Giorgio Armani ha sempre voluto vestire una specifica tipologia umana.

La sua donna è stata coincidente ed è tutt’ora in corso d’opera, con la sua visione dell’androginia. La sua cromia e muscolarità, hanno il rilievo osseo dell’avorio e le processioni schematiche dell’essenziale costume futurista.

Il suo uomo è stato coincidente ed è tutt’ora in corso d’opera, con la sua visione della virilità. La sua cromia e muscolarità hanno il rilievo del bugnato dei palazzi rinascimentali e l’energia misurata di chi contiene per cedere il passo: la galanteria che sembra il contorno e diviene l’essenza.

Non ha cercato Freud e non ha ricercato nel tutto la sua energia.

Armani è stato selettivo e al contempo elettivo di un corpo immaginato e rintracciato nella quotidianità.

L’involucro della selezione parte dalla giacca e dalla sua attitudine all’appoggio. La sua spalla fiduciosa che scivolando sa di non cadere abbandonata, interpreta l’attitudine alla caduta come compagnia per incarnare interiorità e ricordo di come funzionava l’incrociare luce e aria, fendendole con prepotenza mentre ora si ammanta di grazia e gentilezza.

Armani e la giacca che è dell’uomo la divisa e della donna la sua armatura e la sua conseguenza politica e sociale: un binomio che ha accolto il diametro del giromanica come tratto fluido e protesico di tutto il legame che questo capo possiede con il potere e con la forza, la temperanza.

La giacca, come corpo sovradimensionato, per superare il mondo con le sue gerarchie e supremazie e addizionarsi alle anatomie che solo fondendosi danno la vita e vita allo stile di Armani: a quelle mani armate ad arte sulle disconnessioni per raccontare in punta di cesoia destrutturazioni per nuovi organici sipari di quella luce sabbiata che, opalina, sembra irradiarsi sull’anima.

Luce e ombra ma in punta di dita e vibranti dell’intimità degli umori che sorgono dall’emozione e dalla tensione verso l’esistenza: percorsi tracciati sui corpi come esperienze del bello che ci raccontano di quella proporzione che sta nel sapere che la galanteria è sempre e solo una conseguenza di una coscienza della misura e dell’energia che in essa è racchiusa.

Lo stile di Giorgio Armani ha prodotto onde non spigoli e ove si sono manifestati sono stati la maiuscola del principiare del suo nome: quella “A”, acuta vetta che ha fatto della tarsia direzionale un esempio di motorietà sensibile e “lume” descrittivo delle superfici: dall’abito all’abitazione. Triangolazioni naturali e scacchiere prospettiche fatte di seta e lana, legno e pietra che hanno planimetrizzato la tavolozza dell’ambiente anatomico umano e quello domestico e professionale per evolvere e radicarsi nell’intimo del sociale come germinazioni ordinate da cui partire con l’immaginazione.

Il chiaroscuro, Armani, lo ha bagnato attraverso i minerali e se la pietra ha dato vita all’acqua i muscoli di Adamo hanno fatto da sfondo ai talloni di Eva nel cammino verso la qualità del carisma umano al di là delle ataviche gerarchie di ruolo.

Il ragazzo di Piacenza ha trovato nella genetica della Settima Arte la buca del suggeritore nel proscenio teatrale della narrazione del suo stile. Nel cinema la vita appare quando la luce la attraversa e così è stato per l’antropomorfica esistenza delle forme da lui create.

Armani se l’è presa tutta la “Settima”, come fosse una strada di Manhattan e ad essa ha contribuito nel dilatarne i percorsi sensoriali, favorendo la scena e la drammaturgia: addizionandovi lirica e stagionalità.

Il tempo del presente lo ha rivolto a nuovi prospetti dello stile guardando all’età d’oro di Hollywood e al mediare punto, linea e superficie, nell’astrazione dei corpi posti negli ambienti urbani per la coincidenza dell’abito con l’abitazione e l’amalgama perfetta con la narrazione.

Il cinema è immagine e acustica, messaggio legato alla scenotecnica e alla fotografia, soggetto e storia e la scena va dai protagonisti a tutto il corollario e gli aspetti tonali sono totalizzanti della storia esattamente come la parte materica e luministica.

Il progetto estetico dello “Stilista” che di fatto genera i costumi per il reale, in Armani entra nel reale ideale del tempo presente, futuro ma anche passato e ancor più nell’astrazione della pura immaginazione dell’arte cinematografica con la connessione a “Gli intoccabili” principi della funzionalità dell’abito maschile per trasformarli in participio che diviene il verbo di Giorgio, dentro e fuori dalla finzione, oltre il genere, in quella cruda verità epidermica che è la bellezza virile, tanto abbagliante da divenire merce del “Gigolo” come, a suo tempo, fu la bellezza femminile, sartorialmente pensata da Yves, per quella “Bella di giorno” che per estrazione sociale avrebbe potuto soggiornare “L’anno scorso a Marienbad” vestita da Chanel e dialogare con l’onirico aspetto del sogno che diviene realtà e viceversa, per la testa di un uomo che questi pensatori ha saputo tradurre nel suo lessico.

In Armani l’ombra marcata di un volto di donna pone l’accento sui suoi spigoli e sull’acutezza del suo profilo e racconta di approdi sociali legati al ruolo e alla determinazione del suo destino.

Mandibola, zigomi, incavo di guance e volumetria della fronte, proiettano, nella loro morbida compenetrazione, l’allunaggio della luna su sé stessa in forma di spicchi che fanno dell’ombreggiatura del collo il luogo elettivo da dove attingere l’assenza di luce come stazione di supporto a quella parte anatomica che Armani ritiene elettiva e imprescindibile: il volto.

Da Greta Garbo a Marlene Dietrich, da Cary Grant a Gary Cooper, ognuno ha posseduto, nella forza dello sguardo, la carta tonale di un ovale su solide basi mandibolari: lineamenti memorabili smussati dalla luce e palpebre lievemente abbassate per guardare all’abbagliante splendore della propria gloria riflessa in un obiettivo e nell’attitudine quel tuffo identitario da cui attingere per raccontarsi e raccontare.

Così, quel ragazzo di origini piacentine, ha disegnato i prospetti formali del suo caleidoscopio per la vita moderna, guardando ai miti della celluloide e mediando il viaggio immaginato con quello reale in una fusione citazionista di quelle etnie che della fluida coscienza del corpo hanno fatto costume per un risultato finale tra l’educato esotismo di frontiera e l’urbanistica metropolitana.

Il rigore dello stile Déco, traslato nelle trame marinettiane dei “completi unitari” di Armani, ha intarsiato il prospetto formale del nostro tempo di superfici dalla geofisica sussurrata in favore di una presenza carismatica della naturalezza dell’atto motorio e del conforto anatomico tra ciò che cela o vela e ciò che è celato o velato nel contesto dell’accennato.

È da questi cenni che è emersa l’energica vita di un lessico universale che porta il nome Armani: l’incarnazione di un’atmosfera che certifica l’essere più che l’esistere.