Una storia senza fine, così avevamo definito, utilizzando il titolo di un famoso film fantastico, la vicenda ormai pluridecennale del nucleare in Italia e del suo percorso. Una storia fatta di infinite finezze, di mirabolanti spiegazioni di un sostanziale immobilismo attivo, per così dire. Ormai si tratta sprattutto di registrare, anno dopo anno, il protrarsi di una situazione provocata da un mutamento che per alcuni si voleva radicale ma che mai è stato definito in modo chiaro e lineare. Perché è questo che è accaduto a partire dal referendum del 1987 al netto di tutta la narrazione politica e ideologica. Come sovente accade nel nostro Paese quel che si considera provvisorio inesorabilmente diviene definitivo o per meglio dire viene considerato tale.

Partiamo dai dati. Tra i quesiti referendari, sia nel 1987 sia in quello del 2011, non vi è mai con chiarezza chiesta la cosa più lapalissiana che si dovrebbe avere su un quesito, ovvero dire sì o dire no a qualche cosa di preciso. Nel caso che ci occupa essere a favore o contro il nucleare. Ebbene noi italiani abbiamo votato in maggioranza contro il nucleare ma non abbiamo mai dato il nostro voto alla fine del sistema nucleare. La realtà è che abbiamo regolamentato in modo restrittivo ogni scelta in tema atomico ed energetico, ma non abbiamo chiuso la questione nucleare.

Questo è il primo vero dato che occorre ricordare. Sono passati trentaquattro anni e quello che abbiamo realmente fatto è votare per una moratoria sulla costruzione di nuove centrali. Se così non fosse stato non avremmo dovuto nuovamente esprimerci dieci anni or sono indicando nuovamente una posizione a favore della abrogazione di alcune disposizioni concepite per agevolare l'insediamento delle centrali nucleari. Sic et simpliciter!

In questi decenni, però, abbiamo vissuto un racconto fatto di esaltazioni e di apodittiche certezze, ma mai un’analisi seria e concreta anche sul risultato di una decisione mai presa realmente ma concepita come tale.

Intanto il nostro Paese continua a dibattersi in una emergenza energetica la cui unica scelta concreta è stata quella di differenziare al massimo le fonti di approvvigionamento nel tentativo di consentire una capacità di scelta coerente con le necessità emergenti di un’economia in crescita. La turbolenza mondiale, lo scontro globale sui temi delle fonti e del controllo di esse, non soltanto in campo energetico ma industriale e strategico più generale hanno creato un sistema imperfetto e soggetto ad ogni crisi sia locale sia di aree geografiche più complesse.

Il risultato di questa concatenazione di fattori ha fatto sì che il costo dell’energia nel nostro Paese sia divenuto una variabile pressoché impazzita. Non è esistito nessun momento nel quale i costi del settore e del consumo siano divenuti favorevoli, ma soltanto un continuo aggiustamento solo tendenziale al ribasso nel tentativo di non scaricare tutti gli oneri sui consumatori. In modo inevitabile ed anche in qualche modo prevedibile l’aumento dei prezzi di riferimento delle fonti energetiche si è unito alla crescita dei cosiddetti oneri di sistema che in molti casi costituiscono tra il 30/40 per cento delle bollette finali, al netto naturalmente dell’Iva.

In questo quadro confuso di riferimento si situa la questione residuale del nucleare, inesistente sotto il profilo energetico ma immanente per quel che riguarda la non soluzione del delicato settore dei rifiuti radioattivi e i costi perché di questa soluzione ci si occupi.

Ed eccoci al secondo punto. Da trentaquattro anni stiamo dismettendo il nostro sistema nucleare (trentaquattro anni, ripetiamo) e non è stato ancora risolto il problema di un sito unico e definitivo per lo smaltimento delle scorie delle quattro centrali dismesse. Anzi in molti casi abbiamo trasferito il problema in numerosi siti in altri Paesi europei che a caro prezzo li hanno ospitati in via temporanea. Ovvero in attesa della decisione di un luogo definitivo in cui stoccare in sicurezza il materiale fissile. La riconsegna di questo materiale è programmata ma del sito definitivo di stoccaggio si parla da almeno tre decenni senza esito. Con il corollario non certo ininfluente dei costi per mantenere questo sistema transitorio in vista di quest’ultima thule che mai si concretizza ai nostri occhi!

