In realtà, nessuno si definisce panamericano, a meno che non sia una strada.

(Miguel Rojas Mix)

1952

Intontito, sul sedile posteriore della Chevrolet marrone del 1942 di mio padre, i 75 km di curve verso la futura autostrada Panamericana li percorrevo con la mia famiglia quasi ogni domenica d'inverno (invece di andare a messa) per vedere come "passava" attraverso la nostra regione.

Il cantiere fermo durante il fine settimana mostrava solo lo scenario statico di un'opera immensa, mai vista prima: montagne di terra rimosse, camion e scavatori inerti e senza nulla che indicasse che i lavori sarebbero finiti un giorno.

Per rifarci, con mio fratello rincorrevamo aironi irraggiungibili che si depositavano nelle pozzanghere lasciate dalla pioggia sulla terra rossa, che un giorno il cemento avrebbe coperto.

Non ho mai saputo il motivo di quel pellegrinaggio settimanale, ma sospetto che mio padre, che non aveva alcuna relazione con il cantiere, credesse semplicemente nel progresso. Nella modernità. Era la sua religione. Credo.

E io... ho studiato architettura.

Oggi, più di cinquanta anni dopo…

Sulla mia scrivania, un'illustrazione in cui la coda di un'enorme balena bianca occupa quasi l'intero disegno. Sullo sfondo, la nave Pequod appare insignificante. Tuttavia, nonostante la sua irrilevanza grafica, da quella imbarcazione il capitano Achab urla a pieni polmoni: "Ma tu, Moby Dick, morirai sotto i miei colpi, ti raggiungerò fino all'inferno!"

Accanto ad essa, una vecchia fotografia aerea del Bronx, con il tracciato dell'autostrada Cross-Bronx costruita da Robert Moses, uno dei più importanti costruttori nordamericani di segni urbani del XX secolo. Moses era solito dire: “Sto per ottenere il permesso di costruire. Cercate di fermarmi se siete capaci”.

L’improbabile proposta di Piranesi per il centro storico di Roma, appesa a una parete del mio studio, rappresenta probabilmente il progetto di trasformazione urbana che ha segnato l'inizio della proposta moderna.

L'iconografia che mi circonda non è casuale.

Documenta quella dimensione "eroica" con cui la modernità ha voluto presentarsi sulla scena. E non è che la modernità consistesse solo in quello sguardo, ma la verità è che buona parte dei suoi interpreti la considerasse così.

Da un lato, Achab, confidando ciecamente nella tecnologia e nella potenza della sua barca, sfida una forza della natura che supera oggettivamente la sua. Moses credeva fermamente nelle potenzialità della Modernità come un progetto di modificazione totale, quindi non si poneva il problema di distruggere un vecchio quartiere di New York. Costruire enormi ponti e autostrade costituiva il manifesto del suo pensiero.

E Piranesi, nel suo progetto ideale per Roma, fa tabula rasa della città esistente, annulla la storia e riduce la città a un mero "supporto" sul quale collocare i suoi progetti, sebbene garantisse il diritto alla sopravvivenza di alcuni importanti edifici di epoca romana. Il Pantheon, per esempio.

Tre esempi in cui non ci sono livelli di mediazione. Tra il nuovo e il vecchio, tra la forza e la proposta dell'uomo moderno e il lavoro svolto da altri uomini in precedenza o dalla natura. O tutto o niente!

Da questa visione stereotipata della modernità, la Pan American Highway - la più lunga del mondo - appare come un'opera immaginabile solo da una mentalità che vede il rapporto tra progetto e territorio in una dimensione fondamentalmente "eroica" e arrogante. Il vasto continente americano è stato un magnifico supporto, grazie alla sua "disponibilità" geografica e politica per ospitare un progetto di tale portata e respiro.

L'idea della modernità come modificazione, un pensiero che ha costituito la materia prima del progetto della “Carretera”. Un grande progetto di discontinuità rispetto al preesistente.

La Carretera Panamericana: spazio e luogo

Dallo spazio sacro precolombiano alla "natura aggredita" della fine del XX secolo, passando attraverso lo "spazio incantato", vasto, esuberante, senza scala conosciuta che i primi europei vedono e narrano quando arrivano in America; allo spazio come "vuoto" - la giungla e il deserto - che le élite al potere della seconda metà del XIX secolo videro come nemico e causa fondamentale dell'arretratezza strutturale latinoamericana, la percezione dello spazio americano si è andato via via modificando. È stato interpretato e reinterpretato in modo diverso in breve tempo e, in modo discontinuo, reinventandosi, negandosi, il suolo è stato via via occupato.

In questo spazio, la Carretera Panamericana può essere interpretata come il prodotto di un patto tra poteri e forze invisibili, come una Modernità imposta dall'alto, arrogante e indifferente ai territori con cui è stata in contatto, dove è stato possibile solo intuire alcuni benefici, ma mai il prezzo effettivo da pagare.

