Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Kyrahm.

Performer, attrice, autrice. Kyrahm è uno dei volti italiani più noti nel panorama internazionale della Performance Art. Bella, audace, vera. Ha al suo attivo moltissimi lavori e diversi di questi sono nati dal sodalizio con Julius Kaiser, insieme alla quale è nato il progetto Human Installation che ha dato vita alla realizzazione di numerose performances, opere di videoarte o video documentari, ricevendo menzioni o vincendo premi presso importanti festival italiani ed internazionali. Per Kyrahm l’arte, ogni forma d’arte, ha un’imprescindibile funzione sociale. E questa funzione è la radice da cui nascono i progetti firmati Human Installation o realizzati esclusivamente da lei.

Negli anni, le tematiche affrontate sono sempre state molto forti, autentiche, talvolta estreme. Ma il modo di affrontarle è sempre stato fortemente poetico. Dal gender all’accettazione di ogni forma di diversità, dall’emarginazione e accoglienza dei migranti agli orrori della mafia, dalla paura dell'altro alla mancata accettazione di se stessi. La verità, sotto ogni forma, entro ogni gabbia, in nome della libertà. Questa è la sola mission.

Kyrahm vive e lavora a Roma. Questa è la sua voce creativa per voi.

Chi era la bambina Kyrahm?

Una piccola donna fragile, insicura, sensibilissima. A quell’età ti crolla il mondo addosso quando si viene presi in giro. Poi sono cresciuta, il corpo si è trasformato ed il mondo intorno a me a sua volta. Ne ho parlato molto in un progetto Making Peace With The Wind/Fare pace col vento, una performance del 2013. Durante questa azione che si è svolta in Belgio, a Ghent, ho iniettato della soluzione salina nel mio volto per deformarlo temporaneamente registrando la reazione delle persone prima e dopo la “trasformazione”. Odiavo il vento perché scopriva il mio volto. Fino ai 15 anni mi sono sentita un mostro. Non mi sentivo una bella bambina. Avvertivo gli sguardi degli altri pieni di disgusto. Poi il corpo cambia, tutto si trasforma. Per un po' ho lavorato anche come fotomodella e attrice. Gli sguardi degli altri erano pieni di desiderio. Continuavo a odiare il vento... Il desiderio ossessivo di essere belle è una sconfitta, un disperato bisogno di accettazione, un adattamento ai feroci canoni imposti dalla moda, dalla società e dai media. Trasformandomi in una bella donna avevo, in un certo senso, perso. Ho iniettato della soluzione salina nel mio volto per deformarlo. Ho scurito e rasato i capelli: ho ritrovato la bambina brutta. Per le vie delle città del Nord Europa gli sguardi erano pieni di sgomento, disprezzo, altre volte sfuggenti. Il mio, invece, fiero e colmo d'orgoglio. Sono sempre io. Che fine ha fatto la bellezza? Ho fatto pace col vento.

In una fiaba il brutto anatroccolo diventa un meraviglioso cigno, ma il lettore adulto è autorizzato a leggere tale metamorfosi come una implacabile sconfitta: l’adattamento ai canoni sociali imposti può essere letto diversamente? Io penso che si entri in crisi soprattutto quando ci si incastra nel vortice del relativismo. Chi ha sperimentato tale condizione vive i rimandi dello specchio sociale, normalmente soggettivi, come feedback di importanza vitale. In questa performance, riappropriandomi attivamente della “bruttezza”, quest’ultima diviene uno strumento principe di osservazione del mondo con totale estraniazione dalla società e dalle forme coatte che essa impone.

Quando hai scelto la performance, o quando la performance ha scelto te?

Il punto è proprio questo: sta nel non avere scelta. La performance è la mia vita. Il mio professore del liceo Domenico Pesce fu molto attivo negli anni ‘70 in questa espressione. Mi innamorai di questa forma espressiva durante questi primi anni di formazione. Viaggiando molto, ho avuto la fortuna di entrare in connessione con artisti tra i più significativi dell’ambito della performance e di creare una rete internazionale.

Cosa ti inibisce?

La mediocrità, il qualunquismo, la superficialità.

Cosa ti delude?

Intuire un atteggiamento manipolatorio, chi prende senza restituire.

La bellezza, cos’è?

Struggimento, nutrimento. Armonia.

Il corpo, cosa dona e cosa riceve?

È il nostro canale di espressione, gabbia e involucro, spiaggia bianca, piacere e dolore.

Hai fatto un lungo ed importante percorso con Julius Kaiser, ci racconti come nasce il sodalizio che ha generato Human Installations?

