In una Ravenna dilaniata dalla lotta per le investiture, dove l’arcivescovo Guiberto accetta di essere nominato antipapa col nome di Clemente III, nella domenica in Albis dell’anno 1100 approda sulla costa, nei pressi di un piccolo santuario, una bianca icona della Madonna, forse scampata alla “pulizia” iconoclasta in atto nell’Impero d’Oriente.

E’ un segnale provvidenziale che conforta una comunità religiosa disorientata che trova in Pietro degli Onesti, di dantesca memoria, il promotore del culto di quella che sarà poi chiamata “Madonna Greca”: il santuario viene ingrandito e diventa sede di una comunità di religiosi: i “Canonici Portuensi”. Alla fine del XV secolo, la chiesa e la comunità si trasferiscono in città, in una nuova, ampia sede conventuale e la sacra icona è allogata all’interno di un grandioso santuario dalle forme manieristico-barocche.

E’ fra queste mura che si forma un personaggio singolare, il bagnacavallese Tomaso Garzoni, poligrafo e predicatore militante. Ancor oggi si discetta se sia “un minore tra i grandi” o “un grande tra i minori”, è però indubbio che la sua sterminata e originalissima produzione è ancora tutta da scoprire e apprezzare. Le sue opere spaziano dall’Ospedale dei pazzi incurabili, una delle prime catalogazioni nosografiche delle malattie mentali, al Serraglio degli stupori del mondo, dove si scandaglia il regno dell’“occulto” tra miracoli, portenti e sortilegi, ma il testo che divenne un vero e proprio “bestseller” enciclopedico fu La Piazza Universale di tutte le professioni del mondo, pubblicata nel 1585, quattro anni prima della morte dell’autore, e che ebbe decine di traduzioni in tutta Europa. Quest’opera, nata dal proselitismo controriformistico, voleva portare il messaggio della Chiesa rinnovata nel contesto della nuova società mercantile e imprenditoriale che si stava sviluppando e voleva raggiungere anche gli strati medio-bassi della società e le attività “meccaniche".

Emerge così una “Piazza” come luogo, fisico e metaforico, dove s’ incontrano e s’intrecciano tutte le professioni, dalle più nobili e intellettuali alle più materiali e primitive, ma tutte concorrenti alla prosperità e allo sviluppo della comunità. Garzoni riesce perciò a fondere l’aspetto etico-religioso con una moderna concezione dei mestieri e del lavoro, visto, non solo come missione o condanna, ma anche come “professione” necessitante di un continuo aggiornamento di saperi e di migliorie tecniche. Allora vediamo cooperare banchieri e macellari, lardaruoli e giudici, boari e stampatori, in uno squadernarsi, senza remore gerarchiche, di tutte le attività che possono avere una valenza positiva o negativa non in sé, ma per come vengono professionalmente e cristianamente espletate.

E proprio nella descrizione degli stampatori e della nascita e della diffusione della stampa stessa, viene alla luce l’acume sociologico del canonico lateranense, perché questa fondamentale scoperta permette “che l’uomo comune, senza fatica particolare, può imparare e sapere come possa rendere la sua vita conforme a Dio, cristianamente, come possa essere adeguatamente rispettoso dell’autorità, nella vita civile, come possa essere onorato a sé e ai suoi e come governarli.” Nello stesso tempo, il libro stampato insegna all’“artigiano, come può svolgere con vantaggio il suo mestiere e trarne profitto; il contadino, come deve arare e coltivare il campo.”

Ma tutto questo risulterebbe di una illeggibile pesantezza se Garzoni non avesse avuto l’intelligenza di scegliere il mezzo linguistico e l’“artificio” espressivo più accattivanti per raggiungere questo nuovo pubblico con un’operazione di manifesto carattere divulgativo. Il canonico romagnolo sa sfoderare un “volgare” lontano dal toscano “classico” e venato di sfumature “padane”, che lo rendono vivace e arioso. Questo strumento duttile e multiforme diventa poi l’ideale supporto agli inserti manieristici di curiosità aneddotiche venate di stravagante e di grottesco che vivacizzano le sue pagine. Lo stesso Torquato Tasso fu un entusiasta ammiratore dell’opera, a cui dedicò il sonetto Superbo faro, ove le scienze e l’arti.

