I papaveri non stanno mai fermi.
Si danno al vento e sono fatti di luce.
Radice, stelo, virgulto, foglia, fiore, bacca - ecco la tavola botanica in crescita.
Ecco lo sguardo scientifico, etico ed estetico che dà senso, ora, ad una visione e condivide la condizione essenziale della pianta rendendola quella che appunto è.

Cosa mi accade, ad esempio, quando indago la vita e le metamorfosi dei papaveri?
Perché in primavera, lungo l'argine del fiume, scendo dalla bicicletta e mi metto a guardarne le trasparenze, la luce, i movimenti, le variazioni di colore? Lì, incantata, il mio tempo è immobile mentre quello dell'orologio corre veloce. In un'aria diversa vedo l'esistente che mi circonda e tento di fissarlo nella memoria. La realizzazione delle mie tavole botaniche ha la sua origine nelle regioni del processo creativo. Lo sguardo scientifico confluisce con la visione interiore del mio spirito. L'essenziale - fatale - qualità dei due papaveri è il frutto dell'esperienza arricchita da quel tempo sospeso nel quale contemporaneamente vedo ascolto e conosco in reciproca totale armonia. L'incontro con la pianta, in questo caso i papaveri,e la loro realizzazione, muta la visione del mondo.

Per comprendere le ragioni di questa mia condivisione riprendo alcuni brani da una conversazione tra me e il filosofo Roberto Barbanti docente di Estetica presso il Dipartimento di Arti Plastiche dell'Università di Paris 8.

RB: Che tecnica usi?

MB: L’acquarello, che per me è la tecnica pittorica più nobile tenendo però presente che la tecnica, qualunque essa sia, è il mezzo, lo strumento dell’atto creativo. Ultimamente, vedi, nei miei lavori riproduco due immagini simili che si interrogano, tendono l’una verso l’altra. Hanno la bellezza di un bene condiviso e nella loro essenza ci pongono l’enigma dell’esistente. Guarda, qui c’è la sintesi dell’immagine. Questi due papaveri si danno alla luce… è un fatto di tono, di leggerezza, di trasparenza. In queste altre c’è maggiore ricchezza nei dettagli e sono le più vecchie, le prime che ho fatto.

Perché dicevi che l’acquarello è la tecnica più nobile?

Perché governo l’acqua. E sai che per me l’acqua è un elemento sacro.

Non riesci a star dentro il quadro…

No, hai ragione. Tornando alla tecnica, io parto dal fondo: faccio prima il fondo, poi, a seconda se… non so, se questo papavero qui finisce nella parte gialla ha un colore, se invece finisce nella parte che è un po’ violetta ha un altro colore. Quindi è un lavoro incredibile. L’acquarello ti pone sempre un enigma che tu devi risolvere, quindi io lo complico ancora di più, perché per mantenere lo stesso tono metto sempre dell’acqua che ha il colore del fondo, insomma è complicato… devi anche arrivare in tempo. Per essere leggeri, è sempre più difficile; marcare il territorio è più facile. Invece togliere, alleggerire, è più complesso, è la sintesi insomma, arrivare all’essenza della cosa e non alla cosa. Prendiamo Turner: all’inizio parte con la descrizione di tutto quello che vede, dal sassolino al particolare, la foglia, la goccia, ecc. Poi arriva alla fine che è un colore unico con una linea nel mezzo e due tre cose, insomma proprio così, che è grandissimo, cioè lui lì arriva veramente all’assoluto, alla perfezione, non so che cosa… si è digerito tutto, si è digerito il sassolino, ecc., e arriva effettivamente all’essenziale, direi alla qualità, ecco, alla sua fatale qualità.

Sì, certo. Ma se pensiamo il tuo lavoro in termini più generali, oltre il quadro - all’interno del quale non riesci a stare - mi viene spontanea una domanda… che prospettiva vedi per l’arte?… Insomma tu unisci arte visiva, arte della scrittura, tecniche diverse di rappresentazione pittoriche, acquarello, acrilico, sculture, poi eventi, azioni, installazioni… non so come dire… adesso per esempio vedo queste tue tavole botaniche esposte su questa parete di casa tua: il tuo percorso artistico e queste opere qui mi rimandano a una concezione… che definirei di ecologia dell’arte no? Anche se il termine ecologia, bisogna dirlo, come del resto tanti altri, è stato abilmente svuotato di senso e anche se si parla molto di questi tempi di “ecologia dell’arte”… chissà cosa s’inventeranno ancora tutti questi piccoli soldatini tumoral-produttivisti per aumentare i loro progetti di crescita e sviluppo? Comunque sia… per tanti aspetti, e con le riserve che ho appena enunciato, mi sembra che si possa associare al tuo lavoro il senso di un’arte ecologica no? Sia come soggetto, che…

Come pensiero.

…Sì, come pensiero e soggetto, come approccio, come indicazione quasi strategica… E dunque come vedi la prospettiva delle cose? Dove dobbiamo andare? Con la tua sensibilità e la tua pratica… che unisce femminismo, coscienza ecologica, capacità di rappresentazione pittorica, scrittura visivo-linguistica… Cioè, se affrontiamo il discorso su che tipo di progetto artistico ci si possa o ci si debba impegnare, per il quale valga la pena di lavorare. Come dire? Se lavoriamo per un’ecologia dell’arte, che cosa dobbiamo fare? Qual è la nuova prospettiva?

Credo - e penso che tu sia d’accordo con me - che questo tipo di progresso abbia fatto il pieno e non c’è in giro un cambiamento di mentalità, non so, un’alternativa. Allora credo che l’arte per prima cosa dovrebbe abbassare lo sguardo. Quando dico così penso alla coscienza dell’arte nella sua disposizione al bene… Ora però passo dall’arte, che può apparire - vero? - un concetto astratto, e parlo di artiste e artisti, così mi sento più a mio agio. Credo che ci si debba alleare. Trovo che la relazione sia ancora una volta la via del fare, perché l’artista è colei o colui che fa, di solito anche un po’ prima degli altri. Inoltre penso che nei confronti della realtà dovrebbe avere un atteggiamento critico e, dati i tempi, essere anche disarmante rivoluzionario. Sei d’accordo? L’arte credo non sia lo specchio dell’esistente ma la sua coscienza… Dovrebbe essere attenta, vigile nell’osservare e sperimentare il mondo...

Il brano è tratto dal libro di Mariella Busi De Logu nero scarlatto, 2011, Editrice dell'Altritalia.

La mostra nero scarlatto è stata organizzata dall'Istituzione Biblioteca Classense e da Ravenna Festival 2011.
Suono Caterina Calderoni, allestimento Fidel Venturetti, opera in ceramica Letizia Tozzi.