A tutto questo va aggiunto il non secondario particolare che ogni giorno esistono fonti di materiali radioattivi che vengono impiegati, si pensi soprattutto al settore socio-sanitario, alla medicina nucleare. Tutto questo materiale va trattato secondo precisi e rigorosi protocolli e andrebbe poi smaltito seguendo altrettante regole e le scorie depositate in condizioni di sicurezza. Tutto questo in assenza di decisioni definitive sul dove in che tempi e con quali prospettive certe in futuro. Parliamo di materiale pericoloso, il cui decadimento avviene nel migliore dei casi in decine di anni, dunque non di una questione alla portata.

Recentemente in diversi contributi sugli organi di informazione – che con periodicità pongono l’interesse come si fa in questa riflessione – hanno diffuso una serie di dati ufficiali, la cui fonte è l’Isin (Ispettorato per la Sicurezza Nucleare). Secondo quanto comunicato nel nostro Paese ci sono, “provvisori”, 26 depositi e 19 stoccaggi che troviamo in molte e differenti parti del nostro territorio.

Sempre riferendosi ai numeri resi noti ufficialmente, abbiamo avuto una quantificazione alla fine del 2020, secondo la quale la consistenza di tali rifiuti si è incrementata di 724,3 metri quadri. A questo conteggio si è arrivati includendo anche materiali irraggiati di un reattore atomico militare, vicino Pisa. La palma del primo posto di questa non invidiabile classifica spetta al Lazio, ma è il Piemonte ad avere la condizione più rischiosa (nella regione lo ricordiamo vi è l’impianto in dismissione di Trino Vercellese).

La questione nucleare, dunque, non è teorica ma pratica. E prima di affrontare qualsiasi discorso sarebbe necessario per noi trovare una soluzione ad un problema annoso ed irrisolto. Invece di ragionare una volta per tutte su una vera emergenza che si unisce a quella pandemica e alle altre mille del Paese, il dibattito nazionale, meglio dire l’inutile, tedioso e inconcludente scontro verticale continua a svolgersi sui massimi sistemi. A causare questa ulteriore perdita di tempo, l’ancoraggio da alcuni trovato e da altri aborrito, con il confronto in atto nell’Unione Europea per definire le fonti alternative al carbone, al petrolio e al gas nell’ordine in direzione di sistemi energetici legati a fonti rinnovabili ma soprattutto neutre dal punto di vista dell’impatto ambientale. Per alcuni Paesi dell’Unione anche l’energia nucleare sarebbe tra queste se si adottassero ovviamente le centrali di ultimissima generazione in grado di controllare e prevenire incidenti che in questo campo, come sappiamo sono gravissimi e non solo per il luogo nel quale avvengono (come la storia di Chernobyl ci ha insegnato).

Nel nostro Paese, però, invece di ragionare seriamente ed in modo sistemico e non peristaltico della costruzione di un sistema energetico autonomo e in grado di sostituire rapidamente la dipendenza dall’estero, il dibattito subito ideologizzatosi, si è concentrato sull’alternativa “nucleare sì, nucleare no”. Con l’ovvia conseguenza che i sostenitori del sì sono immediatamente apparsi (si pensi al ragionamento solo teorico fatto dal ministro Cingolani) come gli inquinatori, i gestori di un complotto megagalattico e plutocratico, mentre quelli del no, come i salvatori del Paese e del pianeta, gli eroi senza macchia né paura!

