Un Paese riconosce e rispetta i diritti umani quando riconoscimento e rispetto, che portano i semi della democrazia, sono sentiti e applicati in tutte le fasce sociali.

In genere si arriva ad uno stato di democrazia dopo avvenimenti eccezionali ed eclatanti. Basta pensare alla “Rivoluzioni dei gelsomini” della Tunisia che portò alla “Primavera araba”, fenomeno sociale che si diffuse rapidamente e dalla Tunisia arrivò alla Siria, passando per Libia e Marocco, coinvolgendo in pochissimo tempo i Paesi del Nord Africa e buona parte del mondo arabo.

I risultati che si sperava di avere in così poco tempo furono però fortemente deludenti. E non è certamente casuale che l’unico Paese in cui si sono avuti riscontri positivi sia la Tunisia. Il Paese dove la tormentata politica locale tende, giorno dopo giorno, a raggiungere equilibri sociali rassicuranti soprattutto grazie alla forte determinazione delle donne tunisine, che hanno dimostrato in diversi momenti di avere il coraggio di manifestare scendendo in massa nelle vie principali di Tunisi. Ma è anche normale chiederci perché questo risultato solo in Tunisia dove di recente è stato registrato un grande evento storico: per la prima volta nel mondo arabo una donna, Najla Bouden Romdhane1, è stata nominata a capo del Governo. Un successo del post “Primavera araba” e un grande successo delle donne tunisine che rappresenta un nuovo tassello nel quadro del pieno riconoscimento dei diritti della donna in Tunisia.

Io credo che la motivazione principale di tanto successo vada ricercata nel fatto che in Tunisia, già dai tempi di Habib Boughiba e poi di Zine El-Abidine Ben Ali, con leggi innovative per il mondo musulmano, erano stati riconosciuti alle famiglie e alle donne importanti diritti umani. Leggi che, ancorché sotto un regime, avevano dato alle donne la chiara sensazione di una loro libertà che molto le accomunava alla libertà delle donne negli Stati in cui sono libere e con pari diritti degli uomini. La transizione è risultata dunque certamente meno difficoltosa che negli altri Stati, perché in Tunisia si trattava innanzitutto di lottare, contro un primo governo di matrice prettamente islamista, per il mantenimento dei diritti già riconosciuti e successivamente per il loro ampliamento.

Negli altri Stati la situazione è stata totalmente differente, si doveva tentare un totale capovolgimento sul riconoscimento del vero ruolo che la donna ha nella società attraverso l’emanazione di norme quasi totalmente assenti.

Questa situazione di maggiore difficoltà si è evidenziata in tanti Stati e in maniera vistosa nei 22 Paesi della Lega Araba, anche se alcuni di essi tentano di affacciarsi ad una democrazia che veda crescere anche il rispetto dei diritti umani e delle donne, come sta accadendo in Algeria e in Marocco.

Il particolare caso degli Emirati Arabi Uniti

Un caso a parte è certamente rappresentato dagli Emirati Arabi Uniti, verso i quali da un lato sono espresse a livello internazionale forti accuse per il mancato riconoscimento dei diritti umani e in particolare per la condanna di quanti desiderano esprimere liberamente i loro pensieri quando sono in dissenso con quelli governativi, dall’altro vengono espressi elogi, sempre a livello internazionale, per i primi importanti passi compiuti verso il riconoscimento di taluni diritti umani, soprattutto delle donne.

Sembra quasi una contraddizione sull’attuale gestione governativa.

Da una parte sono evidenziate le pesanti accuse di Amnesty International e l’importante risoluzione approvata dal Parlamento Europeo il 16 settembre 2021 sul caso di Ahmed Mansoor, difensore dei diritti umani, negli Emirati Arabi Uniti, in cui, in maniera forte, si prende atto delle gravissime violazioni della libertà di espressione e della repressione delle libertà fondamentali.

