Less is more. Via i fronzoli, via qualsiasi segno di opulenza o di graziosa civetteria; via tutto quello che è in più rispetto all'essenziale, che non ha niente a che fare con l'efficienza. Il minimalismo ormai è un principio della "modernità", simbolo di tempi, i nostri, in cui la sostanza prevale sulla forma, e in cui, un po' per moda, un po' per necessità, il superfluo viene orgogliosamente detestato. A cominciare da Ikea, "regina" dell'arredamento "pop" senza inutili ghirigori. Per continuare con Ryanair, Easy Jet e le molte compagnie low cost moltiplicate nell'arco degli ultimi 20 anni, i cui voli "no frills" offrono spazi di seduta ridotti come i loro prezzi, servizi assolutamente "concisi" e tabelle di marcia che farebbero invidia a qualsiasi generale dell'esercito prussiano. A parte l'abbigliamento, sempre più razionale e pratico, persino l'informazione ha trovato la sua bandiera nella "filosofia" del "less is more": poche righe per dare le notizie in pillole e in tempo reale sul web, funzionali ai ritmi di vita sempre più incalzanti.

La rivoluzione della geometria

Ma se questo è il XXI secolo, chissà cosa deve essere sembrato agli abitanti di una sonnacchiosa Utrecht quel "cubo" bianco, grigio e nero con strane rifiniture in rosso e giallo, pieno di vetri, apparso nel primo squarcio del Novecento alla fine di Prins Hendriklaan, ultima casa alla periferia della città prima di un grande parco. Probabilmente il frutto di un architetto bislacco e di una giovane vedova piena di soldi e di idee fuori dalla norma. Anzi, per la verità, il primo non era nemmeno un architetto, ma un costruttore di mobili che aveva già dato i natali a una sedia altrettanto stramba, totalmente asimmetrica, già nota negli ambienti delle avanguardie artistiche come Berlinchair, e un'altra strana poltrona di legno con la seduta blu e lo schienale rosso.

Ma la Storia, come spesso accade, aiuta gli audaci. E audace Gerrit Thomas Rietveld lo era davvero andando allora alla ricerca di spazi geometrici, definiti attraverso ritmi di rettangoli e blocchi di colore. Nessun rispetto per le convenzioni architettoniche, una rivoluzione culturale che le avanguardie olandesi, pur senza perdere di vista ciò che accadeva intorno a loro, dal Bauhaus in Germania, al Costruttivismo russo fino al cubismo imperversante a Parigi, mantenne sempre con caratteristiche proprie. Che non erano soltanto artistiche, ma anche sociali. Lo sviluppo dell'industria aveva infatti portato alla crescita delle periferie urbane dove si ammassavano i più poveri, quelli che non si potevano permettere le belle case a mattoncini rossi con i tetti degradanti dove vivevano i ricchi. E Rietveld voleva mettere la sua architettura proprio al servizio della crescente classe operaia. Lui, come Piet Mondrian, icona dell'"astrattismo", faceva parte di quel gruppo che scelse di chiamarsi De Stijl, o "neoplasticismo", come noi lo abbiamo tradotto. L' obiettivo era quello di sbarazzarsi di tutti i dogmi e promuovere nuove concezioni urbanistiche basate sui valori del socialismo internazionalista.

Ovviamente ogni medaglia ha il suo rovescio e i fatti concreti sono sempre pronti a smentire i propositi. Così se Rietveld pensava a un nuovo rapporto tra uomo-ambiente-natura da offrire ai meno abbienti, in realtà riuscì a mettere in pratica alcune delle sue idee solo grazie ai soldi dell'alta borghesia un po' snob che voleva costruirsi ville "diverse". La signora Truus Schroder fu la prima a credere in lui, forse perché se ne innamorò o forse perché amava vivere fuori dagli schemi. Così, mettendo insieme le esigenze della signora e le teorie di Rietveld, nacque la casa Rietveld-Schroder, apparizione sorprendentemente moderna in un paesaggio bucolico alle soglie di una città antica. Certo, nel 1924, quando fu costruita, le critiche locali non mancarono, e nemmeno la curiosità, in parte dovuta alla "strana" costruzione, in parte alla "impropria" relazione tra l'architetto e la proprietaria, protagonisti di un appassionato amore che continuò per tutta la vita, nonostante lui avesse moglie e sei figli. Comunque avevano visto lontano: quella casa, osannata dalle avanguardie e denigrata dalla tradizione, era l'alba della modernità.

