La scultura di Nagasawa è affondata nei palpiti animisti e naturalistici della civiltà giapponese.

(Flavio Caroli)

Sotto il cielo e sopra la terra è la mostra dedicata al grande artista giapponese Hidetoshi Nagasawa, curata da Anna Imponente in alcuni luoghi scelti di Palazzo Reale a Napoli. Figlio di un medico delle truppe dell'Impero, sarà costretto, sul finire della Seconda guerra mondiale, a fuggire con la famiglia dalla Manciuria, ma sarà proprio questo lungo viaggio a cambiargli la vita.

Dopo gli studi in architettura a Tokio, infatti, sviluppa un particolare interesse per l'Avanguardia e gli artisti del gruppo Gutai. A 26 anni inizia un viaggio di un anno in bicicletta, che dal Giappone lo porterà ad attraversare l'Asia, passando per la Grecia e l'Italia, dove si stabilizzerà a Milano. Qui entra in contatto con Fabro, con cui crea la "Casa degli artisti", Trotta, Nigro e in particolare con Castellani. Negli anni ‘70 si dedica alla scultura, lavorando su metalli, marmo e bronzo che accosta e alterna a carta, legno e pietra in un dialogo tra cultura orientale e occidentale.

Le sue sculture si estendono nello spazio, assumendo spesso dimensioni monumentali, che fanno riferimento al tema, a lui caro, del viaggio, come ponti di passaggio, sospesi tra diverse realtà.

Sullo Scalone monumentale di Palazzo Reale, Groviglio di quanta, realizzata in occasione della mostra personale dell'artista al CaMusAC nel 2014, pone l'attenzione sull'importanza dello spazio architettonico, quale luogo sacro. La scultura in marmo di Carrara e ferro nasce dalla sovrapposizione di tre parallelepipedi, con cui Nagasawa crea una variazione e un ritmo cromatico tra la base metallica ossidata e la bianca verticalità della pietra.

La scultura, totemica, tende verso l'alto, come le antiche colonne o gli obelischi. Ma, contrariamente all'imperturbabilità dell'architettura classica, la colonna di Nagasawa assume volutamente un aspetto precario. Il blocco di marmo posto più in alto si inclina, quasi come se volesse distaccarsi dal resto del corpo, come se stesse per cadere. La relazione col vuoto trova le sue origini nel Ma della filosofia giapponese, quale intervallo, pausa tra elementi e corpo, luogo metafisico del tempo sospeso, capace di creare un vuoto pieno. Così la staticità di Groviglio di quanta si palesa nell'intenzione al movimento, in quell'istante bloccato, sospeso in un momento infinito. Nagasawa pone in perfetto equilibrio la potenza e la gravità della materia con la sua stessa leggerezza, sigillando, ancora una volta, il legame tra terra e cielo.

Al primo piano Nagasawa realizza un'opera in occasione dell'anniversario del V centenario della morte di Matteo Ricci, sapiente gesuita, cartografico e sinologo italiano, precursore delle relazioni tra oriente e occidente. Vissuto al tempo della dinastia Ming, riconosciuto come tra i più importanti missionari in Asia, ha aperto ed avviato un dialogo culturale tra Italia e Cina. L'opera di Nagasawa, a lui dedicata, è una grande croce composta da otto elementi in marmo e acciaio intrecciati tra loro e adagiati a terra in modo apparentemente casuale, come nel gioco dello Shanghai. Ciascun braccio della croce che volge verso i quattro punti cardinali, poggia a terra ma allo stesso tempo punta in alto, rendendola fortemente evocativa.

Nella corte d’onore di Palazzo Reale, trova spazio la plasticità di Pozzo nel cielo 1995-2014. Quest'opera fa parte della serie precedente, Pozzo 1980-1981, con il quale l'artista poneva in evidenza il concetto di vuoto che si crea all'interno e all'esterno della scultura. Sulla stessa linea, in Pozzo nel cielo Nagasawa esalta le capacità materiche del ferro spingendolo ad imporsi nel silenzio del luogo. I quattro bracci, adagiati su braccia in marmo, si stendono nello spazio tracciando linee sghembe intersecanti e convergenti che amplificano il senso di instabilità e precarietà. La materia sfida il senso di gravità, l'attrazione verso il basso, fissandosi in un equilibrio compiuto nello spazio. L'architettura delle travi crea una dimensione di vuoti e pieni visibili e invisibili al cielo e all'aria, che sembrano sorreggere la trama sottile della rete al centro del pozzo, sul quale potrebbe adagiarsi l'universo.

Chiude l'esposizione una selezione di opere grafiche in cera e carboncino, al primo piano, sull'idea di uno spazio delimitato e concluso, il tipico giardino della cultura zen, che a partire dagli anni ‘90 diventa protagonista della sua ricerca, non come soggetto paesaggistico o architettonico ma come organismo vivente capace di creare un legame tra l'ambiente e il contesto urbano.