Nasce nell'acqua e muore nel vino, o almeno così dichiaravano coloro che nell'acqua a raccoglierlo ci hanno visto le mondine. Sono rimasti in pochi a poter narrare del canto delle giovani fanciulle che, nel periodo di lavorazione del riso, si riunivano donando corpo e voce alle risaie. Un lavoro sociale, culturale e umano che si trasmetteva tra il “trapiantè” e il mundè”, termini che risultano tanto vicini fra loro quanto lontani gli anni in cui il trapiantare e i mondare erano opera esclusiva del sesso femminile.

La storia italiana passa anche dalle risaie, dalle prime rivendicazioni per una parità col sesso maschile, passando per il canto popolare “se otto ore son poche”, sino ad arrivare alla pellicola neorealista del 1949. Il cappello di paglia sulla nuca, la schiena curva nello specchio di acqua verdognola dal riflesso spesso mancante, le mani veloci e la bocca i pensieri canzonati di donne... di mondine. Immagini di un tempo che sembra lontano.

Ora il riso continua a crescere nell'acqua, la macchina ha preso il posto delle persone. Ma nulla di male di fronte allo sviluppo. Forse un po' di rammarico per conto di chi può raccontare questo, con gli occhi un po' appannati dai ricordi. Non credo che quello spirito torni più, nel nostro tempo di perenne crisi capitalistica non si affronta il lavoro come una risorsa, per alcuni è necessità, per altri è un lusso, per altri ancora è incremento del portafoglio azionario con conseguente ricaduta sul PIL nazionale e sull'umore famigliare. E se le mondine non ci sono più, pazienza.

La tecnologia ha favorito il benessere, dal politico al contadino. Anche il vecchio stivale tricolore si è accorto di questo, ne hanno preso atto i nostri contadini, i nostri politici. Contadini politicizzati ad annunciare “guerra nel nome della qualità del nostro riso a discapito di quello proveniente da Vietnam e Thailandia”. Politici contadinizzati tanto da proclamare “battaglia nella protezione degli interessi della nostra terra, del nostro riso”. Erano gli inizi del nuovo secolo e l'eco di questi pensieri espressi in occasione del W.T.O. diedero effetti concreti e immediati: i dazi sul riso proveniente dall'estero aumentarono, garantendo così la supremazia della qualità del nostro prodotto su quello “straniero”.

L'essere umano è sempre stato un po' spaventato dallo straniero, dove il diverso non compreso è fonte di minaccia, il forestiero dal linguaggio balbuziente, quindi barbaro. Elementi di disagio e scompiglio dai tempi passati a quelli più remoti, dalla letteratura apparentemente più innocente come le fiabe, sino alle leggende metropolitane più variegate. Storie arcaiche, favolette per bambini. I popoli si evolvono, i bambini divengono uomini, padri, nonni. Crescendo si apprende di quanto lo straniero possa essere nostro amico, si avverte quanto la paura dell'uomo nero sia completamente insensata e priva di fondamento, in particolare se si comprende che tutti i timori possono trasformarsi in benefici, soprattutto quando possono essere convertiti in un tasso numerico, che percentualizzato può essere valutato in euro e versato nelle casse dell'erario in proporzione variabile alla merce in entrata, affievolendo così la percezione di diverso e di conseguenza abbassando le soglie ansia e di minaccia straniera.

Ma come ogni vicenda che si rispetti, ( in particolare quando la triade di elementi: terra, denaro, politica diviene una costante per un sempre gaudio patriottismo fiscale) anche questa mostra il volto della medaglia non gradita, o almeno non sperata. Il riso straniero in entrata fu daziato a dovere, ma la produzione del riso italiano subì una pressione fiscale tale da farne aumentare i costi di produzione, con una conseguente perdita di valore di mercato all'ingrosso, al fine di evitare un accumulo di eccedenze dai costi di stoccaggio superiori alle soglie di guadagno ragionevoli per i produttori stessi. Anche questa volta ci siamo adoperati per mantenere alto il valore del Made in Italy nel campo alimentare, grazie a una politica corretta che salvaguarda gli interessi della comunità.