Se si abbandonano le scorrerie insulse di questo non dibattito che da decenni blocca in Italia non solo il nucleare (non certo gradito e voluto) ma persino i rigassificatori al largo delle nostre coste, i gasdotti che devono entrare nel nostro Paese e tutta la serie di posizioni ideologiche e irresponsabili che nei territori vengono propalate appena si parla di infrastrutture energetiche tout court, quel che rimane è la cruda realtà: siamo un Paese tenuto per la gola in tema energetico, dipendente in gran parte (pur essendo spesso stato avanguardia di tecnologie che ora ci vorrebbero vendere) dalle fonti energetiche dall’estero! Una condizione che non si supera certo con atteggiamenti ideologici ed in senso greco “idioti”!

Resta, al netto di quanto detto, e destinato a “inquinare” qualsiasi serio confronto su un tema cruciale per le possibilità di ripresa nazionale, il tema dal quale ci siamo mossi che tuttavia costituisce una cartina di tornasole sulla capacità di fare sistema! Si parla ovviamente della decisione sul sito nazionale unico di stoccaggio. Su questo delicato tema si è svolto di recente un seminario della società pubblica che gestisce la cosiddetta “uscita” dal nucleare che si vuole decisa dai referendum rammentati. Ebbene dopo lo sblocco del solo dibattito di fondo, sul quale naturalmente tutti sono consapevoli ma “not in my backyard”, ovvero mai nel mio giardino, nessuna delle zone candidate è disponibile ad accogliere l’istallazione nazionale.

La conclusione, ovviamente solo temporanea, di questa riflessione è che se il nostro Paese non agirà in modo consapevole e maturo sulle proprie esigenze in campo energetico non solo non si risolverà la storia infinita di cui abbiamo riflettuto, ma non riusciremo mai a trovare un equilibrio virtuoso al nostro problema ontologico: la carenza di fonti energetiche nazionali capaci di darci se non l’autonomia, quanto meno la capacità di far fronte in modo coerente alle emergenze che la storia mondiale continuerà a proporci da gennaio a dicembre ogni anno che passa! Una carenza che non si risolve con parole e parole che possono sì riscaldare i cuori, ma che rischiano di lasciare fredde le nostre case!

Dunque, per comprendere meglio: nucleare no, carbone no, petrolio no, rigassificatori e gasdotti no! Dighe il meno possibile nel Paese del Vajont e delle infrastrutture fatiscenti, eolico sì ma non dappertutto anche per la grave offesa al paesaggio per quanto si dica il contrario, energia dai rifiuti sì ma esiste il grave problema che nella maggioranza del Paese non siamo capaci di smaltirli in modo organico e produttivo. E ancora elettrico, ovvero un ulteriore nodo scorsoio alla nostra gola considerando che le materie prime necessarie e rare sono già appannaggio delle grandi potenze mondiali, in primis la Cina e che la produzione delle batterie stesse ha bisogno di energia, quella tradizionale, ovvero inquinante, nella mitica transizione adveniente! Corollario a questo il mai sottolineato problema dello smaltimento delle batterie esauste che diventerebbe il primo e proficuo mercato del futuro. Ma noi italiani saremmo in grado di sciogliere i dubbi tecnici e organizzativi conseguenti se non siamo ancora capaci a trentaquattro anni di distanza di risolvere il nodo dei rifiuti nucleari di ieri, di oggi e ovviamente di domani!

Non abbiamo dimenticato il solare, unica possibile fonte pulita con minori aggravi inquinanti, ma perché essa possa essere competitiva dovremmo riempire il nostro Paese di impianti fotovoltaici e di ultima generazione, disseminando la nostra natura di specchi e celle per ogni dove. Qualcuno per caso si è mai chiesto se questo come per le pale eoliche potrebbe avere qualche conseguenza negativa, tipo la creazione di un immenso specchio riflettente dalla terra verso lo spazio... così per confrontarsi su i pro e i contro!

È evidente che ogni scelta comporta o può comportare decisioni successive e sistemiche e che devono nascere da una consapevolezza matura, non da furori ideologici e da malcelate questioni di interesse! Con le quali senza misure di temperamento, si va solo verso il baratro!

Ai posteri l’ardua sentenza .... purtroppo!