Nel cuore della riflessione contemporanea sull’architettura e sull’urbanistica emerge con forza il concetto di biofilia, termine che deriva dal greco antico e che significa letteralmente “amore per la vita”. Questa idea, introdotta dallo psicoanalista Erich Fromm negli anni Sessanta e successivamente sviluppata dal biologo Edward O. Wilson nel volume Biophilia (1984), si fonda sull’assunto che l’essere umano abbia una propensione innata a cercare connessione con la natura e le forme di vita. Wilson definisce la biofilia come “la tendenza innata a concentrare la nostra attenzione sulle forme di vita e su tutto ciò che le ricorda, e, in alcune circostanze, ad affiliarvisi emotivamente” (Wilson, 1984). In tempi di crescente urbanizzazione, questa inclinazione si configura non solo come un dato biologico, ma come una necessità progettuale.
Riprendendo una mia riflessione precedente sul biomimetismo in architettura — ovvero sull’imitazione delle strategie adattive della natura nei materiali, nelle strutture e nei sistemi costruttivi — la biofilia rappresenta un’evoluzione concettuale: non si tratta più soltanto di emulare la natura, ma di instaurare con essa un legame emotivo, profondo e quotidiano. L’architettura biofilica, in questa prospettiva, non si limita a “portare dentro” elementi naturali come la vegetazione, la luce o l’acqua, ma riformula l’esperienza dell’abitare come dimensione sensoriale e psicologica, radicata nella biologia della vita.
Stephen Kellert, professore alla Yale University, ha contribuito in modo decisivo alla definizione del design biofilico. Per Kellert, l’integrazione di elementi naturali nell’ambiente costruito ha un impatto diretto sul benessere umano: migliora l’umore, la produttività, riduce lo stress e favorisce la salute mentale (Kellert, 2005). Tra le strategie che rientrano in questo approccio figurano l’utilizzo di materiali naturali, l’illuminazione naturale, la ventilazione crossata, le forme organiche e l’accesso diretto a spazi verdi. Tali principi sono oggi alla base di molte pratiche avanzate di architettura sostenibile, come testimoniano numerosi edifici certificati secondo standard LEED o BREEAM, dove la qualità ecologica è anche qualità della vita.
Oggi la città non può più essere pensata come l’opposto della natura ma come il suo possibile prolungamento. Lo spazio urbano contemporaneo deve accogliere la natura non come elemento decorativo, bensì come infrastruttura viva. A questo proposito, risulta centrale il pensiero di Gilles Clément, paesaggista e teorico francese che ha proposto la nozione di “Terzo Paesaggio” nel suo Manifesto del Terzo Paesaggio (2004). Per Clément, il Terzo Paesaggio è “l’insieme dei luoghi abbandonati dall’uomo, non soggetti a programmazione”, come ruderi, scarpate ferroviarie, zone industriali dismesse, margini agricoli. In questi interstizi, spesso trascurati o considerati “vuoti urbani”, si manifesta una biodiversità spontanea e resistente, che sfugge al controllo dell’urbanistica normativa e suggerisce nuove forme di coesistenza (Clément, 2004).
Tali luoghi, secondo Clément, non sono affatto spazi marginali ma territori del possibile: “riserva genetica del pianeta”, li definisce. La loro forza risiede nella capacità di resistere alla pianificazione e alla monocultura del paesaggio. Sono paesaggi aperti, democratici, dove la natura si rigenera e si riorganizza secondo logiche proprie, opponendosi alla tendenza umana alla standardizzazione e all’ordine. In questo senso, il Terzo Paesaggio non è solo un concetto ecologico ma anche politico: è una forma di resistenza culturale al dominio assoluto dell’antropocentrismo.
L’interesse crescente verso questi temi è confermato da iniziative culturali come il “Festival del Verde e del Paesaggio”, che si tiene ogni anno presso l’Auditorium Parco della Musica a Roma. Il festival esplora i temi della biofilia e della rigenerazione urbana attraverso installazioni, incontri e percorsi immersivi che propongono una nuova visione della città come spazio condiviso tra esseri umani, piante, animali e sistemi ecologici. L’edizione più recente ha dedicato ampio spazio alla riflessione sull’abitare biofilico, mettendo in relazione architettura, ecologia e arte, e presentando esempi concreti di giardini pensili, terrazze vegetali e orti urbani come strumenti di trasformazione sociale e ambientale.