Una visione che Wolfgang Sachs chiamerebbe "spazio-centrica" del mondo in cui prevale la nozione omologatrice di spazio, appoggiata dalla Scienza, dallo Stato e dal Mercato, al contrario di quella di "luogo" che sarebbe l'espressione di una grande varietà di comunità con le loro lingue, i loro costumi e le loro cosmologie.

In questa ottica, il mondo è su un unico livello, che si estende come un piano bidimensionale, in cui ogni punto è uguale a tutti gli altri; ciò che li distingue è solo la loro posizione geometrica. L'esempio più puro della concezione spazio-centrica è ovviamente quello della cartografia: nelle carte geografiche, il mondo è piatto e i luoghi sono definiti dalla loro posizione nella rete delle linee di longitudini e latitudini.1

I "grandi progetti" della Modernità in America hanno avuto un impatto enorme sui territori che li ospitano. È vero che hanno generato esistenza, ma sono anche arrivati a sopraffarli o farli sparire definitivamente: le enormi dighe idroelettriche che hanno seppellito vaste aree e hanno demolito intere popolazioni; le grandi deforestazioni in Amazzonia o quelle autostrade che attraversando le città, hanno distrutto interi quartieri. La Panamericana corrisponde effettivamente a un progetto "spazio-centrico" nella sua concezione; ma nella sua realizzazione, nella sua progettazione e nel modo di relazionarsi con i territori non è stato solo questo. “Contaminata” dai luoghi, non solo descrive se stessa. Ha anche narrato questi luoghi.

Non è "indipendente" dai territori che percorre, né costituisce la patria dei "non luoghi" come li ha definiti Marc Augé:

Le autostrade in Francia sono state ben progettate e mostrano paesaggi, a volte quasi aerei, molto diversi da quelli che possono essere percepiti dal viaggiatore che percorre le strade statali o provinciali. (...) Le città non sono più attraversate, ma i punti importanti sono contrassegnati da cartelloni che contengono veri e propri commenti. Il viaggiatore è in qualche modo scusato per non fermarsi e neppure di guardare. (...) Il paesaggio prende le sue distanze e i suoi dettagli architettonici o naturali costituiscono l'occasione per un testo, a volte arricchito da un disegno schematico quando il viaggiatore di passaggio non può visitare l'importante punto portato alla sua attenzione ed è condannato a godere per il solo fatto di saperlo vicino.2

Concepita per unire le capitali del continente - un collegamento ideale tra le rovine delle culture Maya e Inca? - l'autostrada è stata progettata utilizzando strade preesistenti. Con il suo tracciato "contaminato" sin dall'inizio, il suo utilizzo le ha fornito un grado di contaminazione ancora maggiore. In concomitanza con un calendario di festività religiose, costituisce un asse di pellegrinaggio per una rete di santuari distribuiti su tutto il territorio. Una rete che reinterpreta l'occupazione e l'uso dei percorsi cerimoniali di alcune culture preispaniche in chiave contemporanea:

Uno spazio sacro con un'atmosfera festosa e celebrativa, dove il pellegrino cammina immerso in una folla che si appropria del percorso (...) dando protagonismo al camminare e non al passaggio dei veicoli.3

Oltre a "collegare tutte le vergini dei vari Paesi e culture generando una geografia spirituale4, in Cile l'autostrada concentra sui suoi bordi il maggior numero di "animitas" dell'intero sistema viario del Paese, un "bordo sacro" che la cultura popolare ha materializzato attraverso piccole costruzioni che segnano il luogo di una morte tragica.

Unire per progredire?

La Panamericana nasce da un progetto fallito di una rete ferroviaria del 1880 presentato al Parlamento degli Stati Uniti per unire tutte le Americhe. Progetto che fu sostituito nel 1923 con quello di un'autostrada, in coincidenza con l'inizio dello sviluppo dell'industria automobilistica in quel Paese.

Ma è anche un progetto che fa parte dell'idea panamericanista che gli Stati Uniti hanno iniziato a sviluppare a partire dalla dichiarazione di Monroe del 1823, che ipotizzava l'intero continente americano unito sotto la sua egemonia "per difendersi dal colonialismo europeo". Un'idea, quella del panamericanismo, che rivela presto l'altra sua faccia: in effetti, il Morning News di New York scrive nel dicembre 1845: “Il nostro destino è espanderci e possedere l'intero continente che la Provvidenza ci ha dato".

Un panamericanismo che nel XX secolo si è visto rafforzato dalle due guerre mondiali che mettevano in pericolo lo scambio commerciale degli Stati Uniti con un'Europa permanentemente in guerra. È emerso quindi un nuovo sguardo sull’America Latina per reperire materie prime e attivare il proprio mercato.

