Vittorio Emanuele nacque a Napoli nel 1869 e fu un re di lunga vita. Figlio di Umberto I e di Margherita di Savoia, primi cugini, divenne alla nascita principe di Napoli, con l’intento di dimostrare come l’Italia dovesse essere unita sotto la corona Savoia, essendo l’Unità era avvenuta da poco.

Figlio unico, venne allevato in modo rigido su modello prussiano, frequentando la scuola militare Nunziatella di Napoli. Viaggiava molto, era appassionato di Numismatica (tanto che scrisse un trattato sulle monete noto anche all’estero), Storia e Geografia, passione che gli comportò di essere spesso chiamato in occasione di mediazioni nei trattati di pace, proprio per le sue alte conoscenze geografiche. Parlava quattro lingue e amava molto Shakespeare, anche se non frequentava il teatro. Il 29 luglio 1900, a Monza, suo padre venne assassinato dall’anarchico Bresci e la notizia lo raggiunse durante una crociera con la moglie montenegrina Elena. Pochi giorni dopo, Vittorio Emanuele giurò fedeltà alla corona e divenne Re, proponendosi subito come mediatore e parlamentarista, promulgando un’amnistia per reati di stampa, condonando parte delle pene erogate dopo i moti del 1898. Sostenne il riavvicinamento alle altre potenze, non essendo completamente d’accordo con il trattato della Triplice Alleanza tra Italia, Germania e Austria.

Fu un Re che sosteneva la giustizia sociale e che vide benevolmente il suffragio universale maschile del 1912, ma contro il quale comunque proprio in quell’anno ci fu un attentato anarchico. Allo scoppio della Grande Guerra, il Re si dichiarò inizialmente favorevole alla neutralità italiana e irredentista, promuovendo le ragioni di Trentino e Friuli di tornare italiane, tanto che accettò la lusinghiera proposta di aderire alla Triplice Intesa, suggellando il Patto di Londra il 26 aprile 1915, firmato in segreto e all’insaputa del Parlamento.

Tuttavia, Giovanni Giolitti proponeva la neutralità, visto che l’Austria dichiarava di volerci assegnare i nostri territori senza che combattessimo per averli, quindi si aprì la crisi parlamentare. Salandra, capo del governo, si dimise, ma il Re non accettò le dimissioni fino al 20 maggio, quando le Camere votarono per poteri straordinari al sovrano che dichiarò guerra il 23 maggio 1915. Le ostilità cominciarono il giorno seguente. Costantemente presente al fronte, il Re prese dimora a Villa Linussa a Torreano di Martignacco, vicino a Udine; visitava spesso le retrovie e si faceva ragguagliare sulla situazione quotidianamente, senza prevaricare sul Comando Supremo.

Difese strenuamente la posizione italiana al Convegno di Peschiera, quando, dopo la battaglia di Caporetto, sembrava necessario retrocedere il fronte fino al Mincio: sostenne, invece, la necessità di restare sul Piave, azione che si dimostrò vincente per la controffensiva italiana che sbaragliò l’esercito austro-ungarico nemico, riportando la vittoria di Vittorio Veneto il 4 novembre 1918.