But don't forget the songs
that made you cry
and the songs that saved your life

È inconfondibile la voce di Morrissey che canta queste parole in una canzone degli Smiths, Rubber ring. Il suono degli Smiths lo riconosci alla seconda nota, il modo di cantare di Morrissey è un marchio di fabbrica indelebile, che racconta un decennio appena pronuncia una sillaba. Il testo parla delle canzoni: “Ma non dimenticare le canzoni che ti hanno fatto piangere, e quelle che ti hanno salvato la vita”.

Le canzoni salvano vite.

Tanti anni fa, più o meno intorno ai diciott’anni, parlavo di musica con un ragazzo un po’ più grande che faceva il bagnino nello stabilimento in cui andavo, in un angolo della Liguria spezzina. Chiacchieravamo dei Doors, di Jimi Hendrix, e dei Lynyrd Skynyrd, e a un certo punto mi disse: “Le canzoni di questa gente mi hanno cambiato la vita”. Pensai subito che era bello aver incontrato finalmente qualcuno che capiva quanto la musica potesse impattare sulla vita di uno come me, uno che sapeva che comprare e ascoltare i dischi non aveva niente a che fare con i passatempi, con gli hobby. Da allora sono passati tre decenni, e la penso sempre allo stesso modo: poche cose o persone hanno avuto, nella mia esistenza, il peso che ha avuto la musica. E siccome, salvo una parentesi di talebanismo jazzofilo, più che altro ascolto canzoni, è delle canzoni la colpa di quello che sono.

Finiamola qui con l’introduzione autobiografica, che però è funzionale al pezzo, e ha due ragioni. La prima è che mi serve per dire che qualcuno ha finalmente pubblicato un libro che parla di questo, di quanto le canzoni significhino nella vita di tanti esseri umani su questo pianeta. Non a dirlo tra le righe, o a riportarlo a margine, ma a scriverci un libro apposta. Sono stati Luca Buonaguidi e Salvatore Setola, che hanno recentemente pubblicato per Arcana Ambulance Songs. Non dimenticare le canzoni che ti hanno salvato la vita. La seconda ragione è che l’autobiografismo, naturalmente irrobustito da una profonda conoscenza della materia e da un’indubbia bravura nello scrivere, è la cifra di questo lavoro, che probabilmente serve anche a mettere a fuoco qual è il genere musical-letterario più interessante che può capitare di leggere in giro nel 2019, fatta salva una manciata di riviste e di firme storiche.

Gli autori spiegano benissimo nel ‘manifesto’ in apertura, che s’intitola Per un’erotica della musica, qual è il senso dell’operazione. “Le uniche riviste musicali, cartacee e sul web, che resistano al passare del tempo e al quarto d’ora di celebrità sono quelle che alla funzione di filtro [con le recensioni N.d.R.] hanno affiancato quella di approfondimento narrativo, rivolta a quei musicofili che se ne fregano del voto al disco ma – quando trovano una canzone che dice loro qualcosa – non si accontentano facilmente dell’ascolto. Vogliono di più: indagano il senso e la poesia di quella musica potente che li ha rapiti, forse salvati”.

Queste righe dovrebbero essere sufficienti per far capire a chi è rivolto questo libro: a tutti. A quelli che già conoscono le canzoni selezionate, a quelli che non le conoscono ma ne sono incuriositi, e addirittura anche a quelli che fino a oggi non hanno capito perché alcuni loro simili sembrano così fissati con quella roba che esce dalle casse o dalle cuffiette e che si chiama musica. Non è detto che si convertano sulla via di Neil Young (Il titolo del libro si riferisce alla sua Ambulance Blues), ma magari potranno comprendere i confini di una passione così totalizzante.

Sostanzialmente ogni capitolo del libro è dedicato a un brano, e i due autori si sono divisi i compiti equamente: Setola si è occupato delle ‘schede’ (molto poco schede, a dire la verità) delle canzoni e Buonaguidi ha aperto ogni capitolo con una poesia o un testo che, pur legato in qualche modo al contenuto della canzone, si è preso tutta la libertà di cui il suo autore aveva bisogno. È un modo di procedere rischioso, coraggioso, incosciente, tutto quello che volete, fatto sta che il risultato è un volumetto mediamente corposo (250 pagine) che potrebbe diventare un classico nelle librerie dei musicofili italiani, se verrà distribuito come Dio comanda.

Si va dai Nirvana di Serve The Servants, al Nick Drake di Things Behind The Sun, dai Dirty Three di I offered It Up To The Stars and The Night Sky agli Who di Baba O’ Riley, passando naturalmente per gli Smiths, in questo caso quelli di Please, Please, Please, Let Me Get What I Want.

Questo libro è la cronaca di uno scontro frontale tra gli autori e le canzoni, di una collisione che li ha resi quello che sono. L’unico scontro frontale che salva vite, ma che le (de)forma irrimediabilmente. Forse perché della musica ci s’innamora di solito nell’età in cui si sceglie di diventare o si diventa per caso quello che poi saremo per il resto della vita. Intendiamoci, nelle pagine di Ambulance Songs non manca l’approfondimento sulle canzoni e sugli autori, non mancano i dettagli, gli aneddoti, la storia. Chi scrive ha tutti gli strumenti necessari per padroneggiare la materia senza il minimo velleitarismo. Solo che in questo caso i particolari, le date e le discografie servono per raccontare qualcos’altro: i sentimenti di chi ascolta, la poesia e la bellezza che si possono trovare tra le strofe di un testo o tra i passaggi strumentali. Partendo da un negozio di dischi di Casal di Principe o da una poesia dedicata alla West Coast dei Love, dei Jefferson Airplane e dei Grateful Dead.

Raramente ho trovato un libro scritto così su misura per me, e sono convinto per una marea di persone con la mia stessa malattia. L’unico difetto, grave, è che ha solo 250 pagine. Non perché ne fosse necessario uno di mille, ma perché queste 250 non bastano a contenere le canzoni della vita dei due autori, figuriamoci quelle di tutti coloro che lo leggeranno e diranno: ma come, non c’è Visions of Johanna oppure Perfect Day, oppure Suzanne? Del resto è molto probabile che sulla scelta dei brani da inserire Buonaguidi e Setola abbiano passato notti insonni e si siano arrovellati tra mille sofferenze, e che se dovessero consegnare le bozze ogni giorno, avrebbero sempre la tentazione di mettere un pezzo, sacrificandone un altro. Alla fine hanno trovato la soluzione a questo problema di bulimia passionale: aprire un blog che dilatasse Ambulance Songs all’infinito, aperto ai contributi di chiunque abbia mai pensato che una canzone potesse salvargli la vita, o chi davvero sia rimasto vivo grazie a una canzone. Che io sappia è il primo libro che esce già con una seconda edizione incorporata.