Regista, sceneggiatrice, produttrice e documentarista, ha fatto della sperimentazione e dell’impegno la cifra delle sue produzioni. Dopo un diploma alla Scuola del Piccolo Teatro di Milano e una laurea all’Università Statale, ha iniziato l’attività professionale come assistente alla regia in RAI. Ha girato documentari e servizi televisivi e partecipato, con cortometraggi che le hanno permesso di ottenere riconoscimenti, al “Women Film Festival” di Los Angeles e al “Festival Cinema Giovani” di Torino. Nel 2002 ha girato il suo primo lungometraggio Forza Can”, autoprodotto, pionieristica esperienza di cinema digitale indipendente e incentrato sulla problematica del disadattamento e del degrado sociale in una metropoli, e nel 2006 ha presentato Come l’ombra alla Mostra del Cinema di Venezia. Sempre a Venezia ha proposto, nel 2009, Poesia che mi guardi, sulla poetessa Antonia Pozzi. Il suo ultimo lavoro, Il mio domani, del 2011, da lei scritto e diretto, con protagonista Claudia Gerini, sonda le esperienze e le emozioni di una storia di donna.

"Sono nata a Milano, in un quartiere periferico che ricordava le visioni milanesi di Umberto Boccioni, tipo La città che sale. Come Alda Merini, non lascerei Milano che per il paradiso e le sue strade, le sue fabbriche, i suoi tram si sono poi riversati emotivamente anche nella mia attività di regista. Qui sono stata adolescente e ragazza negli anni Settanta e giovane professionista negli anni Ottanta e mi reputo fortunata di essere milanese perché qui potuto fare importanti esperienze e mi si sono presentate stimolanti occasioni di lavoro e di relazioni".

La sua, dunque, è stata un’esperienza fortunata, ma, come donna, pensa che esista ancora una discriminazione di genere?

Quando penso alle donne d’oggi vedo una separazione netta fra le poche che sono riuscite ad arrivare a posizioni di potere (e che non è raro vedere comportarsi con modalità femminili per finalità maschili) e la stragrande maggioranza che non viene nemmeno retribuita adeguatamente e che rimane sola di fronte anche alla maternità. Una società senza pari opportunità non è una società compiutamente evoluta e in questo senso l’Italia deve fare ancora molta strada, anche se credo fortemente che un mondo migliore sia possibile.

Allora si può parlare di indifferenza o chiusura del mondo maschile?

Rappresenterei il rapporto uomo-donna più come un confronto che come uno scontro, ma so che sono pochi gli uomini così coraggiosi da essere disposti a mettersi in gioco, perché in genere sono spaventati dalla propria interiorità che viene considerata qualcosa di irrazionale “tout court”.

E la donna milanese come si colloca in questo contesto?

Esiste uno stereotipo della donna milanese: sicura di sé, che va per le spicce, vestita in modo minimal e di colori scuri o al massimo neutri. Può darsi che sia vero e in effetti anch’io mi vesto per lo più così, forse perché Milano è una città faticosa e non si vuole dare nell’occhio.

Sempre partendo dal genere e dallo specifico della sua attività di regista, esiste un occhio femminile al cinema?

Più che un occhio femminile o maschile, credo che esista un punto di vista personale che è il risultato di tutto ciò che siamo e siamo stati: esperienze, amori, delusioni, desideri, vittorie, emozioni, ideali, dolori. Certo anche il genere conta, ma non credo sia l’elemento determinante.

Macchina fotografica e cinepresa: gli strumenti della sua poetica…

Le fotografie e la macchina fotografica trovano spazio nei miei film perché sono proprio un’appassionata di foto e nel mio piccolo anche una collezionista. Frequento l’ambiente fotografico e i fotografi e penso che fotografare sia molto più difficile che girare, certo non dal punto di vista organizzativo o economico, ma da quello concettuale: in un film hai a disposizione il tempo della scena e varie inquadrature, mentre nella fotografia devi sintetizzare in un solo scatto e per me questo è difficilissimo.

