A Vipiteno Burkhard Bacher è il guru di una cucina in cui Occidente e Oriente danno vita a piatti dai sapori e profumi inediti, frutto di sapienti miscele, con il contorno delle montagne dell’Alto Adige.

Vipiteno, Sterzing in tedesco. Tutto riconduce allo yogurt, al latte, ai canederli e allo speck, a quell’immaginario insomma che gira intorno all’Alto Adige, dove appunto ci troviamo. Quando si percorre il corso rigorosamente pedonale della cittadina, tra le sue case pastello, i portici, il brusio educato e i negozi eleganti e ci si infila nel passaggio che porta al piccolo e raccolto cortile su cui affaccia il ristorante Kleine Flamme, il nome e il luogo sembrano preludere a una cucina rivisitata, interpretazione colta delle tradizioni regionali.

Burkhard Bacher, invece, chef da una stella Michelin, ha in serbo per i suoi ospiti molte sorprese. A partire da quella “piccola fiamma”, che non si riferisce a un camino o a un focolare, ma è piuttosto sinonimo del calore con il quale si viene accolti e della passione che anima Bacher. Quando era bambino, il pane, burro e zucchero, che la nonna gli preparava come merenda, hanno avuto un effetto imprinting. Il pane era cotto con forno a legna, il burro era di malga, semplice, ma di prima qualità. Con questo viatico lo chef altoatesino si è affacciato giovanissimo sulla scena gastronomica locale, cominciando dalla dura gavetta: lavare piatti, insalata, pelare patate.

Da allora, tanta acqua è passata sotto i ponti e molta è la strada percorsa. “La svolta è stata la cucina asiatica”, specifica lo chef, che ha alle spalle esperienze in Germania, Belgio, Francia e America. Ristoranti come da Benito a Gent, in Belgio, L’Oasis di Stephane Raimbault e Louis Outhier a La Napoule, Vittorio a Bergamo, Enoteca Pinchiorri a Firenze, Joel di Joel Antunes ad Atlanta, lasciano il segno. Con questo cospicuo bagaglio a un certo punto Bacher è approdato in Thailandia, all’Hotel Oriental di Bangkok. “Ho avuto un colpo di fulmine con la cucina thailandese, ma anche cinese e giapponese. L’assenza di burro, molto pesce e spezie, i fritti leggeri e le cotture a vapore hanno modificato la mia visione culinaria. Ci torno con regolarità, anche per i festival di cucina italiana, l’ultimo a Hong Kong. L’anno prossimo forse a Macau”, racconta.

Il suo è un crossover e una reinterpretazione di tradizioni italiane, mediterranee, locali e orientali. Sin dal menu si inizia un viaggio che porta lontano da queste valli verdeggianti e oltre i confini europei. Non si tratta dell’abusata “fusion”, semplicemente è una nuova cucina, personalizzata e globale, pensata, germogliata e cresciuta grazie all’estro e al talento di Burkhard Bacher. Una sublimazione di contrasti giocati su dolce/salato e croccante/morbido, con generoso utilizzo di frutta, verdura, erbe e spezie. Queste ultime si sposano in miscele, che sono il suo segno caratteristico. Come il curry alpino, con 27 spezie diverse, tra cui pino mugo, curcuma e corteccia di betulla, perfetto sia con carne che con pesce. “Tutto fatto in casa, con gli aromi del mio giardino, più gli altri ingredienti. La miscela Cristoforo Colombo è ispirata invece ai luoghi da cui il navigatore è passato: ci sono anche bucce di arancio, pompelmo e limone seccati e polverizzati. Nel tataki, invece, spiccano come protagonisti alghe e peperoncini; nel tandoori, tra gli altri, trentadue in tutto, cannella, chiodo di garofano e chicchi di caffè dell’Etiopia”.

Inutile chiedere l’esatta ricetta di ciascuna. “Segreto! Non è però solo questione di ingredienti, ma del giusto equilibrio tra le diverse componenti”, spiega Bacher. Da provare il tataki di tonno con lattuga romana e olio di limone salato oppure la capasanta, la faraona e il petto di quaglia tandoori. Va forte anche il risotto allo zafferano, sgombro, chili e lattuga di mare marinata. O la crema di funghi dell’Alto Adige con soia.

Per la stagione autunnale lo chef ripropone un suo piatto ormai classico: il fegato grasso con ciliegie al porto (preparate d’estate) e crema di cioccolato. Una ricetta cavallo di battaglia del grande Alain Senderens, con cui Bacher collaborava a Bangkok, ma che il tristellato chef - scomparso di recente - non volle mai rivelargli del tutto, e che quindi è frutto della sua originale rielaborazione. “Può capitare che Burkhard si svegli nel cuore della notte con l’ispirazione di una nuova ricetta in mente e che alle quattro del mattino - abitiamo sopra il ristorante - scenda in cucina a provarla. Non può resistere”, racconta la moglie Annelies, che si occupa della sala. In cucina Bacher lavora da solo, è la brigata di se stesso. Nella sala, con una trentina di coperti, tutto è disposto a perfezione, con grande cura del dettaglio, a cominciare dal cestino del pane, in cui compare il pane carasau sardo, quello alle spezie e allo yogurt, grissini con semi di sesamo o di papavero.

“I dettagli sono importanti, predispongono a tutto quel che farà seguito”. In questo incessante lavoro, come un laboratorio di ricerca che non si ferma mai, anche il giorno di riposo (il lunedì) è spunto per nuove idee. Magari incontrandosi con altri chef, tutti riuniti festosamente in una malga. La montagna e le sue altitudini, per uno chef sempre in vetta.