Fino a pochi anni fa solo i medici avevano il mandato sociale per giudicare la qualità delle cure, in maniera spesso, inevitabilmente, autoreferenziale. Tale valutazione è stata in genere effettuata con modalità empiriche, indirettamente, osservando il livello di adesione degli assistiti a trattamenti e controlli, e soprattutto analizzando i risultati in termini di salute. Solo di recente le indagini sulla soddisfazione dei pazienti, utilizzate da molto tempo in altri contesti, sono considerate indicatori affidabili del livello di qualità nell’ambito dei servizi sanitari e sociali.

Tale evoluzione può essere riconducibile a due tendenze, complementari, anche se spesso non coincidenti negli obiettivi: il crescente riconoscimento del diritto alla partecipazione-condivisione delle scelte e delle decisioni da parte dei cittadini e lo sviluppo di una concezione sempre più di ‘mercato’ di tutta l’area dei servizi, la cosiddetta customer satisfaction. L’accento preferenziale sull’una o l’altra di tali tendenze influenza peraltro sia i contenuti sia le metodologie delle misure: diverso è definire e valutare percezioni e giudizi di persone coinvolte in scelte riguardanti direttamente la propria salute rispetto a comportamenti di soggetti considerati come ‘clienti’.

Una rilevazione metodologicamente adeguata della qualità percepita richiede l’utilizzo di tecniche validate (vedi tabella 1), preferibilmente adattate ai diversi contesti. Questi strumenti sono peraltro in genere sconosciuti o quasi non solo ai cittadini ma anche alla maggioranza dei medici. Ciò contribuisce a determinare scetticismo, disinteresse, a volte timore delle valutazioni.

Tabella 1 - Strumenti per la rilevazione della soddisfazione

  • Questionari (scritti o telefonici)
  • Focus group
  • Tecnica dell'incidente critico
  • Osservazione diretta (palese o celata)
  • Analisi del contenuto di lettere, commenti, reclami
  • Interviste individuali
  • Ricerche sul campo

Nonostante tali difficoltà, di merito e di metodo, esiste la necessità di valutare la soddisfazione dei pazienti nei confronti della pratica, sia per gli stessi professionisti, sia, soprattutto, per gli assistiti, i cui punti di vista sono indispensabili per comprendere la reale adeguatezza dei processi assistenziali. Valutare la qualità percepita, interrogarsi sulla soddisfazione del paziente per le cure ricevute, vuol dire valorizzarne la soggettività e porre le basi per un incontro relazionale in cui il medico mette a disposizione del paziente le proprie conoscenze, mentre il paziente, in quanto esperto del proprio vissuto di malattia, contribuisce alla realizzazione del processo di cura diventando, da oggetto della clinica, soggetto partecipe in modo attivo.

Fondamentale, infatti, non è, come spesso succede, ottenere una valutazione acritica e in quanto tale sterile, come la conferma della prassi corrente, ma stimolare l’autonomia di giudizio, la dialettica, sviluppare la crescita di una cultura di partecipazione e condivisione, essenziale anche per il raggiungimento di migliori esiti clinici, attraverso l’adesione convinta ai trattamenti e ai controlli proposti.

La valutazione della soddisfazione del paziente dovrebbe far parte di tutte le concezioni della qualità delle cure, anche se i fattori che contribuiscono a rendere complesso il rilevamento di questi dati sono numerosi e gli indicatori relativi difficili da ottenere. La soddisfazione è, infatti, una misura multidimensionale, soggettiva, fortemente influenzata dalle caratteristiche socioculturali e psicosociali degli assistiti.

In pratica si può affermare che è quasi impossibile garantire a priori la qualità dell’assistenza perché operatore e utente contribuiscono congiuntamente al risultato del servizio nel momento stesso della sua erogazione. Ogni individuo è un’unità complessa, con la propria storia, credenze, valori e aspettative, altamente condizionabili dallo stato emotivo e psico-fisico correlato alla presenza o meno di una condizione di malattia.

Diversi lavori scientifici, in differenti contesti, hanno rilevato che tra i classici indicatori di qualità delle cure e le valutazioni del paziente non esiste correlazione significativa. In particolare, la qualità valutata secondo parametri clinici è indipendente dalla soddisfazione del paziente determinata dopo la consultazione o il verificarsi di un evento clinico. Ad esempio, in uno studio osservazionale ormai storico, condotto su oltre 1800 pazienti infartuati (DOUGLAS S.L. et al., Patient satisfaction and its relationship with quality and outcomes of care after acute myocardial infarction, in Circulation 2008; 118: 1938-45), si è evidenziata un’elevata percentuale di soddisfazione per le cure complessivamente ricevute ma una mancanza di associazione tra soddisfazione e qualità di cura valutata secondo i classici indicatori di performance, come l’utilizzo di terapia farmacologica evidence-based, cioè basata sulle migliori prove della letteratura e l’applicazione di criteri validati per il follow-up post-dimissione. Nemmeno la sopravvivenza, globale o libera da eventi, è risultata diversa tra i pazienti soddisfatti e quelli non soddisfatti per le cure ricevute. L’associazione, invece, è stata evidenziata nei confronti di aspetti, maggiormente percepibili da parte dei malati; ad esempio, le attenzioni riservate da parte dei medici, l’accesso alle terapie, il trattamento al momento dell’ingresso nel reparto di emergenza. Come in altri studi, la soddisfazione degli assistiti era correlata positivamente con alcune caratteristiche; ad esempio, un’età più avanzata, una condizione di benessere psicosociale, un minore livello di istruzione. Anche una migliore capacità funzionale e un più elevato tono dell’umore dopo l’evento infartuale determinavano una maggiore soddisfazione per le cure ricevute.

