Wolfgang Laib è un artista eclettico. Gli piace indagare il mondo partendo dalla natura, ma non ama riprodurla. I suoi strumenti sono lontani dai colori e da ogni altro mezzo dell'arte tradizionale. Lui parla attraverso la cera, il polline, il latte, il riso. E il suo nome spicca nel panorama delle avanguardie internazionali, da Sidney a New York, passando attraverso Venezia, Zurigo, Parigi e Londra.

La chiesa di Santa Maria della Spina è un prezioso gioiello medievale adagiato sulle sponde pisane dell'Arno. Viene da lontano: ha viaggiato otto secoli per arrivare fino a noi, riuscendo a stento a salvarsi dalle piene dell'Arno e poi costretta a subire uno spostamento per essere messa in sicurezza. Le sue guglie gotiche sono un inno al classicismo, le statue dei santi che adornano la sua facciata ne fanno un esempio della tradizione architettonica pisana, la Reliquia della Spina, frammento della corona di spine di Cristo, che per anni vi è stata conservata, è il simbolo di un'antichità che si perde nella leggenda e nella fede.

Possibile coniugare due esperienze così distanti, non solo nel tempo, ma anche nell'espressione artistica? "Bisogna stare in silenzio e bisogna aver pazienza per capire" è la risposta di Wolfgang Laib che a lungo è rimasto in silenzio dentro la chiesa prima di installare direttamente sul pavimento sei piccole barche fatte di cera d'api. "Santa Maria della Spina è un bellissimo spazio intimo, con proporzioni perfette e pieno di spiritualità. Queste barche sono simbolo di un viaggio, non di un viaggio fisico, ma di un viaggio verso l'altra sponda...".

Somewhere Else è il nome dell'installazione di Laib che resterà all'interno della chiesa, eccezionalmente aperta per questa occasione, fino al 5 giugno. Uno stridente contrasto tra opere contemporanee e un luogo carico di significato storico che l'Università, la Scuola Normale Superiore e il Comune di Pisa, in collaborazione con la Galleria Michela Rizzo di Venezia, hanno voluto proporre, in maniera, forse, anche provocatoria. Una sorta di corto circuito da cui far scaturire nuovi scenari, ma anche nuove discussioni sull'arte e la sua funzione. "Un tempo l'arte serviva a raccontare le storie dei Vangeli e della Bibbia, o a ritrarre la propria immagine e quella dei propri cari, oppure a riprodurre paesaggi", ricorda Laura Mattioli, che ha curato l'installazione. "Direi che oggi lo spazio dell'arte è quello che ci aiuta a fare un passo indietro rispetto a tutti gli affanni quotidiani, un luogo da cui lasciar fuori lo stress e restare alcuni minuti a riflettere prima di ritornare alla quotidianità".

Un'arte che è anche filosofia, allora, che serve a stimolare il pensiero. Non tanto e non più con i colori, ma, anche con i profumi, come quello della cera e del polline che si respirano entrando oggi nella chiesa di Santa Maria della Spina. D'altra parte quella di Laib è una cultura nutrita dalle filosofie asiatiche. L'Oriente per lui non è solo una meta, ma anche una casa, perché la sua vita si divide tra il sud dell'India, dove ha un atelier, e un villaggio della Germania. A lui, che è medico e figlio di medici, non è mai bastato conoscere l' uomo nel suo aspetto fisico, perché è la dimensione spirituale a coinvolgerlo di più. "Da medico potevo occuparmi solo del corpo, ma la nostra esistenza non può essere ridotta alla sola materia", dice parlando di quell'avventura cominciata subito dopo la laurea per allargare i suoi spazi di conoscenza. Un'avventura che non si è mai conclusa, alla ricerca dell'equilibrio e dell'armonia tra la natura e l'opera dell'uomo, una sorta di ricongiungimento mistico e intellettuale.

Per questo nelle sue opere utilizza materiali di origine vegetale o animale coinvolti nei processi dell'alimentazione e della sopravvivenza. Elementi degradabili, come il latte, oppure effimeri, come il polline, ma nello stesso tempo essenziali per la vita. Eccole, allora, dietro l'apparente semplicità della sua arte, quelle domande che Laib pone a se stesso e a tutti noi investigando i significati più reconditi che stanno dietro le sagome essenziali delle sei imbarcazioni di cera. Cosa significano quelle barche? E dove vanno? Se glielo chiedete risponderà che non lo sa, ma che questo ha "sentito" quando ha ascoltato in silenzio il messaggio di quella chiesa. E se la reliquia che lì era custodita, portata in città da un mercante nel lontano 1333, indica sia la sofferenza che la redenzione, così le imbarcazioni significano il tormento del trapasso e insieme la vita, indicata dal polline da cui proviene la cera d'api di cui sono composte. Valori cristiani, dunque, ma anche universali. E l'arcivescovo di Pisa, monsignor Giovanni Paolo Benotto, ha permesso per una settimana il ritorno straordinario della Reliquia della Spina sull'altare dove è stata conservata per secoli. E il contrasto tra vecchio e nuovo è diventato dialogo.