Oggigiorno al mondo, chi non possiede uno smartphone? Saranno certamente in pochissimi a non averlo e lo faranno per scelta, non per una difficoltà economica nell’acquistarlo. Uno smartphone, anche all’ultimo grido, costa meno di una cena in un buon ristorante per due persone! Qualcuno dice che non possedere uno smartphone sia una fortuna. Probabilmente sì, ma quali sono i vantaggi reali di chi non lo possiede? Anche se sono pochi, alcuni sono molto validi. Per esempio, c’è chi lo considera un perditempo, altri pensano che può portare a una forma di dipendenza psicologica, a un condizionamento, altri ancora lo considerano uno strumento di distrazione.

Eppure, per esempio, uno scrittore o un giornalista senza uno smartphone sarebbe veramente messo male; come farebbe a informarsi sui fatti che accadono ogni giorno nel mondo, come farebbe a comunicare con gli altri, a mandare alla sua redazione delle immagini, dei video o delle interviste; e d’altro canto lo smartphone potrebbe deconcentrarlo mentre scrive o pensa a cosa scrivere. Inoltre c’è chi crede, forse giustamente, che questo strumento invece di aumentare la nostra socialità, in verità la riduca, alimentando una sorta di segregazione sociale e, quel che è più grave, portando a un isolamento psicologico, a volte inducendo a una sorta di psicosi ossessiva.

Sembra assurdo, ma i maggiori possessori di smartphone, oltre a essere i nostri adolescenti, i giovani della cosiddetta generazione Z, soprattutto dei Paesi occidentali, sono persone di tutte le età e molti provengono dai cosiddetti Paesi del Terzo mondo, immigrati che il più delle volte vivono situazioni economiche molto precarie. Certo, nei luoghi di origine non possono permettersi di “comprarsi” un visto e di prendere un aereo, anche se i costi sarebbero inferiori rispetto a quello che invece devono affrontare per fare un viaggio clandestino. Senza badare tanto alle statistiche, basta andare in giro per le nostre strade e accorgersi di questa strana situazione, eppure si pensa che dovrebbero essere gli emigranti ad avere meno bisogno di uno smartphone. Per molti di loro invece non è così e non è stato così nemmeno durante le traversate del Mediterraneo che li hanno portati dall’Africa in Italia e in altri Paesi europei. A loro viene confiscata ogni cosa (orologi, catenine d’oro, fedi, tutto), soprattutto quando si trovano prigionieri, principalmente in Libia, dove gli aguzzini (vedi caso Almasri) li trattengono prima di metterli in barconi sfondati che spesso non arrivavano a Pantelleria, a poco più di 30 miglia marine dal luogo di partenza, per naufragare e per poi morire annegati.

Perché ai migranti viene concesso il possesso di un cellulare? Lo smartphone deve servire all’emigrante per comunicare con la propria famiglia affinché possa chiedere dei soldi per il suo riscatto, per avere la possibilità di imbarcarsi. I soldi in questo modo finiscono direttamente, senza la necessità di nessuna intermediazione, senza nessun problema, in conti correnti in qualche paradiso fiscale e senza che la polizia internazionale possa risalire alle motivazioni degli accreditamenti.

Ma torniamo al problema dell’uso eccessivo dello smartphone. Il punto è che sullo smartphone proiettiamo delle capacità che in verità non ha. Per esempio, esso non rappresenta affatto le nostre relazioni con il resto del mondo, con gli altri e con le loro menti e i loro pensieri. Lo smartphone può essere utilizzato per eseguire dei compiti, per fare dei piani, per parlare con qualcuno, questo è vero, per indicarci la strada da un punto all’altro dell’Italia e di ogni altro Paese del mondo, per un’infinità di altri scopi, ma esso, in verità, non ci mette mai in relazione con gli altri. Il contatto fisico con un interlocutore invece è fondamentale per capire che cosa gli possa passare veramente per la mente in quel momento, persino per capire qualcosa attraverso il suo comportamento, per poterlo guardare negli occhi, e non c’è smartphone che possa sostituirsi a tutto questo. Noi siamo esseri viventi biologicamente evoluti e non c’è nessun dispositivo elettronico che possa rimpiazzarci. Non esiste nessun dispositivo elettronico che sia mai stato concepito e realizzato secondo questi criteri.