All'interno del Festival, la “Scuola del Verde” rappresenta un progetto formativo dedicato a chi vive in città e desidera creare spazi esterni ecologici, resilienti e ricchi di biodiversità. I corsi offerti spaziano dal giardinaggio ecologico allo slow gardening, insegnando a coltivare con l’aumento delle temperature, a creare spazi esterni resilienti e a prendersi cura del mondo naturale e dei viventi. Tra le attività proposte vi sono workshop di flower design, nature therapy, potatura, giardinaggio in vaso e forest bathing, promuovendo un giardinaggio consapevole e la sperimentazione della biofilia.
Un'altra iniziativa significativa è “Slow Plants”, un progetto di comunicazione e sensibilizzazione sul vivaismo e giardinaggio sostenibile. Slow Plants promuove la coltivazione sostenibile e rispettosa, sensibilizzando agricoltori urbani, coltivatori di balconi e terrazze, e tutti coloro che desiderano un mondo più verde. Il progetto si concretizza in un mercato di piante felici, lezioni di giardinaggio naturale, workshop e consigli pratici, offrendo un'opportunità per avvicinarsi a un giardinaggio etico e responsabile.
È in questo scenario che emerge con urgenza la necessità di “disegnare la natura” insieme agli spazi di vita. Il paesaggio non può più essere pensato come semplice sfondo dell’architettura, ma come suo interlocutore attivo. Le nuove generazioni di progettisti sono chiamate a costruire un’alleanza con il vivente, in cui l’edificio si ibrida con il terreno, con la luce, con il vento, con il ciclo delle stagioni. I materiali non devono solo durare, ma respirare; gli spazi non devono solo funzionare, ma emozionare. La città biofilica non è utopia, ma necessità. La sua costruzione richiede un cambio di paradigma culturale, una transizione etica prima che tecnologica.
Numerosi studi confermano l’impatto positivo di ambienti naturali sull’uomo. L’Università di Exeter, nel Regno Unito, ha condotto ricerche secondo cui la presenza di vegetazione e luce naturale nei luoghi di lavoro incrementa la produttività del 15% (Knight & Haslam, 2010). Allo stesso modo, ospedali dotati di vista su elementi naturali mostrano tempi di guarigione più rapidi e minore uso di analgesici tra i pazienti (Ulrich, 1984). La scienza conferma ciò che la cultura ha sempre saputo: l’uomo ha bisogno della natura, non solo per sopravvivere, ma per vivere pienamente.
Lo studio di Knight e Haslam (2010), pubblicato sul Journal of Experimental Psychology, rappresenta una delle ricerche più significative nel campo della psicologia ambientale e del workplace design. Il loro lavoro analizza l'impatto che differenti strategie di gestione degli spazi di lavoro hanno sul benessere e sulla produttività degli individui, mettendo in discussione il modello “lean”, ovvero minimalista e iperrazionalizzato, a favore di ambienti “enriched” e “empowered”, ovvero arricchiti e personalizzabili. Nel dettaglio, i ricercatori hanno confrontato tre tipi di ambienti:
Lean offices: spazi altamente spogli, essenziali, dove ogni elemento superfluo — comprese piante e decorazioni — è rimosso per massimizzare l'efficienza e ridurre le distrazioni.
Enriched offices: ambienti decorati con elementi naturali e opere d’arte, progettati per essere visivamente e sensorialmente stimolanti.
Empowered offices: ambienti in cui i lavoratori hanno la possibilità di modificare o personalizzare lo spazio secondo le proprie preferenze.
I risultati dell’esperimento sono stati inequivocabili: i partecipanti che lavoravano in spazi arricchiti o personalizzati riportavano livelli significativamente più alti di benessere psicologico, senso di controllo e produttività rispetto a quelli che lavoravano negli uffici “lean”. In particolare, la produttività aumentava del 15% negli ambienti “enriched” e fino al 32% in quelli “empowered”, rispetto ai lean.
Questa evidenza suggerisce che il benessere e l’efficienza lavorativa non sono garantiti dalla riduzione all’essenziale, bensì dalla presenza di elementi che stimolano emotivamente e cognitivamente chi vive lo spazio. È proprio in questo contesto che il concetto di biofilia trova conferma: la presenza di elementi naturali come piante, materiali organici e luce solare contribuisce a costruire ambienti “empowered”, cioè capaci di generare comfort, identificazione e performance.
