"Sono nata in Cina nel 1984, sono arrivata a Milano all’età di 4 anni e sono molto orgogliosa di aver frequentato il liceo classico. È lì infatti che si sono formati il mio impegno e la mia coscienza civile. Dopo la laurea ho cominciato un percorso che ha come obiettivo una società multiculturale e inclusiva, prima facendo l’interprete di cinese/italiano, poi lavorando nella mediazione culturale per enti e associazioni, fino ad approdare al mio attuale lavoro di coordinatrice di una scuola di lingua cinese all’interno di una realtà che sta in bilico tra le due culture, l’Italia e la Cina. Il cammino è arduo ma ci stiamo provando, anche con amici cinesi e italiani che hanno a cuore il tema. Tutti noi siamo convinti che una tappa fondamentale sia la conoscenza reciproca, quindi ognuno nel suo settore cerca di promuovere e sviluppare azioni volte a una reale conoscenza dell’altro, della sua storia e delle sue tradizioni.

Che cosa ha mantenuto della tradizionale figura della donna cinese e che cosa ha rifiutato …

La figura della donna cinese nelle comunità in Italia ha ancora profonde influenze confuciane, mi ricordo una frase di mio padre che diceva: "ci sono cose che una donna può fare e cose che non può fare", io trasformerei il verbo “potere” in “volere”. A differenza di tante mie coetanee di seconda generazione io non ho avuto un “percorso regolare”, matrimonio a venti-venticinque anni e due/tre figli entro i trentacinque, e non sono diventata un’imprenditrice ma ho scelto un lavoro nel mondo del sociale. Mi piace invece molto l’immagine di femminilità della Cina classica, una donna dal carattere equilibrato e posato, una figura bella e slanciata, un giunco. Slegata dagli aspetti maschilisti e patriarcali non è male, e sarebbe bello riuscire a fonderla con caratteristiche occidentali, come ad esempio la fiducia in se stessi e la vivacità.

Che differenze ci sono tra l’uomo cinese e l’uomo italiano/milanese?

L’uomo cinese sa che ci sono dei doveri e delle responsabilità verso la propria famiglia quali la sicurezza economica o avere dei discendenti. In una società gerarchizzata con dei ruoli stabiliti infatti è più facile che l’uomo sia cosciente dei suoi doveri. L’uomo italiano no, può essere infatti anche molto irresponsabile verso la famiglia o verso la società, però ha un’immaginazione e una vitalità che sono contagiose e affascinanti. Per me è stata più attraente la libertà della vita con un uomo italiano e per questo ho scelto un marito italiano.

Single, coppia, famiglia: qual è il futuro della donna?

La libera scelta è il futuro della donna, deve esserlo. Penso che la nostra più grande battaglia sia quella di affermare la nostra libertà e l’autodeterminazione. Scelgo se essere single, moglie, partner, madre. Anche qui il cammino è ancora arduo, sebbene ci sia stato il femminismo che ha aperto la porta. La società purtroppo sembra criticare qualunque modello, se sei single ti chiedono perché sei single, ecc. Forse è arrivato il momento di smettere di chiedere e di lasciar agire.

Ci parli della sua esperienza di insegnante e mediatrice culturale …

Sono stata mediatrice fino al 2014, ora sono docente di lingua e cultura cinese e coordinatrice didattica di una scuola di lingua cinese, la Scuola di Formazione Permanente della Fondazione Italia Cina. È un bellissimo lavoro, stimolante e appassionante. Certo, c’è la fatica di trovarsi sempre su un palco quando insegni, ma anche tanta soddisfazione quando vedi che sei riuscita a visualizzare un’immagine non stereotipata e negativa della Cina. Come coordinatrice di una scuola ci sono più opportunità di centrare l’obiettivo perché puoi realizzare dei progetti a lungo termine, hai la possibilità di organizzare eventi e collegare tante realtà che hanno a che fare con la Cina e convogliarle in questo obiettivo.

Ha detto che ha voluto scegliere di fare cose più utili che redditizie, andando controcorrente alla sua tradizione familiare, forse la mentalità cinese è portata più all’azione che alla meditazione?

La comunità cinese che c’è in Italia ha origini contadine, i nostri genitori hanno sempre dovuto lottare con una terra tradizionalmente avara, inevitabile quindi che questa prima generazione di cinesi arrivati in Italia abbia fatto di tutto per uscire dalla povertà attraverso un duro lavoro e faticoso risparmio. Inevitabile quindi il desiderio di riscatto sociale da parte delle seconde generazioni che significa gestire le attività di famiglia che, se fatto bene, è molto remunerativo. Io non sono un’imprenditrice, la parte commerciale mi mette ansia e ho scelto un lavoro “altro”, guadagno uno stipendio e sono una dipendente, che ai miei occhi è sufficiente ma non altrettanto a quelli della mia famiglia dato che le aspettative erano altre.