Dall’altra parte l’elogio di “UN Women”, l'ente delle Nazioni Unite dedicato all'uguaglianza di genere e all'emancipazione delle donne, attraverso l’Agenzia Stampa degli Emirati, dell’8 marzo 2021 in occasione della festa della donna, in cui veniva riportato: “Gli Emirati Arabi Uniti hanno compiuto passi significativi verso l'uguaglianza e guidano la regione MENA2 nell'emancipazione delle donne, in particolare alla luce delle recenti legislazioni che hanno offerto alle donne più diritti e una migliore protezione”.

Affermazioni che, assieme ad altre similari, lasciano ben sperare che anche in questo Paese si possa tendere ad un maggiore rispetto dei diritti umani.

Bisogna valorizzare ciò che ci unisce

Dopo queste brevi citazioni mi chiedo se non possa tornare utile mettere maggiormente in atto ciò che Papa Giovanni XXIII, in occasione del saluto ai fedeli partecipanti alla fiaccolata dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II dell’11 ottobre 1962, disse nel così detto famoso “Discorso alla Luna”: “Continuiamo dunque a volerci bene, [...] cogliere quello che ci unisce, lasciar da parte, se c'è, qualche cosa che ci può tenere un po' in difficoltà...”. Questa frase, ormai famosa, è stata comunemente tradotta come: “Bisogna ricercare ciò che unisce, tralasciando ciò che divide”.

È un’esortazione a esaltare i valori positivi perché possano emergere quelle azioni capaci di innescare una vera inversione di tendenza nella pace tra i popoli.

Se da un lato abbiamo il dovere di condannare azioni che ancora oggi negli Emirati limitano i diritti umani, dall’altro non possiamo disconoscere i passi positivi che dagli stessi Emirati sono stati fatti, anzi, è nostro dovere sostenere tale processo e metterle ben in evidenza, affinché si formi una nuova cultura generale sull'uguaglianza di genere che respinga sempre più le eventuali spinte contrarie.

Da profondo sostenitore della libertà religiosa, nella mia piena convinzione che siamo tutti figli dello stesso Dio, ho molto apprezzato il rispetto che gli Emirati hanno verso gli aderenti a tutte le religioni, con un Islam aperto al dialogo fraterno e di pace e dove sono stati messi al bando gli estremisti religiosi.

Da cattolico ho anche apprezzato in modo particolare l’apertura verso i cristiani e l’alto grado di pacifica convivenza che ormai da tempo esiste tra gli abitanti di quel Paese.

Gli Emirati rappresentano una parte del mondo arabo dove i cristiani sono circa il 10% della popolazione, non esistono discriminazioni sociali tra musulmani e aderenti ad altre religioni ed esiste un importante riconoscimento diplomatico tra Emirati Arabi Uniti e Santa Sede. Ad Abu Dhabi, il 4 febbraio del 2019, a seguito del citato riconoscimento diplomatico, il nostro Papa Francesco è stato ben accolto dalle autorità governative e religiose e assieme al Grande Imam di Al-Azhar ha sottoscritto un documento su “Fratellanza Umana per la pace mondiale e la convivenza comune”, sancendo così l’appartenenza allo stesso Dio, al di là che venga chiamato Dio o Allah.

A seguito di tale importante evento, il ministro degli esteri Abdallah Ben Zayed Al Nahyan, in un incontro tenutosi 20 giorni dopo la visita del Papa Francesco ad Abu Dhabi, ha comunicato al Papa le decisioni del suo governo di promuovere l’applicazione del documento sulla “Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune” firmato ad Abu Dhabi.

Questi sono certamente segnali di grande importanza internazionale ed è giusto che vengano correttamente pubblicizzati per essere maggiormente conosciuti e apprezzati in tutto il mondo.

