Alla conferenza stampa di luglio, giustamente, il Direttore Alberto Barbera definiva il ruolo della Mostra come un trampolino di lancio di opere culturali, ma non si lasciava sfuggire il benché minimo accenno alle trame. L’oggetto misterioso del manifesto di Arrival, nella sua curiosa forma elissoidale e lenticolare, diceva senza equivoci che si trattava di un film di fantascienza. Se non si è cultori del genere, di fronte a una scelta difficile fra tante proposte della 73ma Mostra del Cinema di Venezia, si rischiava di trascurarlo in favore di altri. E invece il film esprime, con le capacità registiche di Denis Villeneuve e l’abilità recitativa di Amy Adams, messaggi tutt’altro che extraterrestri.

Trovare sparpagliati qua e là sulle terre emerse 12 enormi oggetti volanti, immobili anche senza essere ancorati a terra, mette in allarme tutti i capi di Stato oggetto della visita di una di queste astronavi sul loro territorio. C’è chi si irrigidisce e si sente in pericolo a priori e chi, invece, cerca di capire il motivo di questa strana visita. Il governo degli Stati Uniti decide di arruolare la linguista Louise Banks per decifrare il linguaggio degli eptapodi contenuti nell’astronave e scoprirne le intenzioni. Il regista si concentra, più che sugli effetti speciali atti a descrivere altri mondi, sul dramma umano della protagonista e sulle sue capacità di lottare in condizioni avverse. Il film ha pure grandi doti sul piano visivo, a cominciare dalla bella casa di Louise e dall’ambientazione dei flashback della sua vita di madre.

Basato sul racconto Storia della tua vita di Ted Chiang, descrive la Banks come una scienziata dotata di grande umanità, non disgiunta da fantasia e preparazione linguistica. Con l’aiuto di un fisico e di un team molto efficiente riesce infatti, unica al mondo, ad escogitare il sistema per stabilire un dialogo con gli alieni. E mentre nel resto del mondo ci si arma per aggredire gli sconosciuti, qui si porta a buon fine la possibilità di dialogare. La paura del diverso è così vinta dalla sua conoscenza. Ma alla base del superamento dell’incomunicabilità c’è il desiderio di conoscere, l’assenza di pregiudizio e nessuna violenza. In altre parole, chi non è uso a fare violenza, non pensa immediatamente che una visita significhi aggressione. Un film, quindi, che nella trasposizione metaforica al regno della fantascienza, sembra suggerire come andrebbero affrontate le migrazioni di popoli “alieni” da un punto all’altro della terra, così drammaticamente attuali.