Luci e ombre della Cina di oggi …

A mio parere la Cina di oggi è alla ricerca di equilibrio, tra passato e presente, modernità e tradizione, città e campagna. La Cina è cresciuta talmente tanto e talmente in fretta in questi ultimi dieci anni che nella stessa città si vedono moderni grattacieli accanto a baracche in demolizione e manager in giacca e cravatta mangiare alla stessa trattoria di operai. Non c’è stato un periodo di transizione. Non è facile governare un gigante di questa portata e in un certo senso il governo è stato abile nel mantenere una sostanziale stabilità interna. Ovviamente, la Cina ha millenni di storia e validi esempi di grandi strateghi come possiamo dire sia l’attuale Presidente Xi Jinping il cui motto è “Make China Great again”.

Perché molti cinesi hanno scelto di venire in Italia e in Europa?

C’è stata una mostra al Mudec lo scorso anno, risultato di una ricerca sull’argomento, che racconta i cento anni della comunità cinese in Italia. Negli anni Venti del secolo scorso infatti arrivò in Italia un primo gruppetto pieno di spirito d’avventura. I grandi flussi del 1970-1980 e 1990 furono per la maggior parte ricongiungimenti familiari, intere famiglie si spostarono da un gruppo di villaggi nella provincia dello Zhejiang per arrivare nelle grandi e piccole città italiane ed europee creando una rete di comunità cinesi in tutta Europa. È questo il bello, io ho parte della famiglia in Spagna così come amici in Francia, Belgio, Olanda e Germania. L’Italia i miei la scelsero prevalentemente perché negli anni '80 ci fu una grossa sanatoria e la possibilità di stabilirvisi e avere una vita diversa. È adesso che l’Italia viene scelta da tanti studenti cinesi come meta preferita dei loro studi, per la musica, l’arte, il design, lo stile di vita italiano insomma.

Che cosa le piace e che cosa non le piace del sistema di vita italiano/milanese?

Mi piace la possibilità della libera scelta (e di conseguenza l’esercizio della democrazia). Crescendo in un ambiente confuciano con valori quali la forte gerarchia dei ruoli e un rigido codice di comunicazione la libertà che respiravo a scuola negli anni della formazione mi sembrava importante quanto l’aria. Poi però, crescendo, mi sono resa conto che c’erano altre barriere e altre restrizioni, più invisibili, ma pur sempre reali. Ne sono rimasta molto delusa anche se ho trovato il modo di conviverci. Mi piace molto la rilassatezza della vita italiana al contrario di quella cinese dove l’autrocontrollo è molto importante, si lavora tanto e ci si concede molto poco, anche a livello mentale, è come se non ci si riposasse mai. Mi ricordo che la prima volta che andai in vacanza con mio marito, allora fidanzato, ero terrorizzata perché non sapevo cosa si “doveva fare” in vacanza.

Milano è stata in passato una città accogliente con i cinesi, basti pensare al quartiere cinese che ruota attorno a via Sarpi, lo è anche oggi?

È vero, io sono stata accolta molto bene, ho vissuto una vita scolastica serena da questo punto di vista. Però erano gli anni '90 del secolo scorso e i bambini stranieri erano ancora pochi. Negli anni di mediazione sociale ho riscontrato un grande timore da parte degli insegnanti nella gestione dei bambini non italiani doc. Da una parte c’era quella di potere in qualche modo offendere una sensibilità diversa poiché non conoscevano i mondi di provenienza dei bambini e dall’altra una cecità di visione, sempre dovuta alla poca formazione. Mi ricordo una maestra che non capiva perché il bambino cinese non la guardasse negli occhi e che davanti alla mia spiegazione sulla gerarchia confuciana, mi rispose che era dispiaciuta perché gli occhi sono lo specchio dell’anima. È stata a suo modo una scena divertente.

Nella comunità cinese milanese prevale la linea dell’integrazione o quella della chiusura in sé?

La chiusura che si riscontra nella comunità cinese è da una parte una caratteristica propria delle comunità di immigrati e dall’altra una particolarità del sistema lavorativo dell’etnia cinese che prevedeva di lavorare in attività aperte dai connazionali. Questo sistema è ormai scardinato, infatti si vedono persone di altra nazionalità dipendenti delle attività cinesi. Poi le nuove generazioni hanno diversificato le attività commerciali: ci sono negozi di telefonia e assistenza elettronica, negozi di abbigliamento, agenzie di viaggio. Oppure si cercano altre strade come un lavoro dipendente all’interno di grandi aziende, si fondano attività di ristorazione di alto livello riscoprendo la tradizione culinaria della madrepatria o fondano aziende di fornitura elettrica come la Chinapower. Ci sono anche associazioni di giovani cinesi come Associna o l’Unione Nazionale degli Imprenditori Italo Cinesi (UNIIC), che vogliono e possono lavorare per una società sempre più davvero multiculturale.