L’emergenza COVID-19 ha portato moltissimi cambiamenti nella vita delle persone in tutto il mondo. In Italia il lockdown ha messo alla prova la tenuta psicofisica. Ed è il sonno, oltre all’umore e all’aumento di peso, ad avere subito le maggiori conseguenze. Il dato è emerso da una ricerca pubblicata sul Journal of Sleep Research da parte del team dell’Università di Padova.

Dall’indagine si è evidenziato che la quarantena obbligata ha causato alti livelli di depressione, ansia e stress. Cambiamenti anche nel ritmo sonno-veglia e difficoltà nel tenere traccia del tempo. La quarantena, terminata nella versione più restrittiva il 4 maggio, ha comportato un grande cambiamento nelle abitudini di vita degli italiani. Il confinamento, se da un lato è stato essenziale per ridurre il numero di contagi, ha avuto un grande impatto (psicologico, economico e sociale) riducendo la qualità della vita delle persone e mettendo a rischio la salute psico-fisica di molti individui.

Nicola Cellini del dipartimento di Psicologia Generale dell’università di Padova - in collaborazione con Giovanna Mioni dello stesso dipartimento, Natale Canale del dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’ateneo patavino e Sebastiano Costa del dipartimento di Psicologia dell’università della Campania - ha analizzato la qualità del sonno in un campione di 1310 persone tra i 18 e 35 ponendo a confronto la settimana 17-23 marzo (la seconda di lockdown completo) e la prima di febbraio (dall’1 al 7, cioè sette giorni in cui non vi era alcun tipo di restrizione sul territorio italiano).

I 1310 partecipanti (880 donne e 430 uomini), che hanno un’età media di 23.91 anni con un delta di ±3.60, sono stati divisi in due sotto-campioni: 809 di studenti universitari (565 donne e 244 uomini con età media di 22.6 anni ±2.53) e 501 lavoratori (315 donne e 186 uomini, età media 26.0±4.06).

Lo studio è stato condotto tra il 24 e il 28 marzo attraverso questionari in cui si chiedeva ai soggetti di descrivere l’orario medio in cui andavano a letto e di quando si svegliavano, la loro difficoltà ad addormentarsi, quanto il loro sonno era percepito come riposante. Inoltre sono state fatte domande sull’uso della tecnologia prima di andare a dormire e sulla loro percezione dello scorrere del tempo (ad esempio: quanto spesso confondi il giorno del mese e/o il giorno della settimana? Quanto spesso pensi che il tempo non stia passando?). L’obiettivo era quello di caratterizzare i cambiamenti di abitudine e la percezione dei propri ritmi durante la quarantena.

Lo studio dal il titolo Changes in sleep pattern, sense of time, and digital media use during COVID-19 lockdown in Italy ha evidenziato come la ridotta attività fisica e la scarsa esposizione alla luce solare, l’assenza di attività sociali, le paure per il contagio e per la situazione economica, il cambiamento di vita familiare abbiano portato a un peggioramento della qualità del sonno, un netto cambiamento nei ritmi sonno-veglia, un incremento nell’uso dei media digitali e a una distorta percezione del tempo che scorre.

