Una nave in un porto è al sicuro, ma le navi non sono fatte per questo.

(John A. Shedd)

Ah, il mare! Una parola composta da sole quattro lettere, che celano in sé un patrimonio di bellezza e pericoli, di storia e biodiversità… e, non di meno, di cultura gastronomica.

Sono davvero innumerevoli le ricette che da secoli portiamo sulle nostre tavole servendoci del gusto dei doni del mare, in un vortice di sapori la cui definizione risulta spesso difficoltosa, dal momento che gli stessi piatti assumono tante differenze a seconda della “vocazione ittica” del territorio n cui vengono preparati. “Alla marinara”, “alla pescatora”, “allo scoglio”… “all’acqua pazza”, “ai frutti di mare”, “alla catalana”: sono solo alcuni dei nomi delle pietanze di mare tra le più diffuse nel nostro paese, ma siamo certi di conoscerne l’origine storica?

La verità è che, nella mia opinione, dopo aver letto numerosi testi sulla “cucina di mare”, credo fermamente si possa affermare che non ne esista una sola: si dovrebbe parlare piuttosto di una cucina “multi-livello” a base di prodotti ittici, costituita da almeno tre categorie di fruitori che hanno segnato la nascita delle differenti ricette, le quali hanno preso vita ora a bordo delle grandi imbarcazioni, ora sul focolare domestico, nonché tra le cucine gestite dai cuochi dediti al servizio della classe nobiliare.

È fin dai tempi antichi che pesci e frutti di mare costituiscono una fonte alimentare importante per l’uomo, sempre contraddistinti dalla caratteristica di pericolosità e incertezza di approvvigionamento, soprattutto prima dell’avvento dell’acquacoltura e dei moderni sistemi di pesca. Tali caratteristiche fanno pensare subito ai marinai, vale a dire coloro che trascorrevano la maggior parte della loro vita a bordo di differenti tipologie di imbarcazioni.

Da documenti di viaggio del periodo rinascimentale, si evince che sulle navi l’alimentazione dell’equipaggio veniva garantita soprattutto da alimenti a lunga conservazione, dai formaggi alla carne essiccata, dai pesci sotto sale alla frutta secca e i legumi, accanto ai quali figuravano due prodotti in particolare sui quali non si lesinava, vale a dire il vino e le gallette. Queste ultime nascono come focaccine secche, pressoché immangiabili se non inzuppate (la tradizione le vuole bagnate nell’acqua di mare stessa), ideali come sostituto del pane, conservabili per mesi e largamente consumate all’interno di zuppe e insalate per renderle più gustose e nutrienti. Ad esse si lega ad esempio la ricetta della capponada ligure, che consiste nelle suddette gallette inzuppate abbinate a pesce conservato, in particolare acciughe sotto sale o mosciame (che in passato era prodotto mediante l’essiccazione del filetto di delfino, oggi sostituito da quello di tonno). Il tutto poteva essere rifinito con altri prodotti in conserva come olive, capperi e olio d’oliva. Una ricetta ancora oggi servita in molti ristoranti locali, che nella sua versione moderna spesso si arricchisce di vegetali, tenendo in vita le abitudini alimentari dei navigatori di un tempo.

Una seconda categoria legata indissolubilmente ai prodotti del mare è quella dei pescatori, coloro che un tempo rischiavano la vita a costo di catturare pesci, che non rappresentano una preda certa, dal momento che le condizioni del mare possono influenzare la pesca ogni giorno, se non renderla impossibile a causa delle tempeste. Francesco Carletti, scrittore, viaggiatore e mercante italiano rinascimentale, nei suoi testi ricorda come nessuno a quei tempi volesse fare il mestiere del pescatore. Ad esempio, sugli spagnoli dice che “[...] terrebbono il fare questa cosa vilissima [...]”, così come gli storici del mondo arabo raccontano che in Tunisia questo lavoro veniva affidato ai cristiani, a quel tempo emarginati allo svolgimento dei mestieri più umili.