Verso il riconoscimento dei diritti delle donne

Pur assistendo ancora ad aperte denunce di arresti, processi e detenzioni arbitrarie ai danni di dissidenti pacifici, di attivisti per i diritti umani e pur assistendo ancora al mancato riconoscimento di molti dei diritti delle donne universalmente riconosciuti, abbiamo il dovere di attenzionare positivamente alcuni importanti passi che sono stati fatti in tale direzione.

Nel menzionato documento di “UN Women” è riportato che:

In termini di partecipazione politica, il presidente Sua Altezza lo sceicco Khalifa bin Zayed Al Nahyan ha emesso una risoluzione nel 2019 per aumentare la rappresentanza delle donne nel Consiglio nazionale federale (FNC) al 50% durante le elezioni del 2019.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno emesso il decreto legge federale numero 6 del 2020, che modifica alcune disposizioni della legge federale numero 8 del 1980 in materia di regolamentazione dei rapporti di lavoro, che concede alle lavoratrici del settore privato un congedo retribuito extra di cinque giorni alla maternità già di 45 giorni. Anche i padri riceveranno un congedo retribuito di cinque giorni. Gli Emirati Arabi Uniti sono diventati il primo paese arabo a concedere il congedo parentale ai dipendenti del settore privato.
Gli Emirati Arabi Uniti hanno anche emesso il decreto della legge federale numero 6 per il 2020, che stabilisce la parità di salari per donne e uomini nel settore privato, se svolgono lo stesso lavoro o un altro di pari valore.

Si potrebbe anche obiettare che i passi fatti non sono ancora sufficienti per potere parlare di ampio rispetto dei diritti umani, ma se rapportati al restante mondo arabo, rappresentano certamente un segnale fortemente positivo e di buon auspicio.

Emirati, Israele e Palestina

Altro evento di grande positiva rilevanza internazionale è stato la sottoscrizione degli “Accordi di Abramo”, con cui gli Emirati hanno assunto l’impegno di riconoscere lo Stato di Israele e nello stesso tempo di riconoscere “l’importanza di mantenere e rafforzare la pace in Medio Oriente e in tutto il mondo sulla base della comprensione reciproca e della coesistenza, nonché del rispetto della dignità umana e della libertà, compresa la libertà religiosa”.

In armonia a quanto hanno fatto gli altri Stati musulmani che hanno già sottoscritto questi “Accordi”, è stata data anche grande importanza al riconoscimento e alla difesa dello Stato di Palestina.

A tal proposito in data 8-05-2021 gli Emirati, attraverso la loro Agenzia di stampa, hanno invitato Israele a ridurre l'escalation della situazione ad Al-Aqsa e Sheikh Jarrah, condannando fermamente l'assalto delle autorità israeliane alla Moschea Santa Al-Aqsa e contestualmente sottolineando “la necessità che le autorità israeliane si assumano le proprie responsabilità - in conformità con le regole del diritto internazionale - per proteggere il diritto dei civili palestinesi di esercitare il proprio religione e per prevenire pratiche che violano la santità della Sacra Moschea di Al-Aqsa”.

Questo pressante invito rappresenta un ulteriore passo verso la pace e lascia ben sperare ai risultati che si potranno ottenere a livello internazionale con la sottoscrizione degli Accordi di Abramo da parte degli altri Stati musulmani.

Dobbiamo lavorare per ciò che ci unisce e non per ciò che ci divide, dove si apre uno spiraglio positivo per il raggiungimento di una democrazia è lì che dobbiamo investire, è lì che dobbiamo aumentare i nostri sforzi perché il buon seme cresca rigoglioso. Ciò non significa che dobbiamo trascurare le esistenti criticità sopra evidenziate, ma soffermarci solo su questi aspetti, trascurando i passi positivi che sono stati compiuti, significa non incentivare e sostenere la validità di ciò che in senso positivo è stato fatto.

