Venezia è notoriamente riconosciuta in tutto il mondo come città d’acqua per la sua condizione di isola attraversata da canali, rii e calli e come città d’arte per contenere in uno spazio così limitato le più grandi opere di architettura, scultura e pittura create nella storia dell’Occidente.

Meno nota è invece per altri capolavori, frutto dell’opera umana, che passano frequentemente inosservati al visitatore e in alcuni casi anche al conoscitore affezionato. Ho letto di Venezia dalla penna di eccelsi autori completamente sedotti di fronte a tanta bellezza, uno tra tutti Iosif Brodskij che si definiva affetto da una tangibile dipendenza fisica da questa città al punto da dovervi soggiornare obbligatoriamente alcuni periodi dell’anno, pur vivendo a migliaia di chilometri da lì. “Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo-alias-acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo”(1) . Mi riferisco a lui per osservare che questi capolavori, i giardini nascosti di Venezia, non colgono il suo sguardo se non secondariamente rispetto ai Palazzi, l’acqua, gli odori maleodoranti del pesce irrancidito, del colore della pietra scura lavata dalle alte maree, dal verde brillante delle alghe putrescenti. Al contrario l’americano Henry James vi si addentra così bene da ambientarvi un romanzo (2) e cogliendone tutti i suoi connotati, perché il giardino veneziano sia riconoscibile al lettore a tal punto da invogliarlo a visitarlo e godere dei suoi pregi.

Ancor più difficile scoprirne di nascosti e poco noti se ci sposta in quel lembo di terra isola nell’isola di Venezia chiamata Giudecca, separata dal resto della città dal canale omonimo. Detta anche Spina longa perché stretta e lunga, l’isola prese il nome di Zuecca probabilmente per esser popolata da “zudei”, giudei, secondo una ipotesi, o dai “zudegai”, cioè giudicati quindi per coloro che dovevano scontare una pena, dopo un processo del tribunale dogale, o venivano esiliati come nobili rivoltosi già a partire dal IX secolo. Successivamente divenne luogo ideale per alcune famiglie patrizie veneziane per costruire Palazzi, orti e giardini prima ancora dell’epoca in cui la riviera del Brenta e l’entroterra divennero luoghi privilegiati oggetto di interesse economico e di villeggiatura al tempo stesso.

L’isola ha due facce, quella della sponda verso la città, suddivisa da ponti e canali che collegano otto isolotti, è posta su una lunga Fondamenta con chiese, palazzi e case dalle belle facciate, quella verso la laguna racchiude orti giardini e broli oltre alle piccole fabbriche, officine artigianali e cantieri per il rimessaggio delle barche. E’ necessario quindi soffermarsi più di un giorno, come fece Michelangelo Buonarroti che nel 1529 esule da Firenze qui venne a “vivere solitario”. E come lui molti secoli dopo ospiti inglesi, scrittori, letterati, filosofi, artisti e poeti come Byron e Shelley, Alfred De Musset.

Sono raccolti qui, invisibili all’occhio del turista e del visitatore giardini e orti con storie annose, peculiari quanto diverse. Il primo che carpisce la mia attenzione è un giardino che ho potuto immaginare più che esplorare poiché lo si può scrutare girando intorno alle sue alte mura, a mattoni con tessitura regolare alla gotica; le sue alte alberature e i suoi rigogliosi cipressi svettano alti come dei guardiani che lo custodiscono da secoli. E’ un parco più che un giardino in quanto la sua estensione raggiunge due ettari e quando un inglese Frederic Eden (1828-1916) se ne invaghì nel 1884 ne volle fare addirittura una piccola azienda agricola decretandone la sua degna denominazione Giardino Eden evocando il mito, la genesi e la storia delle storie(3).

La storia del giardino è breve e generosa di vicende poiché in pochi anni questo facoltoso aristocratico per curare i suoi mali grazie all’inventiva sua e di sua moglie Caroline Jeckill lo rese un paradiso da duna melmosa quale lo aveva trovato. Qui soggiornarono Henry James, la scrittrice Constance Fenimore Woolson, sua inseparabile amica che si tolse la vita proprio a Venezia (4), Marcel Proust, Jean Cocteau, Francois Mauriac, Thomas Hardy, forse Mary e Bernard Berenson, la scandalosa Lady Paget in arte Vernon Lee e Robert Browning, che del giardino parlarono e scrissero.

Questo “capolavoro botanico”, oggi inaccessibile, nel racconto di Eden è un parco con spalliere di rose, filari di pergole d’uva, bulbose d’ogni genere, tulipani, garofani, mughetti e poi caprifogli, grandi gelsi, pittospori dove restano gli antichi lastricati, la vera da pozzo, dove non si fecero mancare mucche, alveari e cantine. La sua vita con gli Eden come proprietari durò fino al 1928 quando venne alienata.

