La peculiarità del gioiello d'autore sta nella forza espressiva di emozioni polidirezionali.
Il contenuto luminoso espresso dalla parola gioia che ne porta la medesima radice e che ne esprime la giocosità si collega alle parole dell'esperienza mediata dal contrappunto con il dolore.
Nel mezzo vi è il processo eversivo delle tensioni emotive che spaziano tra le parti.
L'esperienza materica, volumetrica e cromatica che l'autore pone in questi oggetti, apparentemente ornamentali, non è più acme luminoso, ma acme chiaroscurale del pensiero del suo autore e di chi lo sposa.
In tale luogo del fisico si palesa la natura eterica dell'umano.
Esempio emblematico di tono emotivo, legato alla trascendenza del corpo fisico dell'uomo, sono i gioielli scultura di Paolo Marcolongo.
La loro bipolarità materica si fonda sul fuoco: vetro e metallo.

La sua esperienza lo inserisce nella tradizione della Scuola Orafa di Padova (Gianpaolo Babetto, Mario Pinton, Alberto Zorzi, Maria Zanella… ), sua terra di nascita. La sua formazione tra Padova e Venezia lo porta a dialogare con il concetto di scultura e questo esperire lo applica a quelle che sono esternazioni funzionali all'ego: i gioielli.
Da qui sviluppa le sue attività di curatela, formazione e relazione con il mondo autoriale internazionale.
Il suo rapportarsi alle costrizioni e alle pulsazioni della materia gli permette di indagare il progetto espressivo delle forze contratte ed esondative delle forme e le sensazioni che ne derivano.
Approdi e agganci, ingabbiature e intelaiature, per trame che impongono il colore al minerale e la sua magmatica esperienza di trasparenza e densità, lucentezza ed opacità, attraverso il vetro o le pietre preziose. Stabilisce una sorta di membrana all'atmosfera che ne connota i temi e i tempi emotivi e che la stabilizza in membra di natura e spirito per esprimere la bellezza nella sua totalità e modulazione sapida.

Per Paolo Marcolongo il passaggio d'osservazione cardine del mondo, attraverso l'occhio, non è leggibile in termini fisiognomici, ma è tracciabile nella sua sintassi: da essa emerge il volume attraente e simbiotico che declina la bellezza nella forma e porta l'organo visivo a divenire da osservante a osservato.
La sua Arte si esprime dai piccoli oggetti protesici del derma o dell'abitato dell'uomo attraverso il contrasto tra libertà e prigionia: l'eros abrasivo dell'alterità tra desiderio, desiderabile, desiderato e costretto, ingabbiato, precluso sembra essere lirica potente dell'azione di Marcolongo.
Le sue creature sono organiche alla bellezza e stadio del divenire di essa come elemento principe e principiante il suo potenziale espressivo. Solo l'occhio, con la sua membrana pregna di volontà indagatoria e di desideri, può intravederne la traiettoria espressiva. Direzione verso membra che sono parti dell'oscuro affabulatore della storia o della possibile libertà che nel moto si esperisce in azione e gesta.

La gabbia ci include attraverso il blocco dell'azione, ma non dell'emozione e Marcolongo ci mostra il blocco, ma anche la strada per uscirne, attraverso l'arte e gli arti dell'immaginazione. Tale figurazione è embrionale delle prospettive in divenire dal micro al macrocosmo e funzionale all'emersione della lacrima come simbolo del sentimento e sua germinazione, misuratore d'organicità emotiva, risorsa per la cornea delle immagini.