L’importante riconoscimento e accoglimento delle associazioni internazionali di servizio

Altro fatto importante è che sono già presenti negli Emirati le più importanti associazioni di servizio del mondo: Lions, Rotary, Kiwanis. Il primo Lions Club fondato negli Emirati è il “Premier Lions Club” ed è presieduto dallo Sceicco Tariq bin Faisal Al Qassimi, appartenente a una delle sei famiglie dominanti degli Emirati Arabi Uniti (EAU) che governa due dei sette Emirati: Sharjah e Ras Al Khaimah. La dinastia Al Qassimi, che dalle informazioni avute vanta la discendenza diretta dal profeta Maometto, governa l’Emirato di Sharjah dal XVIII secolo.

Nel dicembre del 2019, ho avuto il piacere di partecipare alla sottoscrizione del patto di cooperazione tra il Distretto Lions 108yb-Sicilia e i Lions Clubs degli Emirati Arabi Uniti, che io stesso avevo promosso su espresso desiderio di Angelo Collura, allora Governatore del Distretto, e che è stato portato a termine grazie a Augusto Di Pietro, un Lion riconosciuto ufficialmente dalla sede centrale dei Lions International di Oak Brook (USA) come coordinatore dei “Lions Clubs International Middle East”.

La presenza di queste importanti associazioni di servizio internazionali negli Emirati è un fatto sicuramente positivo per il raggiungimento degli obiettivi sopra menzionati. Infatti, in molti altri Paesi arabi non è ancora possibile fondare associazioni di servizio internazionali. Per meglio comprendere l’importanza della presenza negli Emirati di associazioni di servizio internazionali di cui fanno parte anche le donne, basta evidenziare, ad esempio, che il Lions Clubs International presente in oltre 200 Paesi, non è ancora presente nei seguenti Paesi della Lega Araba: Arabia Saudita, Siria, Libia, Kuwait, Oman, Qatar, Yemen, Palestina.

E ciò per gli Emirati evidenzia certamente un importante segnale positivo verso l’auspicata “uguaglianza di genere”, oltre ad un concreto e importante passo verso la storicizzazione e contestualizzazione dell’Islam.

Considerazioni finali

Mi sono limitato a citare solo alcuni dei fatti a me noti, sia negativi che positivi, che interessano gli Emirati Arabi Uniti, con l’augurio che possano stimolare maggiori riflessioni per aprire la strada al maggiore rispetto dei diritti umani, per una libertà foriera di democrazia e per arrivare infine ad una futura cooperazione e pacifica convivenza fra i popoli.

Noi tutti abbiamo il dovere di esaltare questi aspetti, di dare forza alle positive volontà che emergono in questo Paese e che tendono sempre più ad allontanare la popolazione dall’atavica cultura patriarcale.

Con queste mie considerazioni desidero elogiare le azioni positive, ma, nello stesso tempo, non fare dimenticare che passi importanti devono ancora essere fatti verso il rispetto dei diritti umani, anche se riconosco che è utopistico pensare che tale cambiamento possa avvenire in tempi ristrettissimi. Possiamo solo augurarci che, grazie anche e soprattutto ai moderni mezzi di comunicazione, i messaggi possano essere presto recepiti e interiorizzati anche dalle menti più ostili.

Tali azioni positive dimostrano, di fatto, che anche gli Emirati Arabi Uniti, così come hanno già fatto altri Paesi, mirano alla storicizzazione e contestualizzazione dell’Islam, unica religione per la quale tale processo è già iniziato solo in pochi Paesi.

Gli Emirati sanno bene che la loro ricchezza non durerà in eterno ed è auspicabile che serie riflessioni sul loro benessere attuale, dovuto in parte alle ingenti risorse di beni naturali pregiati, li possa indirizzare verso investimenti produttivi che torneranno socialmente utili soprattutto quando tali beni naturalmente si ridurranno o comunque saranno meno utilizzati dal mondo intero per produrre energia grazie alle crescenti moderne tecnologie alternative, sempre più necessarie per la sopravvivenza umana.