L'implicazione architettonica e urbanistica di questa ricerca è radicale: la qualità dello spazio costruito non può essere valutata soltanto in termini di funzionalità o rendimento metrico, ma dev’essere considerata anche nella sua dimensione affettiva, estetica e psico-cognitiva. Un ufficio, una scuola, un'abitazione dovrebbero essere progettati non per controllare il comportamento, ma per nutrirlo, stimolarlo, sostenerlo. E qui la biofilia non è più solo un’ipotesi suggestiva, ma un’esigenza scientificamente dimostrata.
Numerosi studi condotti in Italia negli ultimi anni hanno evidenziato i benefici psicologici e fisiologici associati al contatto con le piante e alla cura del verde. Ad esempio, il Centro Psico Humanitas Medical Care ha sottolineato come il giardinaggio possa migliorare l'umore, ridurre lo stress e aumentare la capacità di attenzione, grazie all'impegno in attività che favoriscono la concentrazione e il rilassamento mentale. Parallelamente, il Dors (Centro di documentazione per la promozione della salute) ha raccolto risorse che evidenziano come l'accessibilità a spazi verdi e blu contribuisca alla prevenzione e promozione della salute mentale, favorendo stili di vita attivi e sostenendo l'equità e la salvaguardia dell'ambiente. In ambito ospedaliero, i giardini terapeutici sono stati progettati per ridurre lo stress e migliorare il benessere mentale nei pazienti ricoverati, dimostrando l'importanza dell'ambiente naturale nel processo di guarigione.
Nel cuore di Bergamo Alta, il Landscape Festival – I Maestri del Paesaggio si è affermato come un laboratorio a cielo aperto, dove la progettazione del paesaggio si intreccia con le esigenze della società contemporanea. Dal 2011, questa manifestazione internazionale promuove la cultura del paesaggio, offrendo spunti per affrontare le sfide ambientali e sociali attraverso soluzioni innovative e sostenibili. L'edizione 2024, intitolata "Facing the Crisis", ha posto l'accento sulla necessità di ripensare gli spazi urbani in risposta alle crisi globali. L'installazione "Green Square" in Piazza Vecchia, curata dalla paesaggista francese Catherine Mosbach, ha rappresentato un simbolo di resilienza, con elementi naturali che dialogano con l'architettura storica, invitando a riflettere sulla coesistenza tra uomo e natura.
L’integrazione tra educazione, partecipazione e sperimentazione permette di promuovere una cultura del verde che valorizza la biodiversità, il benessere psico-fisico e la sostenibilità, contribuendo a ridefinire il rapporto tra esseri umani e natura nel contesto urbano contemporaneo. Attraverso il coinvolgimento attivo dei cittadini e la diffusione di saperi ecologici, gli spazi della città possono essere trasformati in luoghi di relazione e coesistenza tra tutte le forme di vita.
In questo contesto, il pensiero di Stefano Mancuso, neurobiologo vegetale e divulgatore scientifico, risuona con particolare forza. Attraverso le sue ricerche sull'intelligenza delle piante, Mancuso sottolinea l'importanza di riconoscere le capacità delle piante di adattarsi e interagire con l'ambiente, offrendo modelli per una società più sostenibile e consapevole. Non si tratta di replicare un’immagine idilliaca del verde, ma di costruire paesaggi complessi e inclusivi, in grado di accogliere l’imprevedibile, il selvatico, il fragile. Una prospettiva che trova piena espressione nel lavoro della paesaggista francese Catherine Mosbach, autrice di progetti innovativi in cui la natura non viene addomesticata, ma resa interlocutrice autonoma dello spazio urbano. Nei suoi paesaggi, il progetto non si impone, ma ascolta: ne è un esempio il Jardin des Deux Rives a Strasburgo, dove il confine tra Francia e Germania si dissolve in un continuum ecologico, attraversabile e condiviso. Mosbach concepisce il paesaggio come una narrazione aperta, fatta di materiali vivi, di tempo e di trasformazioni: un dispositivo poetico e politico capace di attivare nuovi immaginari e nuove pratiche dell’abitare.
Fonti
Wilson, E. O. Biophilia, Harvard University Press, 1984.
Kellert, S. R., Building for Life: Designing and Understanding the Human-Nature Connection, Island Press, 2005.
Clément, G., Manifeste du Tiers Paysage, Éditions Sujet/Objet, 2004.
Knight, C. & Haslam, S. A., The relative merits of lean, enriched, and empowered offices: An experimental examination of the impact of workspace management strategies on well-being and productivity, Journal of Experimental Psychology, 2010.
Ulrich, R. S., View through a window may influence recovery from surgery, Science, 1984.
Festival del Verde e del Paesaggio
Landscape Festival (5-21 settembre 2025)
Catherine Mosbach