Curiosità ed eventi

Quest'anno, centenario della nascita di De Stijl, l'Olanda celebra l'evento con una serie di manifestazioni in tutto il Paese che si susseguiranno per l'intero 2017 con un unico comune denominatore che si chiama Da Mondrian al Dutch Design. Gli attori di questa grande kermesse sono tanti, tra cui Theo van Doesburg, Bart van der Leck, Vilmos Huszar e gli altri componenti del movimento, tutti "combattenti" della rivoluzione che avrebbe portato all'era moderna. Amsterdam e l'Aia, Otterlo e Utrecht, Amersfoort e Eindhoven, così come Leiden e Gelderland sono i teatri di manifestazioni in cui si ricostruisce una storia che è diventata di tutti, trasformandola anche in un'occasione per visitare l'Olanda. E se Eindhoven si concentrerà sul design contemporaneo, a Leiden, dove De Stijl nacque con la fondazione dell'omonima rivista, dall'8 maggio al 4 giugno è previsto addirittura un festival dedicato a Mondrian con recite teatrali, musica e danze in cui si assicurano ritmi neoplastici.

A Utrecht, città dove Rietveld è nato e vissuto, il Centraal Museum ha messo in mostra la collezione dei suoi mobili e modelli in scala, lettere, appunti, libri, fotografie e disegni che ricostruiscono il percorso e anche la vita dell'artigiano-architetto. Ci si può persino sedere sulle sue famose sedie e da lì godersi il panorama di uno dei canali della città. Per raggiungere la casa Rietveld-Schroder, conservata dal Centraal Museum, è sufficiente una bicicletta. Il servizio turistico in piazza del Duomo fornirà tutte le informazioni per noleggi individuali oppure per giri guidati su due ruote alla scoperta anche delle altre opere di Rietveld (attenti agli incroci, ma non per le auto bensì per le altre biciclette che sfrecciano a stormi...).

La casa trasformista

Se dall'esterno la villetta, con il suo tetto piatto, le finestre orizzontali, la forma un po' tozza e i colori pastello che spuntano da alcuni particolari, sovvertiva totalmente i canoni di allora, l'interno va al di là persino di quanto di più moderno si possa pensare cento anni dopo. Tutte le finestre si oscurano per la notte con pannelli colorati e rimovibili che durante il giorno hanno posizioni ben definite nella casa senza che vengano notati. La porta per l'accesso al piano superiore funziona con un saliscendi che può essere azionato sia dal basso che dall'alto e, una volta aperta si trasforma in una sorta di parete accessoria. Tutto è fluido: persino il bagno che appare e scompare nelle varie metamorfosi dell'appartamento. Sotto alcune finestre sono state sistemate mensole "invisibili", che appaiono come elementi di arredo ma che si trasformano velocemente in piani di appoggio oppure, più inclinate, diventano leggii. Le varie mura divisorie del primo piano possono "scivolare via" a seconda delle necessità, del sole, delle stagioni o del numero degli abitanti della casa. Anche i letti scompaiono e l'intero piano superiore diventa un unico ambiente che attraverso le grandi vetrate si protende verso l'esterno. Quando la casa venne completata era in mezzo agli alberi, proprio come Truus e Gerrit l'avevano voluta. Ma dopo pochi anni una strada fu costruita lateralmente e infine, nel 1963, una sopraelevata della tangenziale di Utrecht prese il posto dell'asfalto precedente. Segno che, nonostante il successo internazionale delle idee di Rietveld, la municipalità stentava ancora a digerirle e nei piani urbanistici non teneva conto delle sue opere. D'altronde l'edificio non era visto con simpatia neanche dai vicini. Si racconta che un giorno Hanneke, figlia nata dal matrimonio giovanile di Truus con l'avvocato Schroder, tornò in lacrime perché aveva dovuto dire agli altri bambini che lei non abitava in quella "casa assurda", altrimenti avrebbero riso di lei.