L’attuale primo tentativo di “storicizzazione e contestualizzazione”, ancora molto ridotto e troppo subordinato ad alcune anacronistiche interpretazioni coraniche, è, a mio avviso, opportuno che non sia legato solo ad un avvicinamento degli Emirati a questa o quell’altra grande potenza mondiale, perché verrebbe distorta l’interpretazione della positività delle azioni fatte.

La verità è che questo processo di forte sviluppo dovrebbe aspirare ad una sempre maggiore formazione di una struttura democratica, senza la necessità di menomare i diritti acquisiti da quanti oggi gestiscono le maggiori economie del Paese ed hanno fatto emergere aspetti sicuramente positivi, per potere fortemente contribuire a eliminare o comunque ridurre il terrorismo, ridurre eventuali sacche di povertà ancora esistenti nel Paese e liberare la donna da vincoli obsoleti che le impediscono di esprimere le sue vere qualità umane e sociali.

Potrebbe sembrare che quanto scrivo sia frutto di un sogno, ma non è così, perché sono pienamente convinto che proprio gli Emirati potrebbero innescare processi evolutivi da estendere al restante Mondo arabo.

La storia insegna che i poteri politici dittatoriali che limitano fortemente la libertà non hanno avuto mai lunga vita e il loro periodo di potere è stato sempre instabile e sotto la pesante costante paura per potenziali attentati e/o rivoluzioni. Dunque, dobbiamo solo sperare che l’attuale sviluppo degli Emirati non degeneri mai in forme di potere dittatoriale, né venga modificato da interessi politi internazionali che, per l’arricchimento di pochi possano sacrificare gli interessi generali della popolazione.

Gli Emirati, che nel volgere di pochi decenni sono diventati la sede di opere di alta tecnologia e costruzioni di alta ingegneria, con una grande capacità operativa che poco ha da invidiare a quella delle grandi potenze mondiali, lasciano ben sperare che lo stesso gradiente di sviluppo sociale possa presto interessare anche il pieno riconoscimento dei diritti umani.

Come ha detto Papa Francesco in occasione della XXVIII edizione dell’Incontro Internazionale Uomini e Religiosi promosso dalla Comunità di Sant’Egidio in data 08/09/2014:

Dobbiamo essere costruttori di pace e le nostre comunità devono essere scuole di rispetto e di dialogo con quelle di altri gruppi etnici o religiosi, luoghi in cui si impara a superare le tensioni, a promuovere rapporti equi e pacifici tra i popoli e i gruppi sociali e a costruire un futuro migliore per le generazioni a venire.

Ed io credo che gli Emirati Arabi Uniti siano già su questo cammino di pace, pertanto, se da un lato è corretto fare emergere le criticità sociali esistenti, dall’altro è nostro dovere esaltare gli aspetti positivi e gli importanti passi già compiuti verso la storicizzazione e contestualizzazione dell’Islam, come è già accaduto e continua ad accadere in altri Paesi musulmani, così da potere ancora una volta confermare che l’Islam è una religione abramitica di pace e di rispetto umano.

Note

1 Najla Bouden Romdhane, 63 anni, originaria dalla regione povera di Kairouan, ingegnere-geologo, professoressa di geofisica presso la Scuola Nazionale di Ingegneria di Tunisi, è stata Direttore Generale responsabile della Qualità presso il Ministero della Pubblica Istruzione. Donna dotata di grande intelligenza e di alte qualità umane.
2 MENA (Middle East & North Africa) è la regione, suddivisa in tre sotto-regioni, che comprende 18 Paesi: Nord Africa (Algeria, Egitto, Libia, Marocco, Tunisia), Medio Oriente (Giordania, Iraq, Israele, Libano, Siria, Territorio palestinese occupato) e Penisola araba e Iran (Arabia Saudita, Bahrein, Emirati arabi uniti, Iran, Kuwait, Oman, Qatar, Yemen).