Il viaggio è l'espressione di un'attività motoria del fisico e della mente e ha luogo attraverso il mezzo corporeo e quello ideale del pensiero. L'uomo ha correlato la sua esperienza nel movimento con i tratti fisici di una locomozione variata nella storia, dal cavallo sino ai più moderni mezzi come l'automobile.

Il fotografo di moda Jeff Bark (Minnesota, classe 1963 e studio a New York) è partito dal concetto di Grand Tour mediandolo nell'introspezione visionaria della coscienza del poeta. Ha posto al centro di questo progetto visivo la città di Roma e l'ha proiettata nel giaciglio della quattro ruote (il suo garage nell'Upstate a New York) sino a realizzare la fuoriuscita dalla paresi che caratterizza la messa a ricovero del mezzo automobilistico in favore di una terza dimensione.

Attraverso il “Garage” ha condensato la sintesi del tour che lo scibile umano colleziona nella semantica della sua esistenza con una visione neo-romantica del percorso attuato e somma del dialogo con la storia della bellezza, dalla vita votata all'armonia e alla perfezione, sino all'abrasione come centro di una beltà emotiva che tutto include e da cui si genera la rimessa in opera.

Nella visione di Bark la prospettiva allargata all'inclusione diviene la fuga dal luogo per quell'altrove onirico che è trionfante nel coraggio di aprire gli occhi e accettarsi ogni giorno. Il disegno di un noi, plausibile e giustificabile nell'esistenza, come autori di un quadro storico che è già tale nell'ego. Attingendo dal sapiente citazionismo dei maestri della pittura del '600 così come dalle misure spazio-temporali di Tarkovskij e dalle eccitazioni luministiche del più autentico Merisi, il fotografo attrae le quinte in sequenze narrative che rivaleggiano con l'umano, dal fronte al retro della prospettiva, regalando squarci psichici all'inanimato come al vegetale pari dell'uomo come quesito all'esistenza.

La natura non è mai stata più viva di quando è stata “morta” in età Elisabettiana.

Il volto del divino non è mai stato più terreno che nell'epoca del pontificato di Papa Paolo V Borghese.

La partita tra la visione di un'identità e la verosimiglianza al vero è l'ibridazione dei contenuti che si generano in questa singolar tenzone tra vita e finitezza e di questa traccia romantica Bark impregna l'esistenza delle sue creature.

Presso il Palazzo delle Esposizioni di Roma, dal 7 giugno al 28 luglio, attraverso la curatela di Alessio de' Navasques, si attraversa l'Eden del pensiero umano come esperienza tangibile del possibile permanere simultaneamente in un luogo e nel suo al di là.

La mostra porta nel titolo il nome dell'autore come intimo percorso che compie nell'utero della sua foto-grammatica esperienza. Il luogo entro cui tutto si svolge è la sua immaginazione che si geolocalizza dall'anima entro le pareti del suo garage non ritraendo quanto si manifesta, nell'avvenuto incontro con la pupilla, ma quanto si elabora dal medesimo incontro attraverso la forza dell'aorta che trasmette vibrate pulsioni alla cassa toracica dell'esperienza in una proiezione paradisiaca della sua verità.

Jeff Bark – Paradise Garage

Le simbologie adottate, per ricondurre alla sfera personale dell'artista, sono temi universali che attraversano la storia dell'arte e in particolare la verticalità dei principi edificativi dello spirito.

Questo moto ascensionale e direzionalmente controvertibile occhieggia al Barocco, ma in chiave moderna dove l'orizzonte è sempre vasto e altrettanto percorribile come superficie e piano di appoggio delle idee e la bellezza coincide con l'iperrealismo.

La giovinezza e la vecchiaia si equivalgono nel tratto pittorico così come il vegetale e le suppellettili del decoro dei luoghi dell'umano vivere.

Questo magmatico vertigo manifesta, nella profondità chiaroscurale, quel labirinto diaframmatico di aspirazioni e quesiti che nel ritmo cadenzato del nascere, vivere e morire Bark mostra terso, senza macchia.

La cifra del distacco, che è evidente nelle immagini del fotografo statunitense, equivale alla distanza salutare dalla miseria del limite e dal giudizio, ma anche al tratto distintivo di una coscienza che si completa nell'eden dell'inconscio.

L'aspetto dell'oltre è mitigazione al “qui e ora” che colpisce nell'atmosfera delle sue raffigurazioni: espressione fugace del giustapporsi come forma espressiva dell'assurdo che è geofisico valico visto al di là di dove si è come meta plausibile.

Il garage è stato, nell'America del ventesimo secolo, il luogo dove l'arte ha avuto un suo sviluppo per poi approdare alla strada della notorietà. Bark con questa sua sperimentazione fotografica pone la mente nella sua rimessa e ausculta il lirico processo dell'ideale. Ogni cosa assume una veste interrogativa o assertiva delle posture mentali di chi si mette a nudo senza didascalia e si lascia osservare.

Le opere selezionate per la mostra romana non seguono la documentaristica o la moda, ma declamano la fruizione per sé stessa, come attività della natura e di come si connatura senza comprensione, ma per processo compenetrativo e per assonanza, divenendo atto di fede verso l'inconoscibile spettro delle cose oltre la funzione.

Il paradiso non ha per sua definizione residenza terrena e regole che ad esso possano riferirsi, ma è altro d'essenza e assenza dal noto che assurge al vero, al buono e al bello dell'arte che sta all'errore come il Sole alla Terra nella sua essenza rivelatrice.

Dal “Grand Tour” di Bark emerge un'isola neoromantica che dall'irrazionale trova ragione d'essere e accoglie le istanze di chi sa che vi è una traiettoria possibile dal dubbio all'ignoto.

Una forma aperta alla sapienza del non conoscere come sostanza applicativa della poesia: metro e misura del meraviglioso che è libero manifesto del naturale come paradisiaca “rimessa” in opera dell'esistenza.