Da Artemisia Gentileschi a Sofonisba Anguissola, da Giovanna Garzoni a Lavinia Fontana. L’arte e le vite di 34 artiste diverse riscoperte attraverso oltre 150 opere saranno protagoniste della mostra1 Le Signore dell’Arte. Storie di donne tra ‘500 e ‘600, allestita nelle sale di Palazzo Reale a Milano. L’esposizione molto attesa per l’interesse delle opere e per la scoperta di artiste sconosciute al grande pubblico si avvale della Fondazione Bracco come main sponsor.

Gioia Mori, romana, storica e docente di Storia dell’Arte all’Accademia di Belle Arti, un’esperienza ricchissima di mostre, direzione di spazi espositivi e attività editoriali e un interesse profondo che spazia dall’arte antica al Novecento, è curatrice con Anna Maria Bava e Alain Tapié di questa rassegna straordinaria. In anteprima per WSI Magazine, racconta quello che si vedrà nelle sale di Palazzo Reale.

Una mostra che incuriosisce e crea molte aspettative ma quali difficoltà ha riscontrato in questo tempo di pandemia?

Per quando riguarda i tempi ci sono voluti circa due anni di preparazione e poi le difficoltà obiettive intervenute con il Covid. Sono nati problemi di ordine organizzativo per ottenere le opere sia a livello nazionale sia dall’estero, cioè dalla Polonia e dalla Francia. A oggi abbiamo chiuso il cerchio perché sono presenti tantissime opere, 150 circa realizzate da 34 artiste.

È una mostra di altri tempi, come la definisco io, perché ci sono 67 prestatori da tutta Italia, dal Nord fino a Palermo e Catania e anche dall’estero. E anche da un punto di vista scientifico sono stati chiamati, per redigere le schede, tutti i più grandi studiosi di ogni singola artista. Un grande sforzo sia per il catalogo e sia per la mostra.

Protagoniste pittrici di grandissima fama ma non solo. La rassegna infatti punta su opere inedite come, per esempio, la Pala della Madonna dell’Itria di Sofonisba Anguissola, realizzata in Sicilia a Paternò nel 1578 e mai uscita prima d’ora dall’isola.

Lo considero un successo personale perché mi sono catapultata fino a Paternò nel 2019 per mettere in piedi tutti gli accordi per poterla avere, dato che non è mai uscita dalla Sicilia dal 1578. È una scoperta fatta da uno studioso siciliano qualche anno fa e sottoposta al restauro, per l’occasione, al Museo civico di Cremona. La pala è stata trasportata da Paternò a Palermo via terra e poi imbarcata sulla nave e scesa a Civitavecchia, da dove finalmente ha raggiunto Cremona. Un lungo viaggio piuttosto complicato ma oggi diventa una bellissima e unica opportunità per vedere a Milano l’opera dell’Anguissola che in seguitò tornerà in Sicilia.

Poi ci sono anche altre opere esposte per la prima volta come, per esempio, la tela Matrimonio mistico di Santa Caterina della fiorentina Lucrezia Quistelli del 1576 dalla parrocchiale di Silvano Pietra presso Pavia o la pala di Rosalia Novelli che non si è mai spostata da Palermo ed è la Madonna Immacolata e san Francesco Borgia, unica opera certa dell’artista. E poi la rivelazione di una pittrice, la nobile romana Claudia del Bufalo di cui abbiamo un dipinto firmato e datato, che è un ritratto di sua sorella.

Un’esposizione quindi che porta in luce nuovi capolavori e pittrici sconosciute.

È il punto di partenza anche per nuovi studi, per cercare di ricostruire un corpus per alcune di loro.

Ma quanti di questi 34 talenti al femminile erano noti nella loro epoca?

Giorgio Vasari nella prima edizione di Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti dedica una sola vita a una donna ed è la bolognese Properzia de’ Rossi, che abbiamo in mostra. Nella seconda edizione del 1568 ne nomina altre ma sono poche. Si contano sulle dita di una mano: Sofonisba Anguissola e le sue sorelle, Lucrezia Quistelli, Plautilla Nelli e Irene di Spilimbergo, un’artista senza opere perché in realtà abbiamo il nome e non le opere e poi Vasari nomina delle miniaturiste fiamminghe. Certo se parliamo di Artemisia Gentileschi era notissima già alla sua epoca anche, se vogliamo precisare, in modo scandaloso.

Come è stata concepita questa esposizione?

Ho organizzato il percorso seguendo un po’ la griglia che viene disegnata da Vasari ed è quello il punto di partenza; basandomi sulle sue parole scritte in cui sostiene che Il talento naturale è importante ma non è sufficiente, richiede lo studio, deve essere rafforzato ed è fondamentale quindi lo studio delle arti.

Ma come riuscivano le donne all’epoca ad accedere allo studio delle arti?

Il problema è che all’epoca lo studio delle arti era impedito se non in casi eccezionali. E quali erano allora le eccezioni? Le donne che nascevano in una famiglia altolocata o nobile perché la pittura faceva parte di quel percorso formativo in cui insegnavano la danza, la musica, il canto, l’arte di conversare, le lettere antiche e la pittura. L’altro posto in cui potevano in qualche modo e soprattutto per quanto riguarda la miniatura, era il convento dove esiste tutta la tradizione delle monache pittrici che è in parte una produzione di tipo devozionale ma dove poi emergono anche delle vere e proprie artiste come la fiorentina Plautilla Nelli oppure a Mantova, Lucrina Fetti che è quasi una pittrice della corte Gonzaga o ancora Orsola Maddalena Caccia che opera a Moncalvo in Piemonte. Le altre donne che avevano la possibilità di imparare erano le figlie degli artisti perché crescevano in bottega ma non le potevano frequentare. Le fonti dell’epoca narrano che la stessa figlia del Tintoretto stava a bottega ma si vestiva da maschio.

Fondazione Bracco per questa esposizione, e come di consueto, ha dato il via a un progetto scientifico valorizzando un’opera in mostra attraverso la ricerca tecnologica di cui la Fondazione è leader nel mondo. E l’imaging diagnostico riguarda una tempera su pergamena di proprietà dei Musei Reali di Torino, il Ritratto di Carlo Emanuele I Duca di Savoia di Giovanna Garzoni, pittrice miniaturista ascolana del ‘600.

1 L’inaugurazione prevista per il 5 febbraio, è stata rimandata a causa della pandemia.