L'eredità di Mondrian

È vero che guardare la villetta di Prins Hendriklaan è come stare davanti a un quadro di Mondrian a tre dimensioni, ma in realtà Rietveld e Mondrian sembra non si siano mai incontrati. La stessa "filosofia", l'identico alfabeto geometrico, la ricerca di razionalità e chiarezza così come certamente un'influenza reciproca, approdarono a risultati simili, ciascuno nella propria disciplina, pur senza contatti diretti. Eppure Mondrian era nato a pochi chilometri da Utrecht, nella tranquilla cittadina di Amersfoort dove il padre insegnava alla scuola elementare. E proprio lo scorso 7 marzo, giorno del compleanno del grande artista, la casa natale di Mondrian è stata aperta al pubblico dopo mesi di ristrutturazione, proponendo un viaggio dentro il percorso artistico del pittore anche attraverso tecniche audiovisive con cui entrare direttamente nei suoi processi mentali, non sempre razionali come i risultati che voleva ottenere. I più giovani hanno a disposizione anche uno spazio in cui potranno creare opere ispirandosi al suo stile. Dal 6 maggio fino al 3 settembre alla Kunsthalkade della stessa città una mostra si occuperà di quei colori che sono diventati simbolo del movimento e parlerà dell'armonia che la loro combinazione doveva produrre.

Ma gli amanti di Mondrian avranno all'Aia il loro tempio. Il Gemeentemuseum, che custodisce la più ampia e importante collezione al mondo dei suoi quadri, ha già in atto un'esposizione che confronta le opere di Mondrian con quelle di Bart van Leck e, a partire dal 3 giugno fino al 24 settembre, esporrà 300 pezzi nella mostra The Discovery of Mondrian; dai primi ritratti, ai paesaggi, dagli anni del cubismo alle sue prime composizioni in blu, rosso e giallo fino all'ultimo Victory Boogie Woogie, rimasto incompleto a causa della morte improvvisa dell'artista per polmonite nel 1944. Certo, dietro ogni artista, dietro ogni opera, c'è un uomo con la sua vita e le sue contraddizioni. Contraddizioni che non mancavano a Piet Mondrian, austero protestante che sempre e ovunque ha cercato razionalità e armonia, trovandola alla fine nel caos di New York, in quelle linee geometriche dello skyline che vedeva dalla finestra del suo atelier. Lui che ha trascorso periodi interi della vita completamente isolato alla ricerca dell'essenza del mondo, mentre in altri momenti amava la vita sociale, i locali jazz e la danza. Lui che in Olanda ci stava stretto e si spostò a Parigi, a Londra e negli Stati Uniti; che litigò a morte con Theo van Doesburg, fondatore di De Stijl, per una diagonale; che amava le donne, ma le voleva lontane dalla pittura, rompendo due fidanzamenti sul punto del matrimonio. Diverso era Rietveld, meno logorato da dubbi, nato e vissuto a Utrecht, impavidamente controcorrente nel pensiero e nella vita quotidiana, con una moglie e sei figli e, contemporaneamente, una donna-amica-amante-compagna, oltre che madre di tre figli non suoi.

L'amore di Truss

Se razionalizzare e semplificare, togliendo il superfluo, è stato l'obiettivo di ogni artista e architetto delle avanguardie olandesi degli inizi del secolo scorso, c'è chi, nell'ombra, ha fatto di più. Si dice che accanto a un grande uomo c'è sempre una grande donna e Truus Schroder è lì a ricordarcelo. È lei, anticonformista nell'animo, ribelle per natura, che in una società chiusa e severa ha vissuto rompendo tutti i cliché della convenienza, lasciando Rietveld libero di mantenere il legame coniugale. È stata sempre lei a volere una casa dove ci fosse luce, spazio, flessibilità, sobrietà e nessuna concessione alle frivolezze. Ancora lei a suggerirgli idee e soluzioni in progetti successivi, solo qualche volta cofirmati. Fu Truus, infine, che gli impedì di demolire l'appartamento quando nacque l'autostrada e che poi, dopo la morte di Gerrit, nel 1964, continuò ad abitarlo fino al 1985, anno della sua scomparsa, perché non venisse modificato o distrutto. Venti anni dedicati a raccogliere i disegni, la corrispondenza, le foto, gli articoli di giornale e tutto quello che di lui parlava. A ciò che gli altri avevano tolto lei aggiunse qualcosa. Aggiunse il coraggio, ci addizionò la forza e un'incrollabile convinzione. In più ci mise passione, ci mise l'amore. E ora la "sua" casa è in tutti i libri di storia dell'arte e di architettura, dal 2000 è patrimonio dell'Unesco e migliaia di turisti la visitano ogni anno. Non sempre è vero che less is more.