Si chiama Elvira Brattico la studiosa italiana, nata a Bari nel 1971, che si è fatta promotrice in Danimarca di un progetto di indagine sugli effetti della musica sul cervello. Ha un interessante curriculum: poco dopo il diploma in pianoforte e la laurea in Filosofia, si è trasferita dalla Puglia a Helsinki, presso la Cognitive Brain Research Unit dell'università finlandese. In Finlandia ha svolto il dottorato di ricerca in Psicologia (specializzazione in Neuroscienze cognitive e Metodologia della ricerca neuroscientifica). Dal 2015 con la famiglia (marito linguista finlandese e tre figli adolescenti) si è spostata in Danimarca ad Aarhus, per co-dirigere il Center of Music in the Brain (MIB), centro internazionale d'eccellenza per lo studio delle relazioni tra musica e cervello. Docente di neuroscienze, musica ed estetica nel dipartimento di Medicina clinica dell'Università di Aarhus, è anche dirigente e "principal investigator" della didattica del MIB. La politica del ritorno dei cervelli ce l'ha in parte “restituita”, dato che consente agli studiosi italiani presenti nelle università estere di rientrare nel proprio Paese conservando la doppia affiliazione scientifica. Da settembre è all'università di Bari ordinario di Psicologia generale al dipartimento di Scienze della formazione e psicologia.

L'argomento musica-cervello non è originale, ma lo è la metodica con cui viene portato avanti. Il fatto è che, oltre ad un ovvio interesse di ricerca, la Brattico è una musicista, per cui le domande cui cerca risposta tengono conto, molto spesso, della persona nel suo insieme, non restringendo quindi il problema al solo cervello.

L'equivoco che si possa considerare scienza solo ciò che è suffragato da immagini e numeri inconfutabili viene qui superato perché la ricercatrice entra in un campo, a lei ben noto, dove l'imponderabile è uno degli elementi che rendono bella un'esecuzione, benché non sia la sola eseguita senza errori. È legato all'affettività con cui l'esecutore più bravo esegue la musica (o la improvvisa), variabile che non appare nelle neuroimmagini. Limitarsi alla sola fisiologia escluderebbe importanti effetti.

Chiunque ami la musica sa quanto coinvolgimento produce in chi l'ascolta. La ricercatrice ha iniziato una conferenza, cui ho assistito tempo fa, proiettando un video di bambini piccolissimi che si muovono a tempo di musica, in carrozzina o in braccio al genitore che fossero. Da grandi, benché quasi tutti sentano la spinta ad assecondare col corpo gli stimoli suscitati dall'ascolto, spesso si auto reprimono per opportunità sociale.

L'indagine si è spinta in campi musicali diversi, mai analizzati prima, limitandosi le ricerche precedenti alla musica classica. Gli intervistati sono anche suonatori di jazz e di vari altri stili.

In questa ricerca sono evidenziati i benefici effetti sulla plasticità cerebrale derivanti dall'apprendimento e dalla pratica di uno strumento musicale, sia durante l'infanzia, sia in età adulta. Con la musica, tutto il cervello si attiva. In particolare due sono i tipi di cambiamento legati alle abilità musicali, che si evidenziano con neuroimmagini a buona risoluzione temporale di cui si è dotato questo centro di ricerca. Le risposte ai suoni della musica attivano una gran quantità di neuroni, tutti armonizzati fra loro. “Un fuoco d'artificio” è il commento di Elvira.

Il secondo cambiamento è l'ispessimento della materia grigia. I risultati sono ottenuti da elaborazioni statistiche dell'attività metabolica di musicisti. Anche con i dati sperimentali ottenuti con la risonanza magnetica funzionale si ottengono le immagini dei numerosi luoghi cerebrali attivati dalla musica. Per come è fatto lo strumento, questa seconda indagine registra l'attivazione con un certo ritardo, ma conferma ciò che mostrano le neuroimmagini.

