Recenti articoli sulla stampa reggina, hanno riferito di recente del ritrovamento, nel corso di scavi eseguiti nella piazza di Reggio Calabria, dedicata a Giuseppe Garibaldi, a pochi metri di profondità, di un mausoleo di epoca romana di pregevole fattura. Il mausoleo è in sostanza una tomba monumentale nella quale solitamente trova sepoltura un re, un imperatore, un capo militare, che spesso fa costruire ancora in vita il monumento nel quale avrà sepoltura dopo la morte. Famosi sono quelli di Roma come il mausoleo dell’imperatore Augusto, sito nella piazza omonima, e quello di Adriano, in seguito trasformato in fortezza pontificia, denominato Castel Sant’Angelo.

Reggio nasconde ancora nel sottosuolo tesori archeologici e, come avviene a Roma, ad ogni scavo per le fondamenta di nuovi edifici, vengono ritrovate anfore, monete, lanterne votive e altro. Il mausoleo venuto adesso alla luce è sicuramente il più importante reperto archeologico, sia per la qualità del manufatto, sia perché costituisce un contributo decisivo per la ricostruzione della storia di Giulia.

Il mausoleo in questione è di pregevole fattura, databile alla prima metà del primo secolo dopo Cristo. Non reca iscrizioni dalle quali potere risalire al personaggio in esso sepolto e tuttavia non vi sono stati dubbi nell’attribuirlo a persona vicina alla gens Iulia. L’archeologo Castrizio racconta: “Quando è stato trovato quel manufatto, è subito saltato all’occhio che quella qualità tecnica non aveva riscontri a Reggio Calabria, è un’opera di grande pregio, nonostante non si sia trovato niente delle decorazioni. Questo mausoleo è stato realizzato con grande tecnica da maestranze che non erano ‘improvvisate”.

Non è stato difficile individuare chi era stata la persona dell’aristocrazia imperiale abitante nella città di Reggio. Si tratta della figlia maggiore dell’imperatore Ottaviano Augusto e della sua seconda moglie Scribonia, nota ai contemporanei come Iulia Caesaris filia o Iulia Augusti filia. Nacque a Roma nell’ottobre dell’anno 39 a.C. e morì a Reggio nel 14 d.C.

Proprio nel giorno della nascita di Giulia, Augusto divorziò da Scribonia. Già all’età di due anni Giulia venne promessa sposa al figlio di Marco Antonio che di anni ne aveva dieci. Quando raggiunse l’età di quattordici anni sposò il cugino, figlio di Ottavia sorella di Augusto, morto dopo appena due anni dal matrimonio. A diciotto anni sposò Agrippa, amico e generale fidato di Augusto, di 25 anni più anziano. Dal matrimonio nacquero cinque figli, l’ultimo dei quali pochi mesi dopo la morte del padre. Alla morte di Agrippa Giulia fu data in sposa a Tiberio, fratellastro di Augusto.

I busti in marmo della sua figura ci restituiscono l’immagine di una donna dai lineamenti nobili e delicati, di grande fascino, con acconciature che esaltano la forma perfetta del viso. Era il prototipo della donna moderna: troppo bella, troppo intelligente, troppo raffinata, troppo colta che aveva il sogno di restaurazione repubblicana. Un sogno che pagò prima con l’esilio e poi con la vita. Lo storico Macrobio afferma che Giulia aveva un “amore per la letteratura e una considerevole cultura, qualcosa di facile da ottenere nella sua famiglia”.

Ebbe sicuramente relazioni che le diedero fama di donna di facili costumi. Velleio Patercolo la descrive come “inquinata dalla lussuria”. Lucio Anneo Seneca parla di “ammissione di molteplici adulteri”; Gaio Plinio Secondo la definì “exemplum licentiae”, ma non è escluso che gravava su questi giudizi il potere della gens Iulia che intendeva porre la donna al pubblico ludibrio. Quando Giulia, manifestò pubblicamente le sue velleità restauratrici della repubblica, venne bollata come prostituta. In verità ella intendeva avere un ruolo politico all’altezza della Gens Julia, legittimato dalla sua forte personalità, dalla sua cultura e dalle sue ambizioni.

Dopo qualche anno dal matrimonio con Agrippa, Giulia venne accusata di infedeltà per le sue presunte plurime relazioni adulterine e di tradimento per presunto complotto contro il suo stesso padre. In un primo tempo Augusto fu tentato dal condannarla a morte, ma scelse poi di inviarla in esilio nell’isola di Pandateria (odierna Ventotene), dove la seguì la madre Scribonia. La decisione non fu facile; per tutta la vita Augusto fu diviso tra rimorso e rancore.

Già Augusto aveva decretato che la figlia non potesse mai fare ritorno a Roma e che le sue ceneri non sarebbero state inumate nel mausoleo di famiglia, come la tradizione avrebbe invece prescritto.

Lo storico Svetonio così raccontò la vicenda: “Quando si trattò della figlia, informò il Senato in sua assenza attraverso la comunicazione di un questore, poi si astenne dal contatto con la gente per la vergogna e pensò perfino di farla uccidere”. Le condizioni di vita cui Giulia fu sottoposta durante l’esilio furono durissime (nell’isola non furono ammessi uomini né alcuna forma di lusso). Lo stesso Augusto era diviso tra il sentimento paterno verso la sua primogenita e la severità verso la condotta della donna, amareggiato al punto da dire: “Vorrei essere senza moglie, o essere morto senza figli” (Svetonio, Augustus, 65.). Dopo cinque anni di vita su quell’isola, l’esilio venne tramutato nell’obbligo di dimora nella città di Reggio, all’epoca importante e florida città, sede, tra l’altro, del Governatore della Regio III Lucania et Bruttii. Era inoltre il capolinea della Via Capua-Rhegium che la collegava a Capua in Campania e attraversava tutto il versante tirrenico meridionale della penisola.

A Reggio fu ospitata nella Torre di Giulia, una costruzione sita nei pressi della spiaggia, della superficie di dieci metri quadrati, forse appositamente costruita come sua abitazione, ove visse sino al 14 d.C., lo stesso anno della morte del padre. Quando Tiberio divenne imperatore, nel 14 d.C., tolse a Giulia le sue rendite, ordinando che fosse confinata in una sola stanza e che le venisse tolta ogni compagnia umana: Giulia morì poco dopo di stenti e di fame. Secondo altra versione sarebbe stata uccisa da un sicario inviato da Tiberio, primo atto compiuto appena divenuto imperatore. Sempre secondo questa versione, Agrippina, figlia di Giulia, aveva a sua volta inviato una nave di pirati per tentare di rapirla e metterla in salvo, ma il sicario era già arrivato. Una tomba senza nome; la damnatio memoriae doveva seguirla anche dopo la morte.

La Torre di Giulia venne gravemente danneggiata nel terremoto che distrusse la città di Reggio Calabria nel 1783 e in seguito venne demolita del tutto. Nel luogo in cui sorgeva vi è oggi, a ricordo della illustre ospite, una via Giulia, alla quale si aggiunge adesso il prezioso mausoleo, che la lega indissolubilmente alla città.

Il ritrovamento del mausoleo arricchisce la città di un’opera che diverrà sicuramente un’attrazione turistica, insieme ai più famosi bronzi di Riace, esposti nel Museo archeologico nazionale della città.