Elena la distruttrice siede come Proserpina in trono brandendo fuso e conocchia d’oro. A terra la lana viola.

(Hermes, un saggio visionario, Giacomo Maria Prati, 2016)

Penelope. Un nome che si intreccia frequentemente con la “rete sacra” di relazioni da cui emerge Odisseo e che dà senso alla sua peregrinatio. “Penelope” significa anche “rete sulla faccia”, segno delle Menadi secondo Graves, ma anche corrisponde al nome di una anitra selvatica striata di rosso, e rosso ira è il senso dell’epiteto iniziatico: Odisseo. Anche la tradizione che Penelope si unisse ad Hermes per generare Pan, lontano Odisseo, corrisponde alla natura ninfica e sacerdotale di Penelope. Ninfe e satiri sono speculari nel culto mascherato, notturno e meridiano, della grande dea Femminile. Sia Elena che Penelope hanno visioni e profetizzano. Elena profetizza a Telemaco raccontando la visione dell’aquila che cattura l’oca (XV, 173) immagine a lei cara in quanto ricorda le circostanza della sua nascita divina dall’Uovo di Nemesi, e interviene con autorità fugando i dubbi e l’incertezza di Menelao, mentre Penelope racconta ad Odisseo mascherato da povero il sogno ispirato sulla vendetta dell’eroe (IXX, 535-554) Penelope sembra esperta di sogni e parla di due porte: una d’avorio e una di corno. Solo la seconda porta dona sogni veritieri.

Il corno è segno di Artemide e della dea lunare. E di corno era fatto l’arco di Odisseo. Non a caso sarà Penelope e non Telemaco a portare l’arco di Odisseo per la prova rituale, simile alla prova che Eurito aveva posto per lo sposalizio di Iole. L’arco infatti viene dal Re Eurito, figlio di Melaneo e Stratonice, Re di Ecalia in Tessaglia e padre di Iole, amata da Eracle, l’eroe che dà gloria ad Hera, l’eroe che fila e si veste da donna. Eurito era il nipote di Apollo, il nume arciere, ed era a sua volta noto per la sua abilità nell'uso dell'arco: alcuni dicono che sia stato proprio Eurito a insegnare a Eracle a utilizzare quell'arma. L’arco quindi, insieme all’ulivo e insieme ad altri intrecci di stirpe, avvicinano un'altra volta Odisseo a Eracle. Di ulivo era fatto il tronco con cui acceca Polifemo e usa un ramo di ulivo per nascondere la sua nudità a Nausicaa.

Riguardo poi il carattere notturno e infero di Penelope basti ricordare come l’ombra di Anticlèa, la madre di Ulisse, raccomanda all’eroe di ricordare tutto ciò che vede nel regno dei trapassati per poi raccontarlo a Penelope, una volta ritornato (XI, 223-224). È infatti la Regina delle ninfe d’occidente, Penelope, colei che deve giudicare le prove iniziatiche del Re sacro. La visione dell’Ade risparmia Odisseo dal sacrificio e lo riaccredita ancora Re della terra delle ninfe. Ecco quindi che l’"aura" degli sposi si chiarisce. Si tratta di Regina e Re sacri. Penelope non cita mai divinità maschili, ma nel momento del bisogno evoca Afrodite, Artemide ed Hera, le nutrici delle figli di Pandareo, e alle prime due viene descritta assomigliare quando si alza dal talamo per mostrarsi a tutti i pretendenti (XVII, 36-37). Oltre a ciò Penelope sembra nascondersi nella stanza da letto, passando buon parte del giorno sul talamo (XVII; 103), oltre a incontrare di notte Odisseo mascherato. Vive in una sorta di “trance” oracolare. Sia Penelope che Odisseo non hanno problemi a muoversi di notte, sacra a Ecate, e sembrano alternarsi nel sonno e nella veglia (XX, 56-57). Quando dorme Penelope veglia Ulisse e viceversa. Solo con Penelope dormiente di sonno divino Odisseo può sterminare i principi delle Isole.