Nella piazza, che è universale perché contempla e integra arti, mestieri e professioni, tutti ugualmente utili alla comunità, non potevano mancare gli “operatori alimentari”, i procacciatori e confezionatori di alimenti e bevande, che sono visti come anello fondamentale nella catena della società. Si può dire che Garzoni evidenzi che il percorso dalla preistoria alla storia sia avvenuto anche grazie al passaggio dal crudo al cotto e da quest’ultimo al fritto, con un parallelo affinamento dei costumi e un progressivo allontanarsi dalla ferinità. I piaceri della tavola sono visti, quindi, con occhio benevolo e come vettore di civiltà e i cuochi sono un po’ come gli “arithmetici numerando la moltitudine delle vivande”, come i “geometri, misurando i quarti dei vitelli, de’ cervi, de’ caprioli”, come i “musici cantando a panza piena per l’allegrezza del vino”. L’approvvigionamento dei cibi è fondamentale per il benessere e l’equilibrio della comunità, pertanto è da condannare senza pietà ogni forma di aggiotaggio e accaparramento che potrebbero creare una precaria situazione in cui “tutto il popolo grida, la plebe con ragione tumultua, i poveretti stridono all’aria, i contadini di fuori esclamano a più potere, gli hospedali s’empiono”.

A questo proposito, estremamente interessante e moderna è la presa di posizione di Garzoni sulla caccia, la cui esclusività nobiliare è definita una “tirannide de’ signori”, perché “i lavoratori sono cacciati da’ suoi poderi, a’ contadini sono tolte le possessioni, e i campi a’ lavoratori, chiudonsi i boschi, e i prati a’ pastori per aumentare i pascoli alle fiere, affine d’ingrassare e dar piacere ai nobili”. Da sottolineare anche come, alcuni decenni prima, questa stessa protesta era stata espressa dai contadini tedeschi in rivolta sotto la spinta dell’ala più radicale del protestantesimo. Una categoria particolare degli “operatori alimentari” era quella dei “distillatori”, un misto di enologi, farmacisti e alchimisti di cui il religioso loda la ricerca tecnologica volta alla distillazione della “quinta essenza”, ma di cui anche denuncia la commercializzazione di pozioni e balsami afrodisiaci e utilizzabili, quasi “viagra” ante litteram, per esaltare la potenza sessuale.

E qui entriamo in un’altra sfera, quella, appunto della sessualità e dell’erotismo, dove Garzoni smette la sua veste di “sociologo” per indossare il saio del predicatore controriformistico. Di questo aspetto si occupa Walter Pretolani, appassionato studioso e scopritore di Garzoni, sottolineando che l’atteggiamento che il canonico ha nei confronti dei vari mestieri è, generalmente, di neutralità, sono poi i lavoratori che li praticano che saranno encomiabili o condannabili a seconda della professionalità e dell’onestà delle loro prestazioni. Per le prostitute, invece, non c’è possibilità di distinzione perché rappresentano il lato peggiore e irredimibile della piazza: con “il livor che le distrugge, la rabbia che le consuma, il furor precipitoso che le rapisce a ogni sorta di offesa e di vendetta, il gridar come bestie …”. Alla laidezza morale si unisce poi la repellenza fisica: “brutte, sporche, laide, infami, furfante, pidocchiose, piene di croste, cariche di menstruo, puzzolenti di carne, fetenti di fiato, ammorbate di dentro, appestate di fuori …” Questa foga inquisitoria è tanto più sorprendente anche perché, nella descrizione delle “comedianti, il canonico si mostra tutt’altro che misogino e tutt’altro che insensibile al fascino femminile; ad esempio, parlando di una certa “divina” Vittoria, si lascia andare a espressioni di raffinato erotismo come: “maga d’amore che alletta i cori di mille amanti con le sue parole, quella dolce sirena ch’ammaglia con soavi incanti … i sospiri ladri e accorti, i risi saporiti e soavi, il portamento altiero e generoso”. Il Pretolani conclude che, forse, tanto accanimento censorio poteva derivare dal terribile diffondersi, nel ‘500, della piaga della sifilide di cui le meretrici erano uno dei principali veicoli.

Dunque, un classico “anticlassico” nello stile e nei contenuti, dove s’intrecciano in mondo affascinante, ortodossia e modernità, fantasticheria e realismo, tutto da godere nella sua prosa manieristica ricchissima di coloriture terminologiche, di arguzie espressive, di intriganti metafore che ci aiutano ad apprezzare la grandezza di questo scrittore ancora tutto da scoprire e gustare.