Sulla base di questo nuovo progetto, le strade locali preesistenti diventano parte di una rete internazionale che attualmente tocca tutti i Paesi dell'America continentale. Dalle prime strade sterrate, alle odierne autostrade a più corsie, la sua costruzione è stata un lungo processo non ancora completato, in gran parte finanziato attraverso consistenti contributi economici degli Stati Uniti (soprattutto quando è stato scoperto il potenziale strategico di questa rete, dopo l'attacco a Pearl Harbour).

Constatiamo il suo uso come luogo di transito, ma anche come luogo di aggregazione e concentrazione di altre attività umane, così come la sua immagine nel paesaggio è cambiata nel tempo: strada, strada urbana, autostrada, ma anche luogo. Un'immagine indissolubilmente legata ai territori che percorre.

Come in una doppia funzione, la Carretera ha anche reso visibile il territorio americano. Una parte importante della retorica della Panamericana consisteva proprio nel promuovere lo sviluppo turistico del continente, sebbene questa idea fosse implicitamente concepita "a senso unico", cioè il turismo nordamericano verso i Paesi dell'America Centrale e il Sudamerica, fondamentalmente in Messico. In realtà, il parco automobilistico degli altri Paesi americani era piuttosto ridotto, e concentrato principalmente nella realtà urbana; le strade rurali hanno continuato per molti anni a essere trafficate da veicoli trainati da animali, non adatti al turismo.

In una pubblicazione del 1942 realizzata a Washington DC per The Pan American Union l'iconografia dell’autostrada Panamericana la mostra zigzagare sotto enormi palme tra Quito e Guayaquil, attraversando aree semi desertiche in Messico, passando tra capanne di paglia e asini carichi di legna; una strada tortuosa tra i boschi nelle montagne dell'Honduras o la vista di un traghetto che garantisce la continuità ideale dell'autostrada interrotta da un lago nel Sud del Cile, sulla via dell'Argentina.

L'autostrada più lunga del mondo percorre 55.000 km dall'Alaska alla Patagonia, attraversa il continente che confina con i due poli, bagnato da due grandi oceani: uno dell'alba e l'altro del tramonto.

La retorica “panamericanista” la promoveva così:

Buone strade fanno buoni vicini (...) ma soprattutto, le buone strade rendono possibili la crescita e lo sviluppo essenziali per aumentare gli standard di vita e la prosperità.

Per la storia, non è andata esattamente così: le strade hanno unito gli uomini, ma sono state anche un notevole strumento di dominio (non solo culturale) e, dietro gli anelati "progresso e prosperità", sono stati anche veicolo del peggiore sfruttamento. Un percorso può essere l'espressione di un valore, ma anche il suo esatto contrario.

Dalla “Carretera” come progetto alla Panamericana abitata

Il tempo può dotare un'opera di significati, così come può privarla di essi, fino a permettere che essa scompaia. Un'opera come la Panamericana aveva un carico simbolico e paradigmatico all'interno di un sistema di segni che è andato modificandosi nel tempo.

Indipendentemente da quella dimensione eroica che aveva quando fu concepita, ma anche per lo stesso motivo, l'esistenza della Panamericana ha significato un vero cambiamento nei luoghi, nei territori e nelle culture che sono entrati in contatto con essa.

Oggi il rapporto tra Modernità e Territorio si pone in altri termini. Il problema tecnico che solleva nell'area di Darien a Panama per stabilire la continuità dell'autostrada con la Colombia è di più facile soluzione che la decisione politica di risolverlo: da un lato significherebbe la scomparsa di vari gruppi etnici e di un ambiente naturale unico al mondo - una visione che durante l'intero "paradigma del progresso a tutti i costi" che è durato fino agli anni '60 del secolo scorso era impensabile e che oggi non è più condivisibile - e d'altra parte, implicherebbe la chiusura di quella "porta oscura" che esiste tra Panama e Colombia, un luogo incontrollato a cui il potente mercato delle droghe e delle armi non è disposto a rinunciare.

Ma la Panamericana è solo una striscia di terra o cemento? Gli abitanti hanno voluto riaffermarne l’intenzione originale, chiamandola ancora così. Un modo che ne riconosce una serie di valenze politiche e culturali. Chiamarla "Panamericana" significa accettare la sua storia e ciò che ha rappresentato nel tempo. Significa dargli una valenza culturale e non solo quella funzionale che assumerebbe se il suo nome corrispondesse a una sigla o un numero. Ruta 5, ad esempio. Sarebbe come privarla della propria impresa.

