Echi dal bianco rievoca un luogo dove si rinvengono blocchi di marmo, materia prima (e d’eccellenza) della statuaria antica. Per la project room del MAC di Lissone, Vincenzo Rusciano [Napoli, 1973] offre ai nostri sguardi due opere in cui si danno appuntamento le ambiguità della storia e della cultura.

Obbligandoci a mettere in discussione il rap-porto di familiarità e di fugace analogia che queste opere intrattengono con la nostra tra-dizione, l’artista partenopeo simula frammenti di statue e bassorilievi rinvenuti chissà dove, chissà quando, evidenziandone però l’artifi-ciosità per mezzo di materiali e oggetti che rimandano al gusto o alle tecniche contempo-ranee. L’artista enfatizza inoltre la sovversio-ne formale dei modelli originali sovrapponen-do e amalgamando gli elementi per contene-re una molteplicità di livelli e di sintassi in cui l’esistenza parrebbe rovesciarsi nell’immemo-re e nell’intempore.

Affrontando argomenti quali l’abbandono, l’assenza e l’incuria, negli ultimi anni la ricer-ca di Rusciano si è incentrata sulla ripresa e il rifacimento delle macerie dell’antico. L’artista cerca cioè di ridare vita a ciò che si è perso attraverso una ipotetica conservazione del nostro patrimonio artistico, in cui i “reperti” vengono amalgamati con gli strumenti del la-voro – quello di scultore e di restauratore – che convivono assieme alle sculture e vengo-no a formare un tutt’uno con le casse da im-ballaggio che dovrebbero proteggere le opere stesse. In questi suoi assemblaggi, Rusciano rivela quell’indole d’archeologo cui ogni arti-sta è chiamato a confrontarsi prima o poi, affinché ci si possa riappropriare e si riesca a rinnovare modelli preesistenti.

Nelle parole dell’artista: «Queste due scultu-re, dal titolo Passaggi, rimandano alle sensa-zioni polimateriche dei laboratori di restauro e alle bianche risonanze della pietra e del mar-mo. Sculture composte da un caos di sovra-strutture che richiamano quelle che molte volte vengono applicate all’opera d’arte prima e durante l’intervento di un restauro e che rappresentano il momento in cui l’elemento da recuperare viene del tutto celato. È per me la fase più misteriosa che, da una parte, sem-bra nascondere la bellezza ma che, in realtà, racconta di quei “passaggi” tra fasi intermedie che creano un rapporto molto peculiare con l’opera da restaurare prima dell’intervento vero e proprio».

Coniugando e congiurando contro i codici vi-sivi, Rusciano riesce a creare un tessuto con-nettivo che vive di contraddizioni ed è in gra-do di verificare l’ipotesi di un ideale sposta-mento (di cronos/tempo e di topos/luogo) di quei “cimeli” che ancor oggi continuano a es-sere un importante giacimento della nostra eredità culturale. A causa di questo disorien-tamento delle categorie storico-estetiche, la memoria viene travasata dentro la dimensio-ne del presente, lasciando dietro di sé la trac-cia di eventi ambiguamente sospesi tra pas-sato e futuro, tra realtà e finzione.