Poi c’è un aspetto importante da considerare nell’uso di uno smartphone, cioè quello relativo alla sua manualità o, se volete, praticità, rispetto a molti altri apparecchi elettronici che potrebbero svolgere le stesse funzioni, per esempio, per mandare un messaggio scritto, o sonoro, un file, un articolo, una foto eccetera. Sto parlando di un calcolatore, di un PC o di un Mac. Quando utilizzo un computer devo sedere a un tavolino, e, alla fine, posso fare magari un’altra cosa, per esempio colazione o andare a fare la spesa. In questi casi devo “staccare”, mentre con uno smartphone posso continuare a fare tutte queste cose. Infatti, quanti utilizzano pericolosamente uno smartphone mentre guidano un’automobile o fanno la spesa o camminano per la strada magari attraversandola senza badare al sopraggiungere di una macchina? Il computer mi consente di riflettere tra un’operazione e l’altra, di pensare, anche a me stesso e a quello che sto facendo. Con uno smartphone tutto questo è impossibile.

Ora qualcuno potrebbe domandare che cosa mai ci sia di male. Di male non c’è niente, ma come sostengono alcuni studiosi il meccanismo che è alla base di un uso eccessivo dello smartphone è pervasivo, come l’uso delle droghe e dell’alcool. Insomma, un uso eccessivo di questo mezzo può essere devastante come devastante è la tossicodipendenza. Sono tutti meccanismi che operano sullo stesso piano e che alla fine conducono alla mistificazione della realtà. Che in Italia secondo alcune statistiche ci siano più di 300 mila teenager che manifestano problemi di dipendenza dal web non è casuale. Per capire questa dipendenza non bisogna essere dei grandi esperti di psicologia. Come funziona questa sorta di dipendenza psicologica ce lo ha spiegato un illustre psicologo americano che operava quando ancora non c’erano in circolazione né smartphone né computer portatili come quelli che abbiamo oggi: Burrhus Skinner (1904-1990).

Quando in un acquario vogliamo spingere un’orca marina a tenere una palla sulla punta del naso, si dovrà ricompensarla finché non riuscirà alla perfezione in questo compito. Si chiama anche tecnica del modellamento che consiste nel rinforzare quei comportamenti che più si avvicinano alla risposta desiderata, cioè al raggiungimento di un premio (condizionamento operante). Qui però non si tratta di addestrare delle orche marine o dei piccioni posti in una gabbia, appunto la gabbia di Skinner, come fece lo psicologo americano, ma l’uomo, e nel caso specifico, chi fa uso eccessivo di smartphone e non solo, cioè strumenti che possono diventare devastanti soprattutto quando vengono utilizzati passivamente e senza senso critico. Strumenti che possono sostituire il lavoro mentale di un individuo al quale vengono indebolite le funzioni cognitive più importanti che dovrebbe essere invece totalmente libere in un uomo libero.

Un fenomeno sempre più dilagante come l’analfabetismo funzionale, sempre più diffuso nel mondo, è legato a un uso distorto dell’informatica e dell’Intelligenza Artificiale, inclusi degli smartphone. Tutte cose che possono manipolare l’opinione pubblica. I geni diabolici dell’informatica, come Mark Zuckerberg, Elon Musk e Jeff Bezos (solo per fare i nomi dei più noti), purtroppo, lo sanno molto bene, e spesso si mettono al servizio di poteri politici molto forti, non solo per fare guerre sempre più tecnologiche ma per distogliere la gente dai problemi reali delle società. A qualcuno l’analogia (uso smoderato dello smartphone e condizionamento operante) potrebbe sembrare fuori luogo, ma dato quello che vediamo in giro per le strade e in rete, non lo è affatto.