Quattordici orizzontale: "odia le novità", dieci lettere. Indimenticabile rompicapo di una giornata al mare, sotto un ombrellone con la matita in mano alle prese con un cruciverba difficilissimo. Fui costretto a incrociare ben dieci definizioni verticali per vedermi spuntare nelle caselle orizzontali la soluzione: misoneista! Provai una certa perplessità di fronte alla scoperta di questa parola. La perplessità sfumò solo la sera a casa col conforto del dizionario, che mi rimandò a misoneismo: “avversione pregiudiziale nei confronti di ogni novità e innovazione”.

Mi si affacciò nella mente il ricordo di uno spassoso articolo intercettato tantissimo tempo prima sull’indimenticabile Selezione dal Reader’s Digest, che in Italia è stata pubblicata dal 1948 al 2007. Era uno scritto della fine degli anni Cinquanta dell’umorista americano Corey Ford, che confessava la sua difficoltà ad adeguarsi alle innovazioni anche più semplici della vita moderna. La prima era quella di familiarizzare col telefono automatico, rimpiangendo i tempi in cui qualunque comunicazione doveva passare attraverso la richiesta a un centralino, con qualche perdita di tempo, ma, in compenso, con la umana possibilità di scambiare un saluto e una chiacchiera veloce con la centralinista.

Difficile oggi, abituati come siamo alla fulmineità delle comunicazioni, immaginare qualcuno che rimpianga tempi così lontani e così tanto celebrati dai film americani. Ma come dimenticare i nostri beniamini del cinema americano, come Humphrey Bogart, Gary Cooper, Cary Grant alle prese con una centralinista mentre pronunciano la famosa frase: “Signorina mi dia il numero… ”? O le svenevoli dive bionde languidamente impegnate in colloqui d’amore impugnando una cornetta bianca?

Corey Ford era messo in difficoltà anche dalle prime rivoluzionarie porte a cellula fotoelettrica, che – spiegava – si aprivano spontaneamente mentre già si era sporto in avanti col braccio per l’istinto di spingere il battente con un naturale gesto, col risultato di finire inesorabilmente a terra. Ce l’aveva anche con la mania estetizzante a tutti i costi delle automobili di quegli anni che rendeva leve e manopole di comando tutte uguali e indistinguibili l’una dall’altra; raccontava con un pizzico di fantasia, che gli era successo per questa indistinguibilità di avere aperto il cofano anteriore della macchina invece di azionare il freno a mano; non aveva potuto evitare un tamponamento, ma almeno quell’inaspettata apertura gli aveva risparmiato la vista dell’incidente davanti a lui. Umorismo d’altri tempi, si potrebbe commentare, quello dello scrittore americano che, alla fine, più che celebrare il passato e presentarsi come incorreggibile misoneista, prendeva in giro i suoi connazionali per la mania d’essere sempre a tutti i costi schiavi dell’innovazione. Però, per quanto le sue divertenti memorie risalgano alla fine degli anni Cinquanta, non si può non riconoscere ad esse una qualche attualità; pensate, per esempio, al nostro imbarazzo di fronte alle porte di comunicazione tra uno scompartimento e l’altro dei treni, perché non si può mai prevedere se si apriranno da sole, se si dovrà dare il comando con il pulsante alla sua destra o se non si apriranno affatto.

Ma a pensarci bene anche le automobili dei nostri tempi, ci creano qualche problema per l’eccesso di design avveniristico. Vi sarete certamente trovati ospiti nell’automobile di un amico, col bisogno di aprire il finestrino, e avete vergogna di chiedergli dove mai si nasconda tra cruscotto, parasole e comandi vari il maledetto pulsante per compiere un’operazione semplice, che una volta si faceva molto naturalmente girando una manopola ben visibile e dall’uso inequivocabile. O vi sarà capitata la sventura – che oggi si tratta di sventura! – di aver dimenticato il telefonino a casa e di chiedere all’amico di utilizzare il suo. L’amico accetta con evidente disappunto, come se stesse prestando la cosa più preziosa che ha, e vi trovate tra le mani un oggetto che ha un funzionamento completamente diverso dal vostro, sperando invano che quell’inerte pezzo di plastica dia un segno di vita.

Insomma, i prodigi della tecnica contemporanea fanno guadagnare sicuramente molto tempo, ma spesso ne fanno perdere altrettanto per captare i misteri del loro funzionamento. Pensate al rischio che si corre, tanto per dirne uno, d’ essere svegliati di soprassalto nel cuore della notte dal cellulare sul quale s’è inavvertitamente programmata la sveglia.

E sugli autobus? I fattorini di una volta, non solo bigliettai ma anche spesso domatori della folla inferocita dei viaggiatori, sono stati sostituiti da macchinette obliteratrici che possono essere gabbate assai agevolmente. E, al contrario, quante volte la biglietteria automatica della metropolitana inghiotte le vostre monete senza darvi il biglietto?

Tutto oggi è molto più comodo rispetto al passato. Le tapparelle e le saracinesche salgono e scendono elettricamente; ci sono aspirapolveri che vanno in giro da soli per la casa; le luci dei servizi igienici si accendono e si spengono automaticamente senza interruttore. Lavatrici, frullatori, sveglie e perfino le scope elettriche sono governate da centraline e da programmi, corredati da foglietti di istruzione in diciassette lingue diverse. Come si fa, rispetto a queste comodità, ad essere misoneisti? Ma guai quando il programma che governa questi oggetti a metà strada tra elettrodomestico e ordigni bellico fa i capricci! Come dire che il progresso e la modernità hanno i loro costi e i loro dolori.

Ci domandiamo allora se fossero da considerare misoneisti gli amanuensi e i miniaturisti del quindicesimo secolo che disprezzavano i primi libri a stampa, gli incunaboli, perché apparivano loro scialbi e insignificanti rispetto alla bellezza e alla unicità delle loro opere rigorosamente vergate a mano. Sta di fatto che proprio agli albori della stampa a caratteri mobili, in tutta Europa sono stati prodotti forse i più stupefacenti manoscritti miniati: quasi il canto del cigno di un’arte il cui destino appariva segnato. E forse potrebbero essere accusati di essere, se non misoneisti, almeno conservatori obsoleti quei lettori che si ostinano a preferire il libro cartaceo, tattile e odoroso, a quello elettronico, algido e freddo.

Nell’incertezza del futuro, tra innovatori e misoneisti, viene istintivo ricordare una frase ironica e brillante, paradossale e dissacrante, di Leo Longanesi, che nel dubbio di scelta tra innovazione e conservazione, confessava: “Sono conservatore in un paese dove non c’è niente da conservare”.