L’uomo, a differenza degli altri animali, non ha mai potuto contare su un habitat naturale a lui congeniale, in cui sentirsi perfettamente integrato.

La lotta per la sopravvivenza, fatta di sforzi e fatica, è iniziata subito, attraverso una mediazione costante con l’ambiente. Lo spazio è sempre stato costantemente organizzato, modificato o costruito, per creare una dimora sicura, un luogo di appartenenza, capace di garantire nutrimento e rifugio.

Questo svantaggio iniziale è la conseguenza di una “privazione” che riguarda una serie di primitivismi organici e una carenza di istinti specializzati; in altre parole, ogni esemplare umano al momento della sua nascita manifesta i segni di una marcata immaturità biologica.

Gli effetti di questo strano fenomeno evolutivo, chiamato “neotenia”, consistono nella conservazione durante lo stadio adulto di caratteristiche fisiologiche e morfologiche tipiche del periodo fetale. Non a caso il cucciolo dell’uomo manifesta un’infanzia prolungata, caratterizzata da un costante bisogno di accudimento che porta a una vera e propria dipendenza dai genitori.

Oltre alla pelle morbida, priva di pelo, al pollice più lungo, alle curvature della colonna vertebrale, alla debolezza dell’apparato muscolare e scheletrico, allo sviluppo rallentato dei denti, al cranio ortognato (la scatola cranica dell’uomo adulto è simile a quella fetale dello scimpanzé), i caratteri neotenici più evidenti al momento del parto sono la mancata saldatura della scatola cranica e un cervello strutturalmente incompleto.

Non è un caso che le scimmie antropomorfe completino lo sviluppo del loro cervello entro i primi sei mesi di vita (al momento della nascita il loro potenziale cerebrale è di circa il 70%), mentre nell’uomo le aree deputate al controllo e alla modulazione dei comportamenti, maturano intorno ai vent’anni.

Del resto, per milioni di anni lo scheletro dei nostri progenitori è stato programmato per camminare a quattro zampe e sostenere un cranio proporzionale alle dimensioni del corpo. In seguito, l’acquisizione della postura eretta ha reso le mani libere, utili per raccogliere il cibo e usare gli strumenti, ma allo stesso tempo ha comportato la riduzione del bacino, provocando nelle donne il ristringimento del canale del parto.

Quest’ultimo aspetto ha aperto degli scenari inaspettati: da un lato ha rappresentato un limite, consentendo la nascita di bambini con teste più piccole, relativamente morbide, ma con un cervello incompleto, dall’altra, proprio questa mancanza ha predisposto i neonati a una maggiore plasticità cerebrale e capacità di apprendimento.

La selezione naturale ha fatto il resto: le donne che partorivano in anticipo avevano maggiori possibilità di sopravvivere e riuscivano a mettere al mondo più figli.

Il segreto del successo della specie umana è in questa particolare impronta neotenica che predispone al cambiamento e a una maggiore capacità di adattamento all’ambiente in maniera creativa e funzionale.

La conquista di un posto nel mondo ha significato assicurarsi una memoria storica e la certezza di un futuro. Le tappe fondamentali di questo processo ontologico sono state la consapevolezza della morte e la pratica della sepoltura dei defunti; tutto ciò ha contribuito a rafforzare l’idea che il tempo possa essere vissuto come una dimensione lineare e misurabile.

Dopo una lunga storia evolutiva, i nostri antenati, attraverso il linguaggio, l’apprendimento sociale e la creazione di manufatti, sono stati capaci di avviare una rivoluzione sociale e cognitiva senza precedenti, con un risultato sorprendente: la popolazione umana ha raggiunto i sette miliardi di individui.

Oggi, purtroppo, l’umanità trova conforto nell’illusione di soddisfare la sua insaziabile brama di dominio, controllando e sfruttando la Natura.

Siamo gli unici animali capaci di rimodellare l’ambiente, alterando in maniera irreversibile gli equilibri di interi ecosistemi. Siamo riusciti a creare un nuovo mondo in contrapposizione a quello naturale, a plasmare una realtà artificiale, facendo leva sui complessi meccanismi che regolano la produzione e lo sviluppo industriale. Tendiamo a considerare la realtà come un insieme di parti indipendenti l’una dall’altra, isolate dal contesto generale e condizionate da una rigida relazione di causa ed effetto.

Nelle società moderne, un modello di crescita industriale ed economica basato sulla progressiva espansione dei consumi, pone in maniera drammatica la questione “dei limiti dello sviluppo”.

Purtroppo, è solo una questione di tempo, le criticità ambientali legate all’inquinamento e ai cambiamenti climatici raggiungeranno presto un punto di non ritorno.

L’unica soluzione percorribile è cambiare il modo di interpretare il mondo, considerando la realtà come un sistema dinamico complesso, sensibile a un flusso continuo di materia, energia e informazione (in biologia, l’interazione tra funzioni e spazio, tra realtà organiche e strutture ecosistemiche, trova supporto in processi creativi fondamentali come l’autopoiesi e la morfogenesi).

L’ambiente è “malato” e cerca in tutti i modi di richiamare la nostra attenzione: il destino delle generazioni future è irrimediabilmente legato alla sostenibilità ambientale e al nostro senso di responsabilità.