Una sigla è solo una striscia di cemento rispetto alla Panamericana: solo cultura ufficiale. Il suo nome la colloca in un territorio preciso: l'America. La Panamericana, facendo riferimento a un intero continente è diventata un patrimonio dell'America, perché nell'atto di percorrerlo, lo racconta. Come la Transamazzonica o lo smantellato treno Transandino tra Cile e Argentina.

La Panamericana ha cambiato luoghi e territori, ma sono questi che, connotandola come tale, la mantengono viva, come la Route 66 "from Chicago to L.A.", per esempio.

Un progetto moderno che si va costruendo in modo diverso in ogni parte del pianeta, proprio per la sua capacità di incorporare diverse realtà locali. Capace di deformarsi, di adattarsi, di lasciarsi contaminare, attribuendo loro un ruolo principale e non sussidiario nella costruzione della Modernità. Le Corbusier nel 1929 scrisse:

L'architettura è il risultato dello spirito di un'epoca. Assistiamo a un evento del pensiero contemporaneo; evento internazionale (...) le tecniche, i problemi che pone, come i mezzi scientifici per la sua realizzazione, sono universali. Tuttavia, le regioni non si confonderanno, perché le condizioni climatiche, geografiche, topografiche, le correnti delle razze e le mille cose ancora radicate, guideranno sempre la soluzione verso forme condizionate.

Anche Alvar Aalto, nel suo lavoro post-1929, proponeva un modernismo regionale fondato su condizioni locali reali. Queste posizioni, più o meno rappresentative dell'avanguardia post-anni '30, indicano la ricerca di un modernismo determinato simultaneamente dalla tecnologia e dai perenni valori architettonici inscritti nei materiali e nelle culture locali.

Solo una certa visione conservatrice ha insistito nel presentare la Modernità come un puro manifesto di se stessa, schiacciante, tabula rasa, estraendone ogni "ambiguità" nel suo rapporto con le culture locali. La Modernità avrebbe una "culla" - l’Europa - e il resto consisterebbe in brutte copie o realizzazioni imperfette di un'idea originale, creando così il terreno ideale per scavare negli archivi del "proprio", "dell’incontaminato", un substrato per anteporre o aggettivare il progetto di Modernità.

Achab non riuscì mai a dare la caccia a Moby Dick e morì nel tentativo; Piranesi costruì un solo progetto nella sua vita e Moses viene ricordato come il distruttore del Bronx.

Nessuno di loro ha raggiunto i propri obiettivi, forse perché quella “pulsione” di modernità, incapace di assumere le complessità e le richieste che il mondo pone, non prevedeva alcun tipo di dialogo - possiamo dirlo oggi - con la natura, con i luoghi o con i suoi abitanti. Neanche il progetto panamericano promosso dagli Stati Uniti è riuscito a realizzarsi nel continente, tra le altre cose, perché ha reso visibile solo la disparità di interessi tra un'America anglosassone e un'altra America, latina. Una modernità "ideale" che ha funzionato in una sola direzione e della quale oggi si sono fatte carico le compagnie transnazionali della modernizzazione.

La Carretera Panamericana, un progetto della Modernità Americana, si materializza a partire da un forte senso di "appartenenza" alla cultura dei luoghi. Vogliamo credere che la Modernità Americana non sia uno specchio rotto che fornisce solo un riflesso imperfetto di immagini generate altrove: un progetto di pura “modificazione”, decontestualizzata e arrogante.

Le culture dei luoghi dispongono di un potenziale di "modificazione" a cui è essenziale appoggiarsi per immaginare e costruire un progetto di più ampio respiro, un pensiero il cui tema fondante è proprio la Modernità.

L’Autostrada Panamericana "luogo" di pensiero è rimasta incollata alla mia vita. Insieme agli studenti di Architettura dell'Università ARCIS di Santiago del Cile, abbiamo deciso di "percorrerla" e di accogliere il suo insegnamento.

Versione riveduta di un articolo pubblicato su Suelo Americano 2. Rivista della Scuola di Architettura dell'Università ARCIS. Cile.

Note
1 Sachs, Wolfgang, "Declino dell'Universalismo" in Dissenso sul Mondo. Ramos Regidor, José e Binel, Alessandra. Terra Nuova. Roma Ottobre 1992.
2 Augé, Marc, Non luoghi. Introduzione a un'antropologia della “surmodernità”. Editrice A coop. Sezione Elèuthera. Milano 1996.
3 Miranda, Andrea; Sánchez Natalia, Relazione della Panamericana: culturale – religioso. Ricerca corso "Suolo Americano", Scuola di Arquitectura U. ARCIS, Santiago 1998.
4 Ibidem.

Bibliografia
Rojas Mix, Miguel, I Cento nomi di America. Editoriali Lumen, Barcelona 1992.
Cate Coblenz, Catherine, The Panamerican Highway. Ed. The Pan American Union. Washington D.C. 1942.