La decisione di trasferire la capitale d’Italia da Torino a Firenze viene stabilita dal Protocollo allegato alla Convenzione firmata con la Francia il 15 settembre 1864. Ma il passaggio non fu indolore: a Torino scoppiò una rivolta che vide molti morti e feriti (tra il 21 ed il 22 settembre) e nuovi scontri ebbero luogo alla fine di gennaio con l’assalto delle carrozze che si recavano al ballo di corte. Vittorio Emanuele II il 3 febbraio lasciava Torino offeso ed amareggiato. Il nuovo prefetto di Firenze il Conte Girolamo Cantelli notava nei fiorentini un’assoluta mancanza di entusiasmo e nessuna preparazione per celebrare il grande evento. Forse nella città toscana pesavano i molti sospetti sui cambiamenti previsti dal piano regolatore di Giuseppe Poggi, che avrebbe definitivamente cancellato l’aspetto della Firenze mediceo – lorenese, modernizzandolo e rendendolo più europeo.

Il 18 novembre del 1865 si insediava a Firenze il Parlamento: Vittorio Emanuele inaugurò la nona legislatura nel salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Le vie cittadine in cui si fece strada il corteo reale erano affollate nonostante la pioggia. Il cannone della Fortezza da Basso sparò un colpo quando il Re insieme ai suoi figli uscì da Palazzo Pitti, nuova residenza reale. Con questa cerimonia la capitale era ufficialmente inaugurata Firenze aveva tuttavia già rivestito un suo ruolo particolare ed unico nel cammino verso l’unità quando il 27 aprile del 1859, con la cosiddetta rivoluzione di velluto ed il pacifico addio dei Lorena era diventata capitale provvisoria. In quel momento a Firenze erano presenti personalità del calibro di Bettino Ricasoli, Giuseppe Mazzini, Giuseppe Garibaldi e molti degli artisti appartenenti al gruppo macchiaiolo che si alleavano volontari per combattere le guerre di indipendenza.

Vittorio Emanuele II si impegnò a rendere Palazzo Pitti non solamente il più confortevole possibile, ma anche viva testimonianza dei suoi gusti in fatto di arredi, indirizzando i soggetti dei dipinti e delle sculture da lui commissionati. È proprio per indagare quale fosse la passione collezionistica del Re, che si è pensato di festeggiare la ricorrenza di Firenze Capitale con una mostra dedicata alle opere d’arte da lui raccolte e donate poi al Palazzo. Fra queste i dipinti ispirati a celebri episodi storici, legati alla stirpe sabauda, come quello di Giuseppe Ciaranfi ispirato dall’Elemosina del Collare della SS. Annunziata e quello di Giuseppe Bellucci celebrativo della Firma del trattato di Bruzzolo e ancora i dipinti raffiguranti i protagonisti della cultura medievale e rinascimentale, sia letteraria che artistica, italiana. Saranno infatti esposti il marmo di Pio Fedi tratto dall’episodio dantesco di Nello e Pia de’ Tolomei, il quadro di Pietro Saltini che raffigura Francesco Petrarca che ritrae la sua amata Laura, Piccarda Donati fatta rapire dal convento di Santa Chiara dal fratello Corso di Raffaello Sorbi, Michelangelo Buonarroti declama le sue poesie a Vittoria Colonna di Francesco Vinea.

Dagli inventari di opere d’arte di proprietà privata di Sua Maestà il Re si possono inoltre ricavare informazioni interessanti sugli oggetti d’uso e quelli più comuni che accompagnavano le giornate del Sovrano: pipa, portafiammiferi, carte da gioco, stampe con cavalli, portaritratti d’argento con l’immagine della Regina. Questi soprammobili naturalmente venivano posati sui mobili stile barocchetto che il Re aveva personalmente ordinato di intagliare agli artigiani fiorentini imitando il gusto piemontese e francese.

Vittorio Emanuele II non mancò di considerare anche i risultati della pittura macchiaiola scegliendo presso l’Esposizione Nazionale – la prima del regno unito che si era tenuta a Firenze nel 1861 – i Novellieri Toscani, tela di Vincenzo Cabianca, ispirato al Decamerone di Giovanni Boccaccio, uno tra i primi dipinti moderni di storia, assieme a Medioevo di Odoardo Borrani, che concedeva uno spazio da coprotagonista al brano di paesaggio.

Per celebrare nel suo contesto i centocinquanta anni di Firenze Capitale si è pensato di riunire in una sola esposizione dedicata alle scelte culturali e di promozione del Re, le opere che attualmente (in base a quanto documentato dall’inventario Oggetti d’arte del 1911) si trovano collocati in vari ambienti degli appartamenti Reali, presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti.

Gli spazi espositivi prescelti sono quelli del Salone da Ballo del Quartiere d’inverno e della Sala della musica, sale facenti parte dell’appartamento detto di “Sua Maestà il Re”, ora conosciuto come Appartamento della Duchessa d’Aosta, che sarà aperto al pubblico interamente per questa occasione celebrativa. Inoltre saranno messi in luce i rapporti tra il Palazzo e la città e tra questi soprattutto quello con le botteghe artigiane che lavoravano per la Reggia di Pitti (falegnami, fabbri argentieri e orafi, tappezzieri etc…) che si dedicarono alla invenzione di particolari elementi di arredo creati unicamente per il Re, come la spalliera per il trono disegnata e ricamata dalle allieve dell’istituto magistrale di Firenze. “Abilità degli artigiani fiorentini promossi da Demetrio Carlo Finocchietti al rango di propagatori politici dell’idea italiana di progresso. Era infatti opinione dell’intraprendente amministratore di corte, succeduto al marchese Bartolini, che, per consolidare i vincoli di fratellanza intrecciati prima sui campi di battaglia e poi nelle aule parlamentari, non restasse che “misurarsi nella palestra delle industrie”, incentivando di conseguenza il gusto e la creatività non solo degli artisti ma anche delle più disparate categorie di artigiani, che avrebbero trovato nelle Esposizioni nazionali ed internazionali la sede più adatta per il confronto e l’emulazione” (C. Sisi in Gli Appartamenti Monumentali di Palazzo Pitti, 1993).

Vittorio Emanuele II prestò anche particolare attenzione alle esigenze della città prendendosi cura della formazione scolastica sostenendo l’apertura nel capoluogo toscano di nuovi Istituti quali il collegio della Querce diretto dai padri Barnabiti o l’istituto per Ciechi per il quale promosse l’applicazione del metodo Braille. Guidato da questa attrazione verso la “modernità” il Re ordinava i nuovi arredi per Palazzo Pitti che divenne a sua volta galleria ufficiale del moderno stile italiano, consacrato e destinato a rappresentare, come aveva annotato l’articolista del “Giornale Illustrato”, la vitalità produttiva scaturita dal travaglio risorgimentale che coinvolse la Firenze Capitale d’Italia e di cui questa mostra darà testimonianza.