È una regista “impegnata”…

Mi sono sempre battuta perché fosse data dignità di film ai film che non erano stati realizzati in pellicola ma in video, il mio film Forza Cani, del 2001, è stato il primo. Un passo importante perché si è avviato un meccanismo di democratizzazione nel cinema italiano: autori che non riuscivano a trovare un finanziamento per i propri lavori perché fuori dai giri dei soliti noti o perché narravano in modo non omologato qualcosa di inusuale, hanno potuto con pochi soldi fare film e vederli presentati nei festival più importanti in Italia e all’estero e hanno così potuto essere conosciute nuove voci.

Milano è la protagonista dei suoi film…

Mio padre era tranviere e mi ha forse trasmesso questa voglia e desiderio di girare per la città. Nei miei film è come se salissi su di un tram e dai finestrini vedessi sfilare il paesaggio urbano che per me è anche quello del cuore e dell’appartenenza. Mi affascinano la sua sobrietà, che a volte rasenta la durezza ma è una città che sa anche sorprendere, come quando si scoprono le ciminiere sopravvissute all’antica città industriale e proletaria, o le case popolari, o le piccole piazze nascoste dal sapore metafisico. Perché le cose accadano ci vuole un luogo e Milano è il luogo dove “accade” anche il mio cinema. È un personaggio delle mie narrazioni e anche il fondale ideale per costruire le storie e i personaggi. Penso anche che sia un doveroso risarcimento a una città che è stata ingiustamente trascurata dal cinema e così quasi esclusa dall’immaginario nazionale per una politica locale senza sogni e generosità, ma è anche la dimostrazione che si può fare cinema anche lontani da Roma. D’altra parte, Milano è stata protagonista in tanti capolavori, fra gli altri citerei Cronaca di un amore e La Notte di Antonioni, Rocco e i suoi fratelli di Visconti, Il posto di Olmi, La vita agra di Lizzani, Napoletani a Milano di Eduardo De Filippo, Vita da cani di Steno e Monicelli, Maicol di Mario Brenta e le scene girate alla Stazione Centrale de I girasoli di De Sica. In definitiva, Milano è una città molto cinegenica, lo era prima e lo è ancora di più adesso con tante cose in più da riprendere come i suoi nuovi abitanti e le nuove generazioni.

I milanesi seguono il cinema?

Il pubblico milanese del cinema è, dopo Roma, il più importante in Italia: determina e ha determinato più volte il successo di film di nicchia come L’aria serena dell’ovest di Silvio Soldini, Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti e anche il mio Come l’ombra. Purtroppo, il numero di cinematografi a Milano diminuisce sempre più e questo è grave perché se si riduce il numero degli schermi si riduce la possibilità di vedere film non omologati.

Insegna nella “Civica Scuola del Cinema” della Fondazione Milano…

La “Civica Scuola del Cinema” è cresciuta ed è diventata un’importante realtà nazionale e internazionale grazie all’impegno della giunta Pisapia. Da due anni si trova in una sede prestigiosa che è l’ex Manifattura Tabacchi e da qualche mese è stata intitolata a Luchino Visconti, milanese a cui sarebbe probabilmente piaciuta l’ubicazione, visto che fumava cinque pacchetti di sigarette al giorno... Io insegno regia e recitazione cinematografica e cerco di infondere nei miei allievi fiducia, oltre che conoscenze. Resto in contatto con quasi tutti anche dopo il diploma: mi fanno leggere i loro prodotti, mi chiedono consiglio, mi fanno testimoniare alle loro nozze e mi presentano i loro figli. Molti sono riusciti nel lavoro grazie al grande impegno, molti si sono anche trasferiti all’estero, dove le opportunità sono più numerose.

Infine, quali sono le segrete emozioni nel girare un film?

Fare film è come arginare la “distruzione del tempo”, è come scavare nel senso profondo del mondo e quasi fissare e potenziare la vita attraverso la finzione della pellicola. Nel cinema si trasmettono quelle emozioni particolari di cui magari lo stesso regista non si è reso conto e l’avere scelto spesso Milano come protagonista provoca in me una sensazione profonda perché è farla anche conoscere e riconoscere.