Ma quanto mi preme sottolineare è la figura di una donna rimasta in ombra – pressoché anche nel libro di memorie del marito e proprietario del giardino – quella di Caroline Jeckyll che spiega lo stile anglo-veneziano del giardino. È ormai appurato che Caroline fosse la sorella maggiore di Gertrude Jeckyll (1843-1932), la più nota progettista di giardini anglosassoni, e del cui fratello più giovane Walter Jeckyll, l’amico Robert L. Stevenson, prese in prestito il nome per il romanzo Dr. Jeckyll e Mr Hyde.

Gertrude è passata alla storia dell’arte del giardino per aver ideato e creato le prime bordure miste poi dette all’inglese, dove la giustapposizone di arbusti di colori e forme diverse creavano delle vere e proprie creazioni di colori quasi come in un opera pittorica. Qualcuno ha quindi supposto che essendo Caroline la maggiore e essendo stata trapiantata in Italia per oltre trent’anni sia stata proprio lei l’ideatrice di questi mixed borders proprio in terra veneziana! Aldilà della primogenitura di lei si sa ben poco se non fosse per qualche cenno nei diari e nelle rare pubblicazioni sul giardino che la ritraggono come “il genius loci del giardino, affabile creatura viva che dava anima a tutte le cose che la circondavano”.

Oggi il giardino è di proprietà di una Fondazione voluta dall’ultimo proprietario, l'architetto e pittore viennese Friedensreich Hundertwasser (1928-2000); il suo intento era che la natura qui facesse il suo corso senza alcun intervento esterno, secondo il suo pensiero filosofico di matrice ecologica secondo cui ritiene di preservarlo e renderlo più armonioso.

L’isola della Giudecca ha questo cuore verde ancora oggi impenetrabile persino alle stesse autorità competenti che vi imposero il vincolo a partire dal 1927, ma ne possiede altri di impareggiabile bellezza che sono ancora oggi mantenuti in alcuni casi fin dal loro nascere, altri tornati in vita con l’aiuto di mani sapienti che ne hanno esaltato la bellezza originaria, altri piccoli e nascosti creati con la passione dei proprietari. Per compensare il mancato piacere del giardino nascosto da cui Adamo fu escluso, ho cercato tra le calli due giardini-broli, giardini orti.

A pochi passi dal Giardino Eden si può addentrare negli Orti del convento originariamente dedicato a Santa Maria degli Angeli e poi collegato alla Chiesa del Redentore dove ancora i frati cappuccini coltivano un grande giardino nascosto dietro il santuario fatto costruire per esorcizzare la peste nel 1576, affidando il progetto ad Andrea Palladio. Qui si produce frutta, ortaggi, olio e miele fino al limitare della laguna. E poi i giardini dell’antico complesso cinquecentesco di Santa Maria della Presentazione, detto delle Zitelle, oggi diventato sede di un lussuoso albergo dove i muri dei broli e gli antichi campi coltivati a orti e frutteti ospitano uno dei più bei giardini veneziani oggetto di un intelligente quanto accurato restauro.

Ma molti altri potremmo visitare come il giardino delle Ville Heriott nella calle Michelangelo, un tempo di proprietà del pittore inglese Whittacher, su cui il francese Heriott decise di costruire due palazzetti in stile veneto-bizantino nel 1929; il giardino di Ottilia Iten, un roseto ricavato sui terreni di una vecchia fornace denso di varietà di narcisi, clematidi, ma soprattutto di rose antiche che la proprietaria ha selezionato con metodi naturali per resistere al clima e al terreno veneziano; e ancora curiosando dietro le antiche fabbriche di tessuti di Mariano Fortuny (1871-1994), pittore e artista che ebbe l’intuizione di creare giardini di stoffa ideando lui stesso tutto il processo produttivo di lavorazione e stampa, ancora oggi custodite alla Giudecca. Dietro l’antica fabbrica, dove un tempo c’era un antico convento, ancora oggi operativa, c’è un giardino che lui stesso fece realizzare ricco di rose, alberi, pergole a e monumentali pittospori, e tutte quelle piante i cui fiori, foglie e frutti erano l’ispirazione dei leggendari tessuti famosi in tutto il mondo.

Note:
(1) Brodskij I., Fondamenta degli incurabili, Adelphi, 1991
(2) James H., Il carteggio Aspern
(3) Eden F. Un giardino a Venezia, Pendragon, 2008
(4) Henry James la ritrae nel saggio di critica letteraria Miss Woolson (1887-1888), a breve in pubblicazione nell’edizione Italiana a cura di Marco Tornar per Tabula Fati.