“Già dai primi giorni di lockdown risultava evidente dai commenti sui principali social come le persone lamentassero difficoltà legate al sonno e avessero problemi a tenere traccia del tempo che scorreva. In particolare molti si sono rifugiati nell’uso di piattaforme digitali come social media, YouTube e Zoom – ha sottolineato Nicola Cellini. Noi ci siamo chiesti prima di tutto quale fosse lo stato di salute mentale delle persone e se questo aumento di uso degli strumenti digitali, quasi obbligatori in assenza di contatti sociali fisici, potesse influenzare i nostri ritmi e la qualità del sonno. Lo studio – ha proseguito Cellini - ha messo in luce dati allarmanti sulla salute mentale: il 24.2% (24.95% dei lavoratori, 23.73% degli studenti) del nostro campione ha mostrato sintomi da moderati a estremamente severi di depressione, il 32.6% di ansia e uno su due (49.47% dei lavoratori, 51.6% degli studenti) sintomi di stress. Abbiamo inoltre evidenziato un grande cambiamento nel ritmo sonno-veglia: vi è un dato identico sull’orario in cui il campione va a dormire mentre si è registrato che i lavoratori si sono svegliati molto più tardi durante il lockdown - continua Nicola Cellini. Infatti, le persone hanno iniziato ad andare a letto circa 41 minuti dopo il consueto orario e a svegliarsi 54 minuti più tardi rispetto al periodo precedente alle restrizioni (i lavoratori si sono svegliati 1 ora e 13 minuti dopo mentre gli studenti solo 45 minuti). Non solo, nonostante le persone passassero più tempo a letto, la qualità del sonno è peggiorata: in particolare in persone con elevati sintomi di depressione, ansia e stress quelle con problemi del sonno è aumentata dal 40.5% al 52.4% (studenti: da 41.53% a 53.15% - lavoratori: 38.32% a 51.10%). Nonostante le persone utilizzassero maggiormente i media digitali nelle due ore prima di andare a dormire (14.8% in più), a differenza di quanto ipotizzato, questo uso della tecnologia non ha influenzato in maniera significativa il peggioramento della qualità del sonno, ma solo il tempo impiegato ad addormentarsi, e l’orario di letto e risveglio”.

Ma non è stato solo il sonno ad essere messo sotto la lente d’ingrandimento. “Questo dato - dice ancora Cellini - va interpretato nel contesto delle restrizioni nel quale, secondo noi, l’impatto della tecnologia sul sonno è stato secondario rispetto agli aspetti più psicologici legati a stress, ansia e fisiologici, come la riduzione di esposizione alla luce solare e delle attività fisiche. Paradossalmente in questa situazione di emergenza il supporto sociale fornito da questi media, generalmente nemici storici del sonno, può aver ridotto l’impatto psicofisiologico delle restrizioni perché social e media digitali tecnologici hanno mitigato gli effetti psicologici negativi. Per esemplificare, le chiamate Skype a fidanzati/e, amici, compagni/e prima di andare a letto hanno ridotto le distanze sociali e i commenti su WhatsApp, Facebook o Instagram possono aver alleggerito il clima di quarantena. Durante la quarantena - sottolinea Nicola Cellini - le persone hanno mostrato difficoltà nel tenere traccia del tempo (almeno 6 volte a settimana, mentre prima del confinamento la media era di 3 volte) confondendo spesso il giorno della settimana, del mese, o l’ora del giorno. Infine dalle risposte date dal campione è emerso la comune sensazione che il tempo fosse dilatato e non scorresse mai”.

Questi dati sono i primi di una serie di studi - il prossimo in uscita, in collaborazione con il dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socializzazione dell’ateneo patavino, sarà sulle mamme e sui figli nello stesso periodo – che mostrano come il lockdown, sin dalle prime settimane, ha portato a grandi cambiamenti psico-fisio-sociali di cui si è parlato forse poco.

“Considerando che le alterazioni del sonno - conclude Nicola Cellini - sono tra i principali fattori predittivi di depressione, ansia e stress, ma anche di problematiche cardiovascolari, gli interventi preventivi come raccomandazioni su una corretta igiene del sonno e trattamenti tempestivi come terapie brevi di tipo cognitivo-comportamentali specifiche per l’insonnia, gestibili anche online, possono essere di grande impatto sul benessere a lungo termine della persona. La speranza di tutti è che lockdown non si ripeta, ma in questa eventualità i nostri risultati, insieme ad altri di diversi gruppi di ricerca che verranno pubblicati nelle prossime settimane, potranno servire a pianificare interventi di prevenzione e trattamento ad hoc per migliorare la qualità di vita e il benessere delle persone”.