La vecchiaia è molto difficile da governare. Anche le altre stagioni scherzano poco, ma ora ho tra le mani questa età qui e faccio molta fatica a gestirla.

Non sto rincoglionendo. Questo no, anzi non ricordo - ecco, inizio a perdere la memoria - un mio tempo con una mente così carica di suggestioni e di immagini pronte da progettare e da realizzare. Per realizzare questo lavoro che mi richiama ogni giorno con tanta ostinazione è necessario il silenzio. Il silenzio delle cicale, delle upupe, del mare in tempesta, ma anche l'infinito ripetersi della risacca. Per concentrarmi su ciò a cui devo ancora dare corpo, guardo i pini marini incorniciati da un cielo d'azzurro intenso. Gli alberi come il cielo sono immobili.

Qui, in questa estate dove tutto ribolle, anche il tempo si è fermato. Sono mesi che al mattino, quando apro le finestre, mi appare la stessa luce, la stessa aria calda, bollente. Un giorno, tutti i giorni. Ora gli abitanti del residence dove mi ritrovo sono in spiaggia e posso scrivere. Il silenzio mi è diventato indispensabile come il respiro e quando rientrano esco e cerco di ritornare il più tardi possibile. Non sopporto il loro rumore. Questa è la mia malattia. Una volta, poco tempo fa, sopportavo l'insopportabile. Ora non sopporto più nulla. Non sopporto soprattutto il rumore al quale si abbandonano con tanta determinazione le persone che abitano l'appartamento al piano superiore proprio sopra la mia testa. Iniziano al mattino e trascinano per tutto il tempo in cui rimangono nelle due stanze, sedie dalle gambe di ferro, due tavoli che durante i pasti diventano rettangolari per poi ritornare quadrati e un divano che si trasforma in letto matrimoniale per poi ritornare divano. Le gambe di questi mobili sono di ferro e il pavimento dove si compiono questi viaggi del delirio è di ceramica. Ho acquistato feltrini e ho pregato il custode di questa specie di suburra di inserirli nel contesto deambulante. Niente. Anzi il rumore è aumentato.

Sono in mezzo a una pineta di pini marini, vicina al mare e alla valle e soprattutto sono in vacanza e trascorro molta parte delle mie giornate con tappi di cera nelle orecchie. L'anno scorso di questi tempi, forse nello stesso giorno, scrivevo la lite furibonda con i miei giovani vicini d'appartamento. È cambiata la tipologia e l'origine del rumore. La disperazione è la stessa. Oggi alle 15, dopo un'ora di frastuono, sono salita al piano superiore per conoscere l'origine della mia malattia. Mi ha aperto la porta una giovane madre; nella stanza oltre a lei c'erano tre ragazzine e un bambino. Praticamente vivono l'uno sull'altra. Me ne sono andata informandoli che abito sotto i loro piedi di carne e di ferro.

Mi ricordo che alla fine della guerra, ritornati all'abitazione di Cesena, la trovammo occupata da un'altra famiglia. Erano gli "sfollati". E per un po' di tempo condividemmo gli stessi spazi. Poi ho la testimonianza della poeta russa Marina Cvetaeva che ha vissuto per lunghi periodi in una stanza con altre persone, a lei estranee. Ecco, quello che ho visto mi ha ricordato quegli eventi allora imposti dalla guerra e dal dominio stalinista e ora vissuti "in vacanza". Intanto mentre scrivo ha attraversato il cielo un piccolo aeroplano d'argento simile a quelli dipinti da Mario Schifano.

Ritorno alla mia ricerca del silenzio che ritrovo solo nell'acqua marina, nella valle e nelle mie passeggiate notturne. Ma agosto è un mese volgare: circola, insieme a un'aria pesante, la voglia del divertimento a tutti i costi. Giugno, con la sua promessa di una bella estate, cede il passo a luglio che contiene il danno, ma contemporaneamente apre le porte allo sfacelo di agosto. Agosto brucia il tempo in fretta e le sue protagoniste più vistose sono le automobili. L'altra notte mi sono inoltrata in un quartiere "nuovo", decentrato rispetto ai percorsi delle belle ville che si affacciano sulla valle e dei viali che conducono al mare.

A Ravenna in questo periodo quasi tutti gli spettacoli hanno come tema a volte anche forzato, la Divina Commedia. Qui un contemporaneo girone infernale è bello e servito. Lo spettacolo che il mio sguardo ha visto riguarda una realtà inimmaginabile. Si discende nel cono infernale avvolti e aggrediti da auto di tutte le forme e di tutti i colori. Ovunque auto. Un esercito che invade e controlla ogni spazio come in una feroce dittatura simile a un regime di colonnelli. Qui il silenzio è una minaccia che fa paura. Appena visibile, una suburra di casette accatastate l'una sull'altra cede sempre più spazio all'invadenza di questo esercito dai denti affilati pronto a divorare altra pineta e altra, altra ancora. Fino a quando tutto sarà deserto.

Penso che agosto mi stia togliendo ogni bellezza. Mi rimane solo l'acqua marina. No. Da qualche giorno -esattamente dal primo agosto - il mare è invaso da meduse e non è piacevole nuotare con la paura di imbattersi in una di queste bellissime, ma urticanti creature. Le meduse sono fonte inesauribile di conversazioni tra sconosciuti, come il clima per gli anglosassoni. Con l'acqua a mezza gamba strane creature - siamo noi - guardano preoccupate l'acqua, interrogano le persone vicine e nascono così, amicizie e diffuse solidarietà, tutte all'insegna della colonia di meduse che avanza. Infatti il mare ne è pieno e io ne porto i segni. Inoltre da una settimana ho una parte del braccio gonfio: l'infiammazione si allarga e preoccupatissima mi chiedo se l'insetto che mi ha punto sia di quelli molto pericolosi. Con tutte queste calamità agostane sento che potrei anche morire velocemente. Tra poco.

Credo sia comprensibile il mio desiderio di ritornare a casa anche se sopra di me abitano due coniugi con un bimbo piccolo - sono in attesa del secondo - e anche loro trascinano seggiole sul pavimento di ceramica e, per difendermi uso anche lì tappi di cera, ma almeno non sono in vacanza. Sono a casa. In effetti c'è una bella differenza tra mettermi i tappi alle orecchie nell'appartamento dove vivo e metterli, in vacanza, per un eccesso di rumore ripetuto alle stesse ore nell'arco della giornata. Il rumore in vacanza mi rimbomba nel cervello come una punizione divina. In realtà la casa nella quale sto veramente bene è lo studio perché è il regno del silenzio; si trova all'ultimo piano e di lato e sopra alla mia testa c'è solo il cielo alto, distante: "un blocco d'azzurro intenso".