Alcuni di questi risultati sono, almeno in parte, abbastanza scontati: è evidente che le aspettative di salute saranno diverse tra giovani e anziani e che chi non è depresso sarà portato a valutare più favorevolmente le cure ricevute. Sono peraltro importanti per conoscere i fattori predittivi della soddisfazione, in gran parte sconosciuti, in quanto dipendenti dall’esperienza vissuta dall’assistito nell’utilizzo di un servizio sanitario rispetto alle sue aspettative. Fondamentale è, dunque, utilizzare le valutazioni di soddisfazione per la rilevazione dei bisogni, espressi e inespressi, quella epidemiologia della domanda in grado di indirizzare le risposte secondo un approccio globale, incentrato sulla identificazione e condivisione di valori, senso, interessi, obiettivi.

I medici, infatti, continuano in gran parte ad avere, nella comunicazione con i malati, un atteggiamento paternalistico e a concentrarsi soprattutto sugli aspetti clinici, meglio conosciuti e rassicuranti in quanto standardizzati, soprattutto in ambito specialistico. Il paziente, al contrario, ha scarse conoscenze mediche e quindi tende a privilegiare gli aspetti più direttamente percepibili, in particolare quelli interpersonali e relativi all’organizzazione (vedi tabella 2).

Tabella 2 – Le priorità dei pazienti (tratto da GROL R. et al., Family Practice, 1999)

  • Utilizzare il tempo necessario ad ascoltarmi, parlarmi e spiegarmi
  • Intervenire sollecitamente in caso di emergenze
  • Essere riservato sulle informazioni che mi riguardano
  • Spiegarmi quello che voglio sapere sulla mia malattia
  • Fare in modo che mi senta libero di fare domande
  • Darmi appuntamenti in tempi brevi
  • Aggiornarsi costantemente
  • Non solo curare le malattie, ma occuparsi della prevenzione
  • Valutare criticamente l’utilità delle medicine e consigliarmi al riguardo
  • Spiegarmi in dettaglio gli scopi degli esami e della terapia

Le percezioni e i giudizi degli assistiti sono inoltre fortemente influenzati dagli esiti dell'intervento sanitario, a seconda dei quali il medico potrà essere idealizzato come salvatore, oppure considerato incompetente, quando è noto che un risultato favorevole non implica necessariamente una medicina di buona qualità e viceversa.

Conclusioni

Gli indicatori clinici, e anche quelli degli standard organizzativi, devono essere integrati con determinazioni che riflettano l’esperienza dei pazienti ed esplorino la qualità delle cure intesa non solo come livello di raggiungimento di determinati obiettivi di salute (la prestazione in sé), ma anche come capacità di aderire ai bisogni e alle aspettative delle persone che la ricevono.

La soddisfazione, inoltre, non deve essere ricercata in astratto ma in situazioni assistenziali specifiche, spesso, ma non sempre, cliniche. È necessario incorporarla nel percorso di cura, come indicatore di partecipazione e condivisione delle scelte con i diretti interessati. Queste, infatti, non sono banali indicatori di empatia o astratta umanità ma strumenti di una concreta strategia professionale, di una collaborazione tra medico e paziente in vista di obiettivi che, per essere realmente perseguibili, devono essere condivisi.

Mediante la valutazione della soddisfazione del paziente si può cogliere la complessità dell’incontro clinico e riscoprire la centralità degli assistiti, le cui valutazioni devono avere pari dignità rispetto alla gestione degli altri componenti della cura, ad esempio, l’adesione alle linee guida o ai percorsi diagnostico-terapeutici. La migliore pratica non ha senso se ignora le preferenze del paziente.

Gli indicatori relativi alla qualità percepita devono essere pertanto considerati una componente fondamentale dell'esito di un trattamento. Una gestione delle cure orientata alla soddisfazione dell’assistito, infatti, può migliorare nettamente, riducendo la distanza tra le aspettative del medico e quelle del paziente, la sua sensazione di benessere. Può inoltre favorire l’adesione ai trattamenti e contribuire a ridurre le lamentele, le accuse di malpractice e il vagare alla ricerca di pareri medici diversi, il cosiddetto doctor shopping.