Si sa, purtroppo, qualcuno non ne ha mai visto uno in tutta la sua vita, figuriamoci se lo avessero visto così: vincerlo proprio all’ultima giornata, all’ultimo punto disponibile… E sono sicuro, dato come è andata a finire, avrebbero volentieri rinunciato a qualche anno, dei pochi vissuti, per poterlo vivere almeno una volta, ubriacarsi e festeggiare con gli amici di sempre.
Quando questo accade, al di là di quello che una semplice stagione calcistica può insegnare e raccontare, è qualcosa di illuminante, più dell’inaspettato: è l’atto di fede che converte l’ateo e il pagano, è la parabola reale che ti fa credere in te stesso più di quanto tu ci creda in realtà. È la resilienza che non ti fa soccombere tra gli avvoltoi che ti volano intorno che non aspettavano altro.
Iniziare un campionato, dopo aver fallito in modo disastroso quello precedente, dove hai cambiato due allenatori e ora arriva il terzo. Dove sei finito al decimo posto a guardare da casa le altre squadre giocare in Europa alla tv. Dove sai di aver fatto solo 13 vittorie su 38, dove ti sei ‘disunito’ come insegna di non fare il “grande maestro”: perdendoti come tanti piccoli tasselli di un puzzle rovesciato. Ma mentre andavi alla deriva, mentre tutto sembrava così lontano da raggiungere, è arrivata una speranza inattesa.
Una luce nuova che ha cambiato prospettiva delle cose. Qualcosa o qualcuno che ti ha fatto intuire il vero obiettivo della stagione e della vita, l'uomo da battere. E no, questa volta non si tratta di un avversario. Questa volta non c’è un fuoriclasse da battere, o la squadra favorita. Questa volta la persona da superare è l’uomo che hai di fronte, il tuo riflesso di ogni giorno. L’uomo che pensa che sia troppo, stavolta, ricominciare da 0, soprattutto adesso, adesso che i migliori se ne sono andati. L’uomo che pensa che non esistono i miracoli. L’uomo che crede che più di così non si potesse fare.
Mentre cercavi di convincerti, che fosse possibile, alla prima sfida sei caduto al tappeto dopo tre jab gialloblù, rivivendo tutti i tuoi fantasmi dei mesi passati, in una notte di knockout. Ma il giorno dopo ti sei rialzato come non era mai successo prima. Hai cambiato pelle, ti sei reinventato, adattato alle novità del mister, fagocitandole e riversandole in mezzo al campo. Ma soprattutto hai trovato un condottiero, uno vero, verace come noi.
Non uno di quei cavalieri altezzosi a cavallo con elmo, armatura e aria snob, ma un fedayn, uno che lotta per la libertà sempre. Uno che non ha bisogno di incutere timore, perché ha assaporato la vera paura dai più grandi. Uno che non indossa un'uniforme come abiti da guerra, ma un gonnellino e il petto nudo: uno scozzese, anzi due. Uno che ti porta in battaglia correndo in prima fila, senza paura dei colpi, ma pronto ad attaccare per difendere i suoi, sempre e sempre pronto a suonare la carica.
Grazie al Napoli per questa insurrezione, e ai napoletani per non aver mai smesso di crederci.
Sì, abbiamo pezzi importanti durante il tragitto, ma forse proprio così abbiamo capito l’importanza del valore del collettivo. Come corsari che depredano i bottini delle belle barche lungo le rotte. Come reietti ribelli di un sistema che non ci aveva contato. Un sistema informativo che non vuole che vincano loro di nuovo, un'altra volta. Una mentalità arcaica che non vuole che trionfino di nuovo i meridionali, quelli che ancora nel 2025 vogliono vivere di pane, turismo e tiktoker “ah questi Napoletani”. Soprattutto perché “una volta è simpatico, ma due volte in tre anni iniziate a metterci paura”.
Invece siamo scesi in campo senza ascoltare niente e nessuno. Senza leggere le solite offese e pregiudizi. Senza far caso al volto degli avversari, perché dentro a quello sguardo che abbiamo incrociato sul campo, c’eravamo solo noi e la nostra anima da battere. Solo così si può risalire la china ‘a forza di braccia’, passo dopo passo, metro dopo metro, intervento dopo un tiro. Solo così siamo riusciti a fare 61 gol e a subirne solo 27. A conquistare la vetta degli 82 punti e a superare un’incredula Inter.
Grazie Napoli, per averci fatto vivere la più bella delle favole. Quella a cui da sempre siamo abituati ad ascoltare da piccoli, dove il protagonista non è mai avvantaggiato nella storia e nel suo percorso ad ostacoli. Dove il percorso dell’eroe non è senza macchia e dove non primeggia nella storia perché ha più soldi degli altri, o più armi o amici, o eredità familiari.
Quello che l’eroe di una storia come quella del Napoli racconta è che dal principio, fin dai piccoli primi passi, non c’è stato nessuno a correggere il tiro, c'eravamo solo noi lungo il cammino. Abbiamo scoperto da soli i nostri limiti e i punti di forza. Superando gli ostacoli e i nemici uno per uno, senza contare sull'aiuto di gregari, di maghi o di calciatori milionari.
Quella che è stata la lunga via tortuosa per arrivare al castello e salvare la ‘quarta bella’, l’abbiamo fatto solo ritrovando noi stessi, gli uomini che vengono dalla città più bella del mondo, dove la speranza è un vento d’estate che ci conduce per la mano dall’ombra dei vicoli bui, al caldo rovente del sole sul lungomare. Dove la vista verso l'orizzonte non ci abbandona mai, anche nei momenti difficili. Perché lo abbiamo saputo da sempre: è qualcosa che s’impara quando hai una tradizione di storia millenaria. Non c’è bisogno di affannarsi ad ogni costo in questa vita.
È evidente che non tutti partiamo dalla stessa griglia di partenza, che chi è parte decisamente più avanti, c’è chi i vantaggi c'è li ha dalla nascita, chi c’è per improvvisa fortuna economica, chi c’è perché è sempre stato così. Ma visto che nessuno ha ancora compreso i numeri da scommettere per vincere a questo lotto chiamato destino, noi un po' di esperienza ludica ce l'abbiamo nel sangue: puntiamo su noi stessi. Tanto la vincita, si sa, non è garantita. Ma la speranza di sognare, quella sempre.