Ci siamo incontrati nel 2009 avviando un sodalizio umano ed artistico. Julius si occupava di una ricerca legata al genere ed aveva avuto diverse esperienze in campo cinematografico come regista e videomaker. La mia passione per l’arte, la spinta verso la performance art e la sua creativa documentazione ha potuto rendere possibile la nascita di un progetto-manifesto-movimento artistico tra performance e videoarte. Ognuno di noi ha competenze specifiche e creiamo le opere insieme o in totale autonomia seguendo il nostro istinto. Abbiamo curato diversi eventi tra cui il Festival Internazionale della Performance MutAzioni. Ogni nostra performance è di fatto una Human Installation e segue un ordine numerico. L’ultimo progetto firmato Human Installations è Free Performance Art, una iniziativa dove per 48 ore performance artists da tutto il mondo hanno offerto le loro opere liberamente online per l’emergenza legata al Coronavirus.

Mi è capitato di lavorare nel corso degli anni con altri professionisti che hanno documentato il mio lavoro, ma con la regista Julia Pietrangeli (aka Julius Kaiser) c’è sicuramente molta più intesa. Devi fidarti profondamente di qualcuno (tecnicamente ed umanamente) per affidare le riprese delle tue opere.

Tra le tue performance, quella che ti ha segnata di più e perché?

È difficile rispondere a questa domanda, perché di fatto ogni performance è frutto di un percorso consapevole, a volte sono necessari anche anni. Ad esempio, l’ultima mia performance Human Installation XX: Davide e Golia ha visto come protagonista un vero testimone di giustizia Luigi Leonardi. Un imprenditore che si è opposto alla camorra e si è rifiutato di pagare il pizzo. Le denunce hanno portato all'arresto di oltre un centinaio di persone dopo aver perso due fabbriche e tre negozi incendiati dai criminali. Vive sotto scorta da oltre tre anni ma non si è sentito più volte supportato dallo Stato. Luigi, il Davide, ha raccontato la sua storia al pubblico presente al MACRO per poi distruggere un monolite gigantesco (il Golia), che avevo costruito, simbolo delle mafie, dell’omertà e del silenzio. Ma per poter arrivare ad affrontare una tematica tanto impegnativa, mi sono immersa nella ricerca per oltre un anno. Nel corso dei mesi ho intervistato altri testimoni di giustizia tra Sicilia, Calabria e Campania tra cui Daniele Ventura, un giovane imprenditore siciliano con una storia simile a quella di Leonardi. In quel periodo mi scrissero molte persone che avevano deciso di denunciare, desiderose di raccontarmi la loro vicenda, ma anche solo per parlare, sfogarsi, non sentirsi soli. Una delle costanti che ho spesso ritrovato è la paura di non farcela, in alcuni casi queste persone si sono sentite letteralmente abbandonate dallo Stato. Molti di loro hanno deciso di nascondersi, scomparire per il terrore di essere scovati dalla mafia, mentre Luigi ha scelto la strada della visibilità, dell’esposizione mediatica e pubblica fatta anche di incontri con le scuole, dibattiti, partecipazione agli eventi. Ho seguito Leonardi anche in occasione dello sciopero della fame che intraprese sotto il Viminale nel 2018. Filmati che sono stati proiettati al MACRO Asilo durante i giorni di preparazione ed il pubblico ha potuto conoscere uno spaccato esistenziale di questi “angeli della legalità”. Con Luigi avevamo più volte parlato di una necessità impellente: accanto al ricordo dei sacri martiri come Falcone e Borsellino è fondamentale però non dimenticarsi di chi combatte ora, di chi è ancora in vita; perché, “le fiaccolate arrivano quanto ormai è troppo tardi”. Alla fine Leonardi ha distrutto parte del monolite da cui è uscito con in mano la bilancia della giustizia e una luce accecante ad illuminare. Il Golia è ora al MAAM (Museo dell’Altro e dell’Altrove Metropoliz Roma) come monumento Arco di trionfo di chi lotta contro le mafie.

Tra le tue performance, quella che vorresti ripetere in assoluto?

Adesso sento la necessità di lavorare ad un nuovo progetto, ma è davvero complesso ed ambizioso. Ora che è fermo tutto devo attendere. Una performance che vorrei ripetere è Hysteria, le stelle non hanno gli occhi, dove ho coinvolto l’attrice Valentina Siracusa in un progetto sul disturbo somatoforme. Per circa tre giorni abbiamo lavorato con un fischio di oltre 10.000 Hz che ha alterato la nostra coscienza, per simulare la sensazione di un fastidioso acufene di origine psichiatrica.

Le tue performance hanno sempre una forte impronta di denuncia sociale, sono un forte invito alla riflessione, come nasce tutto?

L’artista, a mio modesto parere, ha il dovere di osservare il mondo e stimolare le persone al pensiero critico.

So che un altro tuo campo d’azione è la produzione di video documentari sperimentali. Ce ne parli?