Sono proprio felice, il risotto che ho nel piatto è sicuro, è italiano ed è sano. E' ancora fumante a chicchi sgranati tra i denti della mia forchetta quando mi ritrovo di fronte una notizia di quelle che non possono essere trasmesse al tg. E difatti non se ne parlò ad alta voce, forse c'era qualcosa di più importante di cui vociferare. Forse i consigli su come orientare le scelte di vestiario in un'estate che tardava ad arrivare, forse la promessa di Di Natale “all'Udinese a vita” mentre la Roma pensava a Podolsky, in ogni caso vi era altro a rapire l'attenzione delle masse. Ciò che non si è letto in data 26/06/2008, interessa pochi ma riguarda tanti. Alcune pagine titolano: “Vietnam e Thailandia tagliano il prezzo del riso, l'aumento nei raccolti e una maggiore disponibilità nelle scorte inducono all'ottimismo gli esperti del settore, nell'ex regno (Nepal), intanto, rischia la fame il 50% della popolazione.” Eppur è solo riso, diranno in molti.

Ebbene, in data odierna, il riso rappresenta il 20% della nutrizione mondiale, oltre 10.000 le varietà registrate nel mondo (anche se le varietà consumate sono meno di una decina), probabilmente uno dei cereali più antichi cereali ad esser coltivato dall'uomo. Alcune popolazioni malgasce misurano il proprio benessere attraverso l'unità di misura definita come “Capoka”, ogni “capoka” è un pugno di riso rosso riversato in una scodella. In Asia la pianta del riso è leggenda e mito, considerata simbolo di immortalità e di gioia, nonché di fecondità e felicità. Anche nel nostro paese è simbolo di gioia, lo dimostra il rituale del matrimonio. Dalle terrazze della Cina, passando per il riso delle popolazioni malgasce, per poi crescere nelle risaie vercellesi fino a ritrovarsi nei nostri piatti ed essere affogato nel vino, nato per essere gioia e nutrimento ha viaggiato per mano dell'uomo, modellando culture e società, ed è divenuto importate per molti tanto da definirne la sopravvivenza. Addirittura prescritto fin dall'ottocento dai medici come terapia in caso di patologie a carico dell'apparato gastroenterico. Il riso risulta essere ricco di proteine ad alto valore biologico. Quindi un cibo salutare, definito funzionale. Cibo sotto alcuni aspetti quasi misterioso e curioso. Misteriosa è la sua origine, curiose le condizioni di crescita e diffusione.

L'origine del riso è ignota, di certo si sa che varietà selvatiche erano presenti tra il sud e l'est asiatico. Il V millennio segna la data di addomesticazione. Si crede che le varietà attualmente coltivate Oryza sativa derivino da progenitori annuali in un'area che si estende dalle pianure del Gange fino al nord della Thailandia, dal nord del Vietnam al sud della Cina. Furono gli americani a fornire al mondo la prima piantagione commerciale (badate bene, piantagione commerciale), nel South Carolina, portato dal Madagascar da un capitano di marina britannico. L'avanzare della tecnologia portò la diffusione e la produzione su larga scala del riso all'iniziare del 1900. Come molte altre piante, prima la meccanizzazione e poi la tanto discussa globalizzazione. Il riso nelle nostre regioni viene raccolto con particolari macchine, quasi sempre sbiancato, invecchiato e in alcuni casi riaggregato delle parti eliminate durante questo processo. In altre parti del mondo viene ancora raccolto a mano, setacciato con parti di foglie di cocco, intrecciate fino a formare un cerchio concavo perfetto, con un'agitazione a metà tra una carezza e un ceffone.

Da noi il riso non salta più, in altre parti il movimento è rito, è tempo. Salto dopo salto fino a pulirsi delle sue impurità per mano di chi di denti in bocca ne ha più pochi ma non si vergogna di sorridere. Che sia scosso o pulito in setacciatori automatici, chicco dopo chicco, spiga dopo spiga, lungo o tondo, basmati o carnaroli, rosso, nero, bianco o qualunque colore o forma abbia, l'importante è che non ne divenga un riso amaro.