Specularmente la prova di Odisseo sul Parnaso a caccia del cinghiale, preparata e giudicata da Autolico, figlio di Hermes, rappresenta una prova iniziatica diffusa fra i Re sacri, basti pensare alle imprese di Eracle e alla caccia al cinghiale calidonio. Anche Idomeneo, Re di Creta, è connesso al cinghiale, portandone le zanne sull’elmo. Da Ercole a Giacobbe fino al Re del Graal la ferita alla coscia è poi segno di predilezione divina e di combattimento sacro. Così come la “ninficità” di Odisseo viene confermata dalla sua lotta vittoriosa contro Filomelide, Re sacro e ninfico di Lesbo il cui nome significa: “amico delle ninfe delle mele” il quale sfidava tutti coloro che attraccavano nella sua isola. Odisseo, mentre navigano verso Ilio, lo sconfigge, quindi prende il suo posto.

Penelope era figlia di naiade, Polifemo figlio di ninfa. Nella grotta di Calipso sorgano ruscelli e domina il prezzemolo, segno di passaggio ultraterreno. Tutto si richiama e si connette. Laerte, ma anche lo stesso Odisseo vestito da povero, ricordano Crono-Saturno, vestito da contadino o ortolano. Odisseo, nel rispondere agli insulti di Eurìmaco, cita la saturnina falce (XVIII, 368) e a Itaca si erge la “roccia del corvo”, simbolo di Crono e di Atena. Che Odisseo sia un iniziato ne troviamo conferma proprio nel segno della follia, e della follia raccontata quale follia simulata. Quando cerca di sottrarsi all’impresa guerresca contro Ilio Ulisse si veste del cappello a mezzo guscio (che ricorda l’uovo di Leda) e conico (come gli iniziati di Samotracia), e guida un bove e un asino, secondo Graves, Zeus e Crono, spargendo sale all’indietro, segno di sapienza segreta e di viaggio senza ritorno. Come Penelope raggiunge l’estremo occidente, regnando su Itaca, così Elena, solare sacerdotessa di Afrodite, raggiunge l’estremo oriente di Ilio.

Le due sacre e terribili cugine, evocatrici di energie distruttive, sembrano dover seguire una missione esoterica precisa tesa a impedire che il concludersi del ciclo degli eroi e dei semidei escluda la sopravvivenza del culto della Dea. Penelope “prova” Odisseo, Elena Menelao. Dopotutto la madre di Menelao era regina cretese nipote di Minosse (nella stirpe delle due copie di sposi torna sempre Creta) e subì la prova dell’affogamento in mare come Penelope. Penelope nei suoi dialoghi notturni cita due volte il cretese Pandareo, figlio di Hermes, amico della stirpe di Odisseo, e della ninfa Merope. Afrodite sfama le pandaree con cacio, miele e vino, i cibi ninfici di Zeus nella grotta dell’Ida.

Anche la stirpe di Menelao e di Elena corre parallela a quella di Penelope e Odisseo. Menelao discende da Zeus, Tantalo e dalla Pleiade Taigete, mentre Elena discende per via materna da Eolo e da Partaone Re di Calidone, per via paterna da Tindaro (in realtà Zeus) figlio di Ebalo e della ninfa Bateia (da altre versioni, di Periere e di Gorgofone). Bateia secondo alcune versioni era anche la naiade madre di Dardano. Secondi questo approccio Elena discendeva dalle ninfe genitrici di Ilio. La prima moglie di Priamo, Arisbe, dopotutto era figlia di Merope. Questo potrebbe spiegare la libera presenza rituale e religiosa di Elena a Ilio, non accettata dai nuovi Re achei e patriarcali, secondo i quali le donne e le moglie andavano “localizzate”, “recintate” nella case maschili degli sposi, e non dovevano più intrattenere rapporti con i nuovi “nemici” di Ilio, ultimo grande regno matriarcale.