Il lavoro parte generalmente dalla documentazione di una performance che viene presentata dal vivo. È il caso, ad esempio, del suddetto Davide e Golia, che oltre ad essere un progetto performativo è anche un film e di Ecce (H)omo, Guerrieri un delicato lavoro sulla fragilità umana presentato a Venezia nel 2016 in occasione del Venice International Performance Art Week con i principali esponenti della body art storica. In questo caso, però, più che documentari sono più che altro film d’artista e/o “videoperformance”. Anche (A)Mare conchiglie con protagonisti migranti e Dentro/Fuori (dove son stata rinchiusa volontariamente per 2 giorni in una cella di isolamento) seguono questo filone. Riguardo invece a qualcosa di prettamente documentaristico, insieme alla regista Julia Pietrangeli (aka Julius Kaiser) invece abbiamo realizzato diversi documentari tra cui Oltre il Corpo con protagonisti artisti della performance internazionale e Chiudi gli Occhi e vola che parla di Sabrina Papa, una pilota non vedente.

Una poesia che potrebbe vestire la tua ricerca, me ne scrivi i versi?

Dormi o sei morta?
Mamma conchiglia, figlia poltiglia.
Sono viva, non senti il mio respiro?
Credevo fosse il vento.

È con queste parole che apre la mia azione Human Installation O: Crisalide, dove sono stata per 28 ore in un bozzolo in una piazza di Roma accudita da mia madre.

Di quali letture ti nutri?

Adoro leggere. Divoro testi scientifici, di antropologia, sociologia, psicologia, psichiatria. Mi è capitato di rimanere annientata dalle poesie di Borges, dalla narrativa di Saramago.

Sei una donna forte, ostinata, magnetica e intensa: come ti relazioni al sistema dell’arte italiano e come lo senti?

Ho lavorato sia nei contesti istituzionali che in ambito underground. Si tratta semplicemente di “spazi”, “luoghi”. Credo che a volte il sistema abbia bisogno di essere scosso da ondate di verità.

Scegli due delle tue performance, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una descrizione.

Luce, 2017. Nel 2017, dopo un devastante 2016 legato ad alcuni miei problemi di salute, partii con Julius Kaiser per Lanzarote, una delle Isole Canarie più suggestive. Percorsi con una stampella e degli occhiali da sole scuri circa 8 km in una zona deserta prima di arrivare al centro di uno dei vulcani dell'isola. 8 km sono moltissimi se l'anno precedente l'hai passato a letto riuscendo a malapena a camminare solo per andare in bagno o mangiare. In quei giorni rilessi La Divina Commedia di Dante e pian piano cominciai a riappropriarmi delle mie funzioni. "Risalire dal centro dell'Inferno per tornare ad essere l'angelo più bello?”

Ecce (H)omo, Guerrieri, 2016. La fragilità dell'essere umano e l’amore in tutte le sue forme, l'attivismo LGBT, la vecchiaia e la malattia. I protagonisti, guerrieri in lotta, hanno mostrato i loro corpi e le loro vite. In un palazzo nobile del '600, con umiltà ho riunito queste persone che hanno accettato di prendere parte alla performance dove avrebbero messo a nudo corpo e anima. È possibile entrare in una stanza per volta, in successione, come in una processione laica: una donna trova la forza di lasciare un messaggio d’amore nonostante la malattia, si incontra una famiglia composta da due madri omosessuali e una neonata, una donna che si commuove osservando i segni del tempo sul suo volto, un’altra ascolta la voce della compagna ormai morta, con la quale ha condiviso 23 anni della sua vita. Nell’ultima sala, il canto di un soprano accompagna una Pietas con un ragazzo disabile e una giovane donna che si lasciano andare ad effusioni e baci per il diritto di tutti i corpi ad esistere ed essere amati. Tutte le persone coinvolte hanno mostrato volontariamente se stessi e donato il proprio vissuto senza pelle per un messaggio d’amore.

Una performance storicizzata che ti fa dire: “questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

La performance nasce da un bisogno così intimo e profondo che non mi è mai capitato di pensare questo. È successo che abbia provato emozioni molto intense, questo sì. Ho ammirato molto la ricerca della live art anglosassone, le performance dell’australiano Stelarc tra scienza e body art e a lungo diversi esponenti dell’arte estrema, ma ora sento che sono in una nuova fase ed il mio percorso ha assunto un connotato molto più personale.

Un o una performer con cui avresti voluto collaborare?

Mi è dispiaciuto molto non aver incontrato personalmente Ulay. Abbiamo avuto solo scambi virtuali tramite Internet.

In quale periodo storico avresti voluto vivere, se non fossi stata qui?

Parigi, dal dopoguerra agli anni ‘70.

Qual è il potere dell’azione performativa?

Con la performance non puoi barare. L’azione, se onesta, è un rito. È verità.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Pittura, scrittura. Parte tutto da lì, dalla scrittura per immagini.

Work in progress e progetti per il futuro.

Non voglio svelare nulla. Al momento purtroppo è tutto fermo per la pandemia, ma appena torneremo alla libertà, dico solo che “spiccherò il volo”. Altrimenti continuerò con il progetto che ho ideato, Free Performance Art.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Never put off till tomorrow what you can do today.