La Formula 1 è spietata e crudele, senza scrupoli. Non ti lascia tempo per respirare; le forti acque di questo grande fiume travolgono e feriscono. Ai piloti non resta che essere abbastanza forti da riuscire a nuotare, rimanere a galla, diventare più forti contro ogni onda e ogni corrente. È un ciclo continuo, brutale e implacabile, ma è forse proprio questa una delle tante cose che rendono la Formula 1 lo sport più acclamato del mondo motoristico.
Non è una novità, e non lo è mai stato, vedere dei piloti perdere il proprio sedile da un giorno all’altro; una tradizione molto più comune in passato che in giorni odierni, questo è vero, ma mai persa veramente. Abbiamo visto Daniel Ricciardo porgere il suo ultimo saluto al paddock di Formula 1 nella notte del Gran Premio di Singapore, nel 2024, con la sorpresa di molti; Logan Sargeant dire addio alla propria Williams in seguito alla pausa estiva dello stesso anno, lasciando spazio all’argentino Franco Colapinto.
In una stagione durante la quale la griglia di partenza ha visto ben cinque rookies – sette, nel caso in cui si includessero anche Colapinto e Lawson – prendere posto nelle vetture formalistiche, è ben evidente quanto sia importante saper tenere il passo in un mondo talmente veloce da riuscire a rubare via la terra da sotto i propri piedi. Questi giovani piloti vengono posti sotto i riflettori delle alte aspettative e giudicati in sempre meno tempo; la domanda non può che sorgere spontanea, quanto tempo è troppo tempo? Dopo quanto tempo è giusto giudicare l’inesperienza di questi giovani adolescenti e prendere dei provvedimenti?
Dopo solo sei gare, l’australiano Jack Doohan è stato sostituito da Colapinto. Dopo sei gare in una vettura non possedente le più alte potenzialità e al fianco di un gran pilota, più esperto. Jack è stato sostituito con la facilità e rapidità di uno schiocco di dita — ed ora si trova nuovamente rilegato al di fuori della pista. Liam Lawson ha corso due gare con la Red Bull prima di venir rilegato nuovamente al team minore, Visa Cash App Racing Bulls. Solamente due gare per definire la carriera di un pilota, nonostante tutto, novello.
La Formula 1 si dimostra sempre più competitiva, sempre più dura, sempre meno disposta ad attendere e lasciare tempo al tempo — ed è giusto così, quando la velocità e la rapidità sono sempre stati il nucleo di questo sport, unico al mondo. Ma è possibile osservare anche gli approcci differenti, più inusuali, di chi lascia le chiavi della macchina (metaforicamente parlando, considerato che le monoposto non hanno realmente delle chiavi) ad un diciottenne e offre lui spazio e tempo per crescere e svilupparsi: è il caso di Kimi Antonelli, pilota Mercedes.
Toto Wolff, team principal del marchio tedesco, è sempre stato franco ed onesto con i propri tifosi. Non ha nascosto che Kimi avrebbe avuto dei momenti difficili, che avrebbe avuto bisogno di maggiore tempo, ma il team lo avrebbe sempre supportato in queste montagne russe. Sostenendolo, incoraggiandolo, anche negli errori e nei momenti difficili. Un pilota glorificato dal momento in cui l’annuncio del suo ingaggio è stato reso pubblico si trova ora ad affrontare una macchina complessa, non accogliente verso un inesperto, ma la Mercedes non si è tirata mai indietro.
“La gente guarda al risultato di fondo, ma la verità è che [Kimi] sta ancora facendo progressi, anche se noi, come squadra, siamo indietro. Improvvisamente, ora ci si ritrova in una lotta in cui un decimo può significare sei o sette posizioni in griglia. Prima, per le posizioni per cui lottavamo, un decimo equivaleva a una posizione.” Sono le parole con cui lo difende il compagno di squadra, il britannico Russell, davanti ai microfoni in seguito ad una difficile sequenza di gare. Delle parole che aiutano a mettere in prospettiva le difficoltà di chi non ha una macchina per dimostrare le proprie abilità.
Il sedile in una scuderia come la Mercedes porta con sé molteplici pesi e difficoltà. Gli occhi di tutti puntati su di sé, aspettative da soddisfare, l’incertezza del futuro. A Kimi tocca fare un bel respiro e perseverare, nonostante tutto; perché lui sa quanto vale, sa che le difficoltà passeranno ed il suo primo podio in Canada non è altro che l’inzio della sua carriera.
È, dunque, una domanda che probabilmente non avrà mai una vera risposta? Quanto tempo? Come è possibile decidere quando un giovane pilota è pronto? Gli errori, le difficoltà, gli ostacoli sono tutti parte di un lungo percorso, ma qual è il limite? La Formula 1 è un business, la spietatezza è parte integrante di questo mondo a velocità e l’unica certezza può essere solo la propria volontà di riuscirci, di sopravvivere. Solamente poche persone ce la fanno, e anche quando egli riescono, la realtà è spesso molto più dura e crudele dei propri sogni nel cassetto.