Lo studio trova una correlazione fra musica e lingua parlata. Sono attivate le stesse aree cerebrali e si ha un ispessimento delle aree vocate. Lo studio della musica è accompagnato da miglior vocabolario e maggiore capacità di lettura. Si potrebbe pensare che le lingue tonali sviluppino maggiore capacità musicale. Ancora però gli studi al riguardo sono troppo pochi. Di certo si sa che nelle popolazioni di lingua tonale si trovano molti orecchi assoluti.

Per stabilire se la musica aiuta l'intelligenza esiste in letteratura un esperimento, il cosiddetto “effetto Mozart”: facendo ascoltare ad un gruppo, che rispondeva a dei test, una sonata per due pianoforti di Mozart, e confrontando le risposte con quelle di un gruppo tenuto senza musica, si è visto che nel primo gruppo la capacità di risposta era migliore. Una conferma dell'attivazione del cervello da parte del brano musicale.

Il MIB ha voluto perciò approfondire se c'è un legame fra il Q.I. e lo studio della musica. Per bimbi di sei anni, dopo un anno di apprendimento, il Q.I. si è rivelato più alto. Per gli adulti l'effetto non è visibile, eccetto che per persone con background accademico. Quasi a dire che il cervello adulto, cimentato nell'apprendimento con continuità, è recettivo agli stimoli che provengono dall'istruzione musicale.

“La musica influisce sulla memoria?” si è chiesta la Brattico. Ha registrato nei musicisti meno memoria visiva ma più memoria a corto termine. Questi studi sono approfonditi da un gruppo italiano di Padova, guidato da uno psicologo.

“E sulle abilità motorie cosa si può dire?” Risponde la ricercatrice che lo studio va diviso in due parti distinte: quella che riguarda le parti del corpo impegnate nel suonare lo strumento (dita e bocca) e la coordinazione bimanuale e quella di parti che si muovono per ragioni diverse. Questi ultimi studi sono poco praticati, mentre si è vista una maggiore sensibilità delle dita dei musicisti, corrispondente ad un corpo calloso più ampio rispetto a chi non suona strumenti o non usa le dita per creare musica. Nei violinisti la corteccia cerebrale, che è il nostro motore, nella parte destra del cervello è più sviluppata.

A questo proposito, è interessante notare che, mentre per i non musicisti i due emisferi agiscono asimmetricamente, per i musicisti c'è simmetria di reazione. La nostra interlocutrice continua “Qui al MIB studiamo anche l'emotività, misurando il battito cardiaco, l'attività muscolare e la respirazione. Sono caratteristiche del circuito del piacere, che è collegato al cibo, alle bevande, alla sessualità e, come attività secondarie, alla musica e al denaro. Mi sono chiesta cosa succede a questo circuito, se stimolato a lungo, in continuazione, come si fa studiando un pezzo e poi eseguendolo in pubblico. Si ha come risultato un aumento dell'insula e dei circuiti”. “Ci sono degli svantaggi in questo ipersviluppo?” Risponde la Brattico: “Sì. I circuiti neurali iperattivati abbassano la soglia del dolore, ma un musicista è più resiliente, data forse la disciplina cui si sottopone per apprendere ed eseguire musica”.

Oltre agli effetti neurologici, dal punto di vista comportamentale in chi suona c'è un aumento di autostima e, come detto, di resilienza.

La ricercatrice, a seguito di numerose domande di un pubblico interessatissimo all'argomento trattato, conclude che è desiderosa di insistere su studi che mescolino la parte quantitativa-strumentale, incentrata sulla fisiologia, con quella qualitativa. Come già accennato, infatti, l'interazione fra noi e la musica avviene sempre con tutto il corpo, a cominciare dal fatto che essa passa dalle orecchie. E quindi lo studio del cervello è importante, ma non esaustivo.

Un po' come limitarsi a studiare il pensiero umano solo scomponendolo in parti attribuite a diverse aree cerebrali.

Può andar bene per costruire un robot, non certo per riprodurre il pensiero.