A 100 anni dall’ingresso dell’Italia nella grande guerra il Museo di Roma in Trastevere ospita il progetto fotografico di Stefano Cioffi “L’urlo indifferente” che racconta i luoghi descritti nel diario di guerra del naturalista e geografo Giovanni De Gasperi, morto in battaglia nel 1916.

L’esposizione, aperta al pubblico dal 13 maggio al 21 giugno 2015, raccoglie 22 fotografie 100x132 scattate quasi interamente tra metà maggio e metà luglio (2013 e 2014), ovvero negli stessi giorni dell’anno in cui De Gasperi scrisse il suo diario.

Divenuto famoso da giovanissimo per un’avventurosa spedizione nella Terra del Fuoco, all’inizio della guerra De Gasperi fu arruolato come ufficiale degli alpini e schierato con le sue truppe sul passo di monte Croce, tra Coltrondo e Padola, nel Comelico. Il suo diario, pubblicato per volontà della famiglia nel libro che accompagna la mostra, affascina per la lucidità con cui descrive un fronte di guerra comunque in grado di suscitare riflessioni sulla natura e sul paesaggio.

Lontane dall’essere una semplice documentazione geografico-storicistica, le immagini di Cioffi rappresentano sentieri che vanno verso il nulla, boschi fittissimi, aree isolate avvolte nella nebbia e trasmettono il senso di alienazione e insensatezza vissuto dai soldati che un secolo fa combattevano un nemico spesso invisibile.

Cioffi – come scrive il curatore della mostra Maurizio G. De Bonis - lascia che il suo sguardo ci racconti l’imperscrutabile complessità della situazione ambientale e la deriva di una coscienza umana che ha cancellato il concetto di convivenza civile; e in più allude compostamente alla brutalità con la quale l’uomo ha violato il linguaggio della natura. Le immagini che fermano l’imbrunire o che ci mostrano l’arrivo di un’inquietante bruma permettono al fotografo di narrare visivamente la frattura tra umanità e natura, tra senso dei comportamenti sociali e ritmi del tempo naturalistico, tra idea di possesso (tipica del mondo animale e umano) e l’algida indifferenza dell’esistente che, pur essendo costantemente abusato dall’uomo, non può che rimanere distaccato da quest’ultimo.

L’apparente oggettività delle inquadrature, la chiarezza della forma compositiva, l’essenzialità delle linee evidenziano una potente contraddizione di senso, un abisso che solo il rigore formale dei suoi scatti è capace di far emergere, ovvero il conflitto tra dolorosa sedimentazione degli eventi e terribile impassibilità dell’ecosistema (rispetto a tali eventi). Proprio all’interno di questa contraddizione, così ben messa a fuoco, è rintracciabile il precipizio infinito della stoltezza dei comportamenti umani e della separazione totale tra Storia e Natura, tra dimensione politica della società e dimensione astorica e significante del mondo.

Le opere di Cioffi finiscono per esprimere una sensazione funesta di vuoto e di tormentosa attesa, di sospensione di senso che rende tangibile la penosa limitatezza delle azioni umane, l’orripilante voragine causata dalla morte di milioni di persone, la mancanza di un vero legame tra essere umano e natura. Il territorio della morte e della guerra diviene simbolo di un mistero forse irrisolvibile, di un problema gigantesco di relazione tra il genere umano e il mondo che lo ospita.

Stefano Cioffi, fotografo, regista e musicista, lavora da anni in maniera trasversale e multidisciplinare facendo leva sulla sua formazione versatile e proponendo costantemente nuove produzioni di successo nazionale e internazionale. È stato più volte chiamato a esporre per prestigiosissime sedi museali italiane, e all’estero, in Francia, Svizzera, Germania, Belgio, e negli Stati Uniti e in Giappone. Collabora con il quotidiano La Repubblica per il quale cura ritratti di musicisti e attori.

“Mi piace guardare. Per questo ho iniziato a fotografare. Per rivedere il mio sguardo dentro un’inquadratura. Nelle mie corde c’è il paesaggio, è un’indagine nascosta, la mia, nelle aree dimenticate, nel vuoto che l’uomo crea e poi abbandona e la natura si riprende. Con le mie foto non cercate di comprendere meglio la realtà, quello che vedete è semplicemente lo stato di chi ha guardato”.