; se poi consideriamo che in tutto questo tempo, a Torino, non una via o una piazza sono state dedicate loro, anzi lo stesso Palazzo Gualino, recentemente fatto oggetto di una ristrutturazione in condominio non priva di criticità, è stato incomprensibilmente ribattezzato “Palazzo Novecento”, è ben difficile non dedurre che nel capoluogo piemontese persista un retaggio Agnelli-centrico talmente forte da non tollerare comprimari. Certo, si può anche obiettare che la permanenza della coppia in città si è limitata a 12 anni, ma tanto è bastato perché Gualino lasciasse nel tessuto urbano tracce considerevoli, sia quantitativamente, come l'insediamento SNIA Viscosa di Abbadia Stura o lo stabilimento UNICA di Corso Francia, sia qualitativamente come, oltre al già citato Palazzo di Corso Vittorio, il rinnovamento di via Roma da lui immaginato con tanto di sottostante tunnel per una futura metropolitana, dettaglio sintomatico di quella apertura mentale che permetteva ai Gualino di far proiettare a Torino, in anteprima nazionale, la Giovanna D'Arco di Dreyer, o di mettere in scena la danza moderna, o di accogliere presso il proprio cenacolo una serie di liberi pensatori.

Tutti aspetti evidentemente mal sopportati dalla “Torino bene” di allora: la Torino conservatrice additava inorridita quel palazzo per uffici con le “finestre coricate”; la Torino provinciale si compiaceva nel vedere le locandine di Dreyer date alle fiamme dalle squadracce nere; la Torino delle madamin non lesinava verso Cesarina e le sue amiche ballerine pettegolezzi tanto banali quanto, per l'epoca, infamanti; la Torino conformista si teneva ben lungi da ambienti tacciabili di sovversione.

La Torino degli anni Venti del Novecento era insomma impreparata ad accogliere i Gualino nella sua quotidianità; chissà che invece la Torino degli anni Venti del Duemila non sia matura per includerli finalmente nella sua memoria.

Bibliografia

G. Caponetti, Il grande Gualino, Torino 2018.
Dimenticare Gualino missione compiuta.