Nel frattempo, sulla terraferma, nobili e guerrieri dell’epoca si nutrivano dei frutti del lavoro di questi coraggiosi lupi di mare; ma i pesci “popolari”, catturati in grandi quantità nel nostro mare (sgombri, alici, sardine ecc.) non erano graditi ai ricchi, che preferivano i grandi “pesci di scaglia”, frutto di catture meno frequenti a seconda della stagione, pesci dalla pesca non programmabile, ma ricercati, e quindi costosi. Il pescatore vendeva questi pesci a caro prezzo, e talvolta li regalava al nobile in cambio di favori, nutrendosi esclusivamente di quelli rimanenti di poco valore, rotto dalle maglie delle reti o rimasto invenduto a fine giornata. Proprio da loro nasce la tradizione della zuppa di pesce, nata come piatto di recupero di diversi tipi di pesci e frutti di mare rimasti invenduti dai pescatori a fine giornata, trasformatasi oggi sulle tavole dei più rinomati ristoranti in ricetta preparata con la migliore scelta di pescato fresco. Stessa rivalsa è quella di cui godono sempre più i piccoli pesci azzurri, conosciuti come “pesci dei poveri”, un vero pregiudizio di cui hanno sofferto fino a pochi decenni orsono, ma dal quale sono emersi vincitori anche grazie a tutte le proprietà benefiche attribuitegli da medici e nutrizionisti.

Ma il mare è così vasto da far venir voglia di navigare anche ben oltre i nostri orizzonti, al di là dei quali scopriremmo chissà quante altre storie legate alla “gente delle acque” che abita tutto il mondo, non solo sulle isole e nelle zone costiere, ma anche sulle rive di fiumi, laghi ed altre risorse idriche. La cultura non ha confini, e val sempre la pena conoscere ai fini di riscoprire ingredienti e tecniche di preparazione dall’essenza pura, semplice e genuina, capaci di guidarci nel ripercorrere le orme della storia attraverso i sapori, in un ritorno al passato racchiuso in un assaggio che sa di sale, di vento e di uomini coraggiosi.

La ricetta del Pan d’alici

Ingredienti per uno stampo Ø 22/24cm
Per la pastella:
Uova, n. 3
Acqua, 200g
Farina “00”, 300g
Lievito di birra, 6g
Sale fino, 2g

Per il ripieno:
Alici pulite private della coda, 500g
Patate a pasta gialla, 250g
Aceto balsamico tradizionale, 1 cucchiaio
Pane in cassetta decorticato, 30g
Prezzemolo, 30g
Pomodorini, n. 4
Olio extravergine d’oliva, 2 cucchiai

Procedimento
In una ciotola ottenete una pastella fluida, mescolando insieme acqua, uova e lievito, e aggiungendo successivamente la farina e il sale, aiutandovi con una frusta per non formare grumi. Lavorate bene la pastella finché non risulterà ben elastica, tenendo presente che avrà la funzione di isolante tra le alici e le patate; quindi, nel corso della composizione della tortiera, andrà stesa in uno strato molto sottile e “tirato”. Lasciate riposare la pastella per 4 ore a temperatura ambiente, coprendola con pellicola per alimenti bucherellata con uno stuzzicadenti.

Nel frattempo, mettete il pane e il prezzemolo in un robot da cucina, tritate il tutto e passatelo al setaccio. Lavate le patate, sbucciatele e tagliatele a rondelle di circa ½ cm di spessore. Quindi, sbollentatele in abbondante acqua salata per 5 minuti. Asciugate le patate con carta assorbente, trasferitele in una ciotola e conditele con l’aceto balsamico. A parte, lavate e nettate i pomodorini, tagliateli in quarti e tenerli da parte. Quando la pastella sarà ben lievitata, procedete alla composizione della torta: ungete uno stampo a cerniera alto 5 cm e, per facilitare il distacco della torta, cospargetelo uniformemente con il pane in cassetta aromatizzato (il pane sul fondo si manterrà morbido grazie all’acqua che libereranno le alici).

In seguito, procedete disponendo a raggiera sul fondo uno strato di alici accoppiate, coprite con un sottile strato di pastella - aiutandovi con le mani oleate o con un cucchiaio per distenderla – e proseguite con uno strato di rondelle di patate. Ricoprite nuovamente con uno strato di pastella, poi con le rimanenti alici accoppiate a raggiera, ancora un sottile strato di pastella e infine i pomodorini. Cospargete la superficie con il pane aromatizzato rimanente, l’olio e ancora qualche goccia di aceto balsamico. Cuocete la torta in forno preriscaldato a 220°C, lasciando cuocere per 10 minuti, abbassando poi a 180°C e proseguendo con la cottura per almeno altri 15 minuti. Una volta sfornata, lasciate freddare la torta d’alici per almeno 10 minuti prima di sformarla e servirla a fette.