L’aderenza al trattamento è tema centrale nella cura di tutte le malattie, la sua mancanza considerata un fattore di rischio occulto, in quanto predisponente a comportamenti e stili di vita non salutari. È definibile, secondo L.B. Meyers, come coinvolgimento attivo e collaborativo del paziente, a cui si chiede di partecipare alla pianificazione e all’attuazione del trattamento attraverso un consenso basato sull’accordo, l’alleanza e la condivisione di responsabilità.

Il termine ha ormai sostituito quello di compliance, che rappresentava il grado di coincidenza tra il comportamento di una persona (assunzione di farmaci, osservanza di diete, cambiamenti nello stile di vita) e consigli del medico, evocando condiscendenza e quindi passività, asimmetria decisionale, talvolta colpevolizzazione dei pazienti “non complianti”. Aspetto fondamentale, in ogni caso, è quello della persistenza, cioè il periodo di tempo in cui il paziente assume il farmaco (in generale il trattamento) prescritto in modo continuativo.

Diversi studi, soprattutto in prevenzione secondaria, cioè nei soggetti che hanno avuto un evento come, per esempio, un infarto miocardico, hanno dimostrato che la non aderenza è associata ad un rischio aumentato di recidiva ed anche di mortalità.

Non è peraltro dimostrato con certezza il livello di aderenza strettamente necessario, anche se si considera in genere “buona” se supera l’80% (95% in caso di terapia antiretrovirale, nei malati di HIV). Sicuramente non è un fenomeno tutto o nulla ma si distribuisce in un continuum da 0 ad oltre 100 (chi assume più farmaci dei prescritti!). Vari studi evidenziano che esiste una sovrastima (dal 20 al 30%), da parte del medico, della reale aderenza da parte del paziente.

È descritta, inoltre, una “aderenza da camice bianco”, tipica dei 5 gg antecedenti o successivi ad una visita di controllo.

Si parla di non-aderenza quando il paziente non segue il trattamento in circa il 50% dei pazienti in prevenzione primaria, nel 30% dei casi in prevenzione secondaria. Nel 20-30% dei casi l’assunzione è assente fin dall’inizio, cioè l’assistito non inizia nemmeno il trattamento consigliato. In generale la mancata aderenza può manifestarsi come assunzione di una dose inferiore (o superiore) a quanto prescritto, oppure in orari diversi da quelli raccomandati, può essere sbagliata la successione dei farmaci, si può verificare la sospensione prematura, ma anche la prosecuzione oltre il dovuto, molto frequente l’assunzione di farmaci di propria iniziativa.

Strategie

Per il medico, è fondamentale identificare il problema e quindi prendere in considerazione la possibilità di mancata aderenza nel caso di un paziente che non risponda secondo le attese alla terapia prescritta. Per evitarla non esiste una soluzione one-size-fits-all (“taglia unica”) ma occorre un approccio personalizzato e multifattoriale. Si tratta, infatti, di un fenomeno multidimensionale determinato dalla reciproca relazione di molti diversi fattori, definibili come predittori di scarsa aderenza. Fattori predittivi di scarsa aderenza:

  • problemi psicologici/psichiatrici (depressione);
  • decadimento cognitivo;
  • trattamento di condizioni asintomatiche;
  • inadeguata pianificazione (dimissione e/o follow-up);
  • effetti collaterali dei farmaci;
  • scarsa comprensione/fiducia nel trattamento da parte del paziente (o del medico);
  • ostacoli all’assunzione dei farmaci (memoria, vista, udito, lavoro…);
  • mancata osservanza dei controlli;
  • complessità del trattamento;
  • frammentazione assistenziale.

Esistono strategie generali per favorire l’aderenza riportate da numerose linee guida delle quali si propone una sintesi:

  • coinvolgere altro personale sanitario, quando possibile;
  • dedicare tempo al paziente;
  • “educazione” di paziente, familiari, care-giver al “valore della cura”: coinvolgimento diretto, es. automonitoraggio;
  • attenzione ai pazienti “a rischio” di non-aderenza;
  • orientamento al paziente: fattori di rischio modi di essere consolidati, correlati a piaceri e motivazioni in genere non coscienti e determinati dall’ambiente sociale;
  • rispettare la libertà del paziente di determinare il proprio futuro: accettare il suo punto di vista nei confronti del rischio o della malattia e lasciagli esprimere ansie e preoccupazioni;
  • realizzare una buona collaborazione con gli specialisti.

Sono importanti interventi direttamente sui farmaci e relativi al paziente.

Interventi sui farmaci:

  • limitare la prescrizione ai farmaci strettamente necessari;
  • preferire farmaci che richiedono il minor numero di somministrazioni (lunga emivita, rilascio prolungato);
  • nelle situazioni stabili valutare l’utilizzo di combinazioni a dosi fisse;
  • preferire farmaci la cui assunzione possa avvenire in concomitanza con i pasti;
  • evitare variazioni della posologia e del numero di farmaci assunti nel corso della giornata non strettamente necessarie;
  • fornire informazioni chiare, preferibilmente scritte (ev. anche sulle confezioni), leggibili;
  • spiegare dosi, tempi di somministrazione, durata, possibili effetti indesiderati e loro gestione;
  • verificare comprensione istruzioni e corrispondenza tra prescrizioni e assunzione, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all’inizio di una nuova terapia o alla sua modifica;
  • verificare comprensione priorità.

Interventi nei confronti del paziente:

  • suggerire piccoli cambiamenti (“qualcosa di più”);
  • identificare principali barriere al cambiamento, ad esempio, deficit sensoriali o cognitivi, problemi psicologici, limiti culturali, problemi di approvvigionamento;
  • identificare i principali punti di forza del cambiamento;
  • utilizzare ausili mnemonici (tabelle promemoria, portapillole, associazione tra assunzione e abitudini);
  • indurre il paziente ad assumere impegni espliciti (automonitoraggio);
  • rafforzare periodicamente la motivazione mediante follow-up personalizzati (reminder telefonici, SMS, telemetria, ecc.);
  • monitorare i progressi durante le visite di follow-up (“contatto propositivo”);
  • realizzare una maggiore facilità di accesso all’ambulatorio.

Riflessioni conclusive

Come direbbe Jacques Chabannes signore de La Palice, i trattamenti, farmacologici e non, se non vengono effettuati non funzionano. Le strategie sono in generale importanti ma l’aspetto fondamentale è la relazione tra il medico e il paziente. L’assistito assume la terapia se è convinto della sua utilità, conosce i motivi dell’assunzione o della necessità del cambiamento di stile di vita, ha fiducia nel consiglio del proprio